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Le lacrime di Nietzche di Irvin Yalom (2006) – Recensione

Le lacrime di Nietzche: La storia racconta del rapporto, puramente ipotetico e di fantasia, tra Joseph Breuer e Frederick Nietzche.

Di Brunella Coratti

Pubblicato il 29 Mag. 2013

Aggiornato il 25 Lug. 2016 11:23

 

RECENSIONE DEL LIBRO:

Le lacrime di Nietzche

(2006)

di Irvin Yalom 

Neri Pozza Ed. 

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Le lacrime di Nietzche di Irvin Yalom - Recensione
Le lacrime di Nietzche, Irvin Yalom (2006).

La storia racconta del rapporto, puramente ipotetico e di fantasia, tra Joseph Breuer e Frederick Nietzche. Breuer curerà le emicranie del filosofo e l’altro ascolterà le ansie e le preoccupazioni del medico, inquadrandole con suggerimenti filosofici o pedagogici, una sorta di consulenza filosofica.

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L’autore, Irvin Yalom, è uno psichiatra-scrittore statunitense noto per aver sviluppato un modello di psicoterapia di gruppo nell’ambito dell’analisi esistenziale, nonchè una visione originale e creativa della relazione tra psicoterapeuta e paziente.

La storia racconta del rapporto, puramente ipotetico e di fantasia, tra Joseph Breuer e Frederick Nietzche.

Siamo nel 1882 Breuer, geniale medico viennese, a quarant’anni è all’apice della sua carriera e notorietà, famoso per le dettagliate anamnesi cliniche ed altrettanto accurate diagnosi e medico di fiducia di alcuni noti personaggi dell’epoca.

Viene avvicinato, durante una vacanza, da una giovanissima e molto affascinante Lou Salome, con la richiesta di occuparsi di un caro amico, Frederick Nietzche, promettente filosofo tedesco non ancora famoso, prostrato da sintomi di vario genere tra cui febbri, emicranie, nausea, insonnia e problemi di vista, che compromettono pesantemente il suo benessere.

E’ stato visitato, senza alcun risultato, da molti dei più illustri medici dell’epoca.

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Breuer è titubante, ancor più quando la donna afferma che Nietzche è afflitto da “profonda disperazione” e, oltretutto, molto restio a curarsi a causa di un carattere chiuso e diffidente.

Per la disperazione non vi è medicina” afferma Breuer con convinzione ma poi, la curiosità del clinico prende il sopravvento e, infine, accetta di visitare questo paziente così difficile.

Il medico ha già esperienza della “cura attraverso le parole” avendo avuto in trattamento per diverso tempo Bertha Pappenheim, celebre paziente con diagnosi di isteria che sarà successivamente trattata anche da Sigmund Freud. Questa cura consiste nell’aiutare il paziente a ricordare, con l’ipnosi, il trauma psichico dimenticato, allo scopo di risolvere il sintomo.

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Così i due si incontrano e, lentamente, prende forma la loro relazione: Breuer intuisce che Nietzche non si lascerebbe mai coinvolgere da una cura percepita come sottomissione o diminuzione della sua potenza, convinto com’è che i rapporti interpersonali siano governati dall’agonismo e dalla competizione e che, desiderio profondo e inconfessato di ognuno, sia quello di dominare e accrescere la propria forza.

Breuer si accorge di trovarsi in una situazione paradossale: vuole conquistare la fiducia del paziente ma, proprio se agisce in maniera comprensiva o curativa nei suoi confronti, questi lo accuserà di volergli imporre la sua volontà. 

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Consapevole della profonda paura di Nietzche di essere schiacciato nell’angolo della sottomissione e del profondo senso di solitudine che una tale idea delle relazioni umane comporti, Breuer ha un’idea a dir poco rivoluzionaria e propone al paziente un rapporto paritario: lui curerà le emicranie del filosofo e l’altro ascolterà le ansie e le preoccupazioni del medico, inquadrandole con suggerimenti filosofici o pedagogici, una sorta di consulenza filosofica.

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Lo scopo del medico è persuadere Nietzche ad impegnarsi in una cura basata sul parlare, spingerlo ad uscire fuori dalla sua solitudine, a fidarsi di qualcuno tanto da condividere la propria disperazione.

Per arrivare a questo Breuer comprende che l’altro deve rassicurarsi sulla relazione tra loro due e che questo potrà accadere nella misura in cui il filosofo penserà che il loro rapporto è reciproco tanto nel dare quanto nel ricevere. Il medico vestirà i panni del paziente, confesserà le proprie ansie e si porrà come modello di franca apertura di sè per far sperimentare all’altro che “non succede alcun orrore“.

(…) devo convincerlo che mi sta aiutando e intanto invertire in maniera impercettibile i ruoli fino a far ridiventare lui il paziente e tornare ad essere io il medico” (pg. 222).

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Così, in un dialogo coinvolgente e serrato, dove i ruoli continuamente si invertono e si confondono, a poco a poco si costruisce un’intimità tra i due che andrà oltre le aspettative iniziali. Le pagine scorrono, riservate alle riflessioni di Breuer sul paziente Nietzche e, simmetricamente, alle annotazioni del filosofo su quella strana figura di medico.

Breuer si accorge che, quella che all’inizio era solo una strategia terapeutica, diventa per lui una vera necessità di confidarsi con qualcuno e che lui, uomo virtuoso ed esemplare, è tuttavia oppresso dalle convenzioni della vita borghese cui appartiene e profondamente turbato da alcuni suoi affetti.

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Nietzche, da parte sua,  nel tentativo di trovare soluzioni e comprensione ai problemi del suo medico, finalmente riuscirà a comunicare a qualcuno il suo profondo dolore e, forse, a sentire un minimo di fiducia per un altro essere umano.

Scrittura ricca di spunti e non convenzionale, che spinge alla riflessione sulla specificità della relazione terapeutica e su quanto, nel percorso di cura, essa sia ingrediente essenziale per permettere un’apertura di sè finalizzata alla comprensione.

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Si rimane colpiti in più punti: l’accuratezza clinica della diagnosi, l’attenzione quasi amorevole al paziente e al suo bisogno di stare meglio, anche quando non è urlato ma a mala pena sussurrato, la disponibilità a mettersi in gioco in prima persona e a verificare ipotesi di trattamento, l’entusiasmo ed il coraggio di questi primi “medici dell’anima” che avevano intuizioni cliniche e la necessaria curiosità di comprendere il rapporto tra chi cura e chi viene curato.

Dello stesso autore e altrettanto interessanti, La cura Schopenauer e Il problema Spinoza, i tre libri attraversati tutti da una riflessione acuta e personalissima della relazione terapeutica.

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