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Genitori Omosessuali & Affidamento Minorile.

Di qualche settimane fa la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha affrontando la questione relativa ai genitori omosessuali.

Di Andrea Bassanini

Pubblicato il 22 Feb. 2013

Aggiornato il 05 Ago. 2022 11:32

Luca Sperandeo – Dottore in Giurisprudenza abilitato al patrocinio (Ordine degli Avvocati di Milano)
Andrea Bassanini – Psicologo, Psicoterapeuta in formazione. 

 

Genitori Omosessuali & Affidamento Minorile. - Immagine: © beaubelle - Fotolia.com

La Suprema Corte ha stabilito che il danno per lo sviluppo del minore affidato a un nucleo familiare omosessuale non può essere presunto ma deve essere provato in concreta, basandosi su certezze cliniche o massime d’esperienza.

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E’ di qualche settimane fa la sentenza (n. 601/2013) con cui la Corte di Cassazione ha affrontando la questione relativa all’effettiva incidenza pregiudizievole dell’omosessualità del genitore affidatario nei confronti del figlio minorenne.

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Così come già rilevato su State of Mind da Giovanni Maria Ruggiero, allo stato attuale: “Nessun parametro psicologico o evolutivo ci ha mostrato numeri che dimostrino che per i bambini sia controindicato crescere con genitori omosessuali”.

Ragionando sul medesimo principio, la Suprema Corte ha stabilito che il danno per lo sviluppo del minore affidato a un nucleo familiare omosessuale non può essere presunto ma deve essere provato in concreta, basandosi su certezze cliniche o massime d’esperienza.

Lo scenario nel quale si colloca la sentenza n. 601/2013 si caratterizza per la presenza di tre elementi distintivi: la violenza, l’elemento culturale-religioso e l’omosessualità.

Il minore, al centro del caso in esame, era conteso tra il padre (di religione mussulmana) e la madre (ex tossicodipendente, legata da una relazione sentimentale con l’educatrice della comunità di recupero che l’aveva ospitata, con la quale successivamente aveva intrapreso una convivenza), immerso in una realtà resa ancora più complessa e delicata dall’aggressione della convivente della madre, ad opera del padre, avvenuta sotto gli occhi del figlio.

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La Corte di Cassazione si è dovuta calare nella fattispecie concreta, sgomberando dal campo qualsiasi sorta di “pregiudizio” e cercando di stabilire quale incidenza, in termini di disagio, avessero potuto provocare nel minore la violenza paterna e l’omosessualità materna.

La stessa rilevava che solo la condotta paterna aveva causato provate ripercussioni negative nel minore (“aveva assistito a un episodio di violenza agita dal padre ai danni della convivente della madre, che aveva provocato in lui un sentimento di rabbia nei confronti del genitore”), mentre non era stata dimostrata in alcun modo la dannosità del contesto familiare materno.

Sicuramente la sentenza in esame, a dispetto del clamore generato, non rappresenta quel punto di svolta, in tema di affidamento dei minori, osannato da alcuni e osteggiato da altri.

Infatti, i giudici di legittimità si sono limitati ad invocare per il caso concreto l’applicazione della regola generale dell’onere della prova, secondo la quale non può essere data per scontata la dannosità per il minore di un contesto familiare omosessuale, in assenza di prove basate su certezze scientifiche o dati d’esperienza.

Crediamo che tale aspetto sia cruciale rispetto a ciò che culturalmente o dogmaticamente possa essere interpretato come principio a favore/sfavore del contesto omosessuale. Spesso la dannosità per il minore viene data per assodata in questi casi, considerando poco o scarsamente le caratteristiche psichiche dei membri del sistema familiare. Sembra, infatti, che l’omosessualità nasconda e oscuri tutto il resto delle caratteristiche del sistema/famiglia, soprattutto le risorse e gli aspetto protettivi e della coppia genitoriale e della famiglia in sé.

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Insomma, in questa sentenza, la Corte non esclude in linea di principio la possibilità che si possa formare una prova a sostegno della tesi sugli effetti dannosi di un nucleo familiare omosessuale, tuttavia, constata che nel caso di specie tale prova non è stata fornita.

La Suprema Corte si è pronunciata rilevando che le richieste del padre muovevano dal mero pregiudizio (presupposto ma non provato) che il vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale fosse di per sé dannoso per l’equilibrato sviluppo del minore, cercando di far passare per assodato un elemento che invece doveva essere dimostrato.

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Pur ridimensionando la portata innovativa della sentenza n. 601/2013, è interessante rilevare come la pronuncia della Corte di Cassazione abbia aperto uno spiraglio riguardo all’ampliamento del concetto di famiglia, ponendosi in contrasto con quanto stabilito dall’art. 29 della Costituzione (che identifica la famiglia soltanto in quella società naturale fondata sul matrimonio) e riconoscendo implicitamente che anche un nucleo familiare composto da soggetti del medesimo sesso possa essere qualificato come famiglia.

Una tale lettura potrebbe rappresentare un primo passo verso il riconoscimento dei matrimoni tra soggetti omosessuali, considerato che il disposto dell’art. 8 della C.E.D.U. si presta a un’interpretazione estensiva della nozione di famiglia in grado di ricomprendere anche la relazione stabile di una coppia omosessuale.

Tale orientamento, infatti, potrebbe concretizzarsi in un incentivo per il legislatore a dettare principi e criteri direttivi in materia, mirando sia a una regolamentazione giuridica delle coppie omosessuali sia all’eventuale apertura alle adozioni di minori a favore delle stesse, in accordo con i diritti fondamentali stabiliti dalla Corte Europea.

Con la sentenza in esame la Cassazione non si è fatta portatrice di una corrente giurisprudenziale innovativa, bensì, ha manifestato l’esigenza e l’auspicio di un intervento chiarificatore da parte del legislatore.

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Andrea Bassanini

Psicologo - Spec. in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale

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