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Il Silenzio In Psicoterapia: Segnale di che cosa?

Il silenzio in terapia può essere il segnale che finalmente il paziente non riesce più a usare come risposta i suoi automatismi e le sue convinzioni.

Di Michela Muggeo

Pubblicato il 20 Mar. 2013

 

il silenzio in terapia. - Immagine: © olly - Fotolia.comDal punto di vista cognitivo il silenzio può essere proprio il segnale che finalmente il paziente non riesce più a usare come risposta i suoi automatismi e le sue convinzioni. In questo vuoto il paziente sta sperimentando una frustrazione che forse non è così terribile, sta sperimentando che forse non è sempre necessario sapere come andrà a finire e trovare una risposta.

Quando Luisa mi racconta degli abusi e delle violenze che subiva da ragazzina erano passati già diversi mesi dall’inizio della psicoterapia. Stavamo ripercorrendo alcune tappe significative della sua infanzia e io, sprovvista di registratore, ero impegnata a scrivere tutto quello che mi raccontava.

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A un certo punto la sento abbassare il tono della voce e sussurrare l’inizio di quegli abusi. Istantaneamente la mia mano smette di scrivere. Con un filo di voce inizia a raccontare con particolari raccapriccianti le violenze subite. Le lacrime le contornano tutto il viso. Non mi guarda.

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Io vengo rapita dal racconto e man mano che prosegue sento le mie guance accaldate e le mani sudate. Penso per un istante che sia meglio che Luisa stia parlando con la testa bassa, così da non vedere la mia evidentissima attivazione emotiva. Lei va avanti a raccontare senza fermarsi. Quando mi calmo inizio a provare una profondissima tristezza nei suoi confronti, sento un nodo allo stomaco. Quando Luisa finisce di parlare si asciuga le lacrime e riporta lo sguardo su di me. Rimango in silenzio, rimaniamo insieme in silenzio forse per un minuto o per un tempo che a me è sembrato lunghissimo. Mentre sono lì con lei e il nodo allo stomaco stringe sempre più forte, affiora alla mia mente quella domanda che, da giovane psicoterapeuta, spesso mi mette in difficoltà: “E adesso che cosa le dico?”.

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L’importanza del silenzio in psicoterapia, anche se storicamente associato alle correnti di stampo psicoanalitico, è riconosciuta oramai dai diversi orientamenti teorici e non vi è clinico che non concordi sul fatto che a volte il silenzio in seduta può essere terapeutico tanto quanto lo sono le parole. Esistono diversi tipi di silenzi, da quello empatico a quello in cui il paziente sta mettendo in discussione le sue credenze e dobbiamo lasciarlo sforzare da solo, senza i nostri suggerimenti. La fretta di riempire quello spazio riflette spesso, infatti, la nostra incapacità di tenere quel silenzio.

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Dal punto di vista cognitivo il silenzio può essere proprio il segnale che finalmente il paziente non riesce più a usare come risposta i suoi automatismi e le sue convinzioni. In questo vuoto il paziente sta sperimentando una frustrazione che forse non è così terribile, sta sperimentando che forse non è sempre necessario sapere come andrà a finire e trovare una risposta.

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Solo con il tempo e prestandovi molta attenzione ho iniziato a usare il silenzio consapevolmente e non semplicemente a reagirvi quando mi ci capitavo dentro. Da psicoterapeuta alle prime armi la domanda “che cosa faccio adesso?” mi segue, a volte ripetendosi anche dopo che il paziente se ne è andato, spesso invece andando via da sola così come è arrivata.

Quel giorno a Luisa non dissi niente, nonostante la mia testa cercasse freneticamente una risposta. Non avevo più scritto neanche una parola. Decisi di chiudere la seduta così, in silenzio. E infatti, fu lei a parlare per prima, ringraziandomi di essersi sentita capita. Uscendo, mi disse che sarebbe andata a prendere una boccata d’aria, doveva sbloccare quella stretta allo stomaco.

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