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La triangolazione all’interno della famiglia – Terapia Sistemico-Trigenerazionale

La triangolazione dispiegandosi da una generazione all’altra, rende difficile il processo di individuazione dei singoli membri della famiglia

Di Serena Mancioppi

Pubblicato il 03 Ott. 2012

 

 

La triangolazione all'interno della famiglia. -Immagine: © Fotowerk - Fotolia.comLa maggior parte delle persone si collocano a livelli intermedi della scala di differenziazione del sé, in cui la dipendenza dall’altro definisce gradi maggiori o minori di investimento e soddisfazione in aree di realizzazione personale, professionale, relazionale, e diversi livelli di rigidità, dogmatismo, conformismo, rigidità emotiva, isolamento, conflittualità e anche malattia fisica.

 

 

Murray Bowen, uno dei pionieri della terapia familiare, guarda alla famiglia come il luogo nel quale si sviluppa la massa indifferenziata dell’io familiare, un identità emotiva conglomerata il cui grado di intensità determina il livello di coinvolgimento di tutti i membri della famiglia e le possibilità di svincolo e differenziazione del sé di ciascuno.

All’interno di questo sistema emotivo le tensioni si spostano attraverso sequenze ordinate di alleanze e rifiuti tra due o più membri della famiglia.

Il grado di differenziazione del sé  è uno dei concetti cardine della teoria di Bowen (1979) e definisce la possibilità di ciascun individuo di differenziarsi rispetto alla massa dell’io familiare; quando l’intensità emotiva della massa familiare è molto elevata, il livello di fusione dell’io, cioè di indifferenziazione dei suoi componenti, potrà essere così marcato da esitare in relazioni simbiotiche e patologie gravi come la schizofreniain casi meno estremi, ma comunque caratterizzati da alti livelli di fusionalità, incontreremo persone assorbite in un mondo di sentimenti, estremamente dipendenti dai sentimenti degli altri nei loro confronti e per questo costantemente impegnate a gestire le relazioni interpersonali in termini di conferma o rifiuto; il legame con l’altro definisce le loro possibilità di funzionamento nella misura in cui è possibile trarre forza e conferma all’interno della relazione di dipendenza emotiva, che, nel migliore dei casi, li accompagnerà per tutta la vita.

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Lo spazio di investimento personale in aree legate alla realizzazione personale è inesistente o molto limitato e comunque fortemente condizionato dalla dipendenza all’altro.

All’estremo opposto si trovano invece gli individui con il massimo grado di differenziazione del sé, che possono raggiungere i più alti livelli di funzionamento umano; sono coloro che hanno sviluppato una buona identità individuale, che hanno saputo investire in qualità e attività orientate verso il sé, perseguendo principi e valori nel rispetto di sé stessi e degli altri, mai dogmatici o rigidi, sono emotivamente sicuri tanto da poter funzionare senza essere influenzati da lodi o critiche; i confini dell’io sono flessibili, ma non labili, tanto da permettergli di sperimentare la condivisione con l’altro o l’abbandono proprio dell’incontro emotivo o sessuale con un partner.

Bowen ci rassicura, affermando di non avere mai incontrato nessuno così differenziato nella corso della sua pratica clinica e raramente anche nelle relazioni sociali e professionali.

La maggior parte delle persone infatti si collocano a livelli intermedi della scala di differenziazione del sé, in cui la dipendenza dall’altro definisce gradi maggiori o minori di investimento e soddisfazione in aree di realizzazione personale, professionale, relazionale, e diversi livelli di rigidità, dogmatismo, conformismo, rigidità emotiva, isolamento, conflittualità e anche malattia fisica.

Ma come funzionano dunque le relazioni all’interno della massa dell’io della famiglia nucleare? Come viene gestita la tensione derivante dalla fusione dell’io tra i membri della famiglia?

I meccanismi sono principalmente tre: il conflitto coniugale, la disfunzione di un coniuge e la trasmissione di un problema a uno dei figli. 

Nel conflitto coniugale la relazione è simmetrica e ciascuno dei partner lotta per dividere in parti uguali il sé comune, senza cedere nulla all’altro; la seconda modalità di gestione del conflitto prevede che al conflitto coniugale segua la resa di uno dei due coniugi, che più frequentemente dell’altro abbandona la sua posizione e una parte del proprio sé. Una variante è quella in cui uno dei coniugi abbandona del tutto il proprio sé e offre il proprio “non sé” a sostegno del partner, da cui diviene dipendente; in questi casi il coniuge che perde il proprio sé può arrivare a livelli di funzionamento bassissimo e sviluppare patologie fisiche, psicologiche e sociali; sono questi i casi di relazioni altamente sbilanciate in cui uno dei coniugi funziona bene e l’altro è un malato cronico.

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Le configurazioni che deriveranno dalla messa in atto di uno o più di questi meccanismi preserveranno il funzionamento di alcuni componenti della famiglia a scapito di altri, infatti secondo Bowen la difficoltà di una relazione coniugale può essere misurata quantitativamente: il sistema agisce come se una certa quantità di immaturità dovesse essere assorbita e questo può avvenire ancorandola alla disfunzionalità di un membro della famiglia, permettendo così maggiore funzionalità agli altri.

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Il conflitto coniugale può, per esempio, mantenere il problema confinato alla generazione dei genitori senza incidere sui figli e il fatto che ci siano famiglie dove i figli di relazioni coniugali conflittuali non sviluppano problemi è prova del fatto che questo non necessariamente danneggia la generazione successiva. Anche la presenza di un genitore malato cronico può costituire una protezione per seri danni nei figli.

La trasmissione del problema ai figli è uno dei meccanismi più frequenti che la massa dell’io familiare mette in atto per gestire la tensione.

La triangolazione si verifica quando l’aumento della tensione relazionale tra i coniugi viene gestito e contenuto coinvolgendo uno dei figli: questa alleanza con “un altro più vulnerabile” mira alla costruzione di una relazione più stabile. La triangolazione, dispiegandosi da una generazione all’altra, rende sempre più difficile il processo di individuazione dei singoli membri della famiglia, fino ad arrivare ai casi estremi di simbiosi familiare in cui la non differenziazione del sé di ciascuno è massima. Secondo Bowen è un tipo di coazione a ripetere applicata alle generazioni, in cui ogni generazione fa ricadere la sofferenza su quella successiva (Hoffman L, 1984).  

Ecco alcuni esempi di configurazioni triangolari (Minuchin S, 1980):

Il triangolo inammissibile: due genitori in conflitto cercano entrambi una alleanza con il figlio, allo scopo di costituire una coalizione contro l’altro genitore; questo tipo di schema triangolare, con due lati positivi, è molto stressante per il figlio coinvolto perchè comporta un intenso conflitto di lealtà.

Coalizione genitore-figlio: il conflitto genitoriale è esplicito e l’alleanza tra uno dei genitori e il figlio è stabile. In questi casi spesso il figlio si allea protettivamente con il genitore che sente più debole o fragile, prendendo il suo posto in un paradossale confronto (o scontro) “alla pari” con l’altro genitore; piani e i confini generazionali risultano del tutto alterati.

Deviazione-attacco: il figlio è un capro espiatorio, il suo comportamento è cattivo e distruttivo, i genitori si associano per controllarlo: la relazione matrimoniale è spesso priva di conflittualità ma i sintomi comportamentali del figlio spesso rappresentano “il braccio armato del conflitti generazionali negati o irrisolti” (Andolfi M, 2010)

Deviazione appoggio: anche in questo caso i coniugi mascherano le loro differenze e celano il conflitto concentrandosi entrambi iperprotettivamente sul bambino che viene definito “malato”. È  una caratteristica tipica delle famiglie in cui i disturbi si esprimono in modo psicosomatico.

L’aspetto patologico della triangolazione intergenerazionale risiede nel fatto che le risorse psicologiche ed emotive del bambino vengono utilizzate per regolare il conflitto tra adulti, a scapito dei suoi bisogni evolutivi, che per venire accolti e soddisfatti necessitano della sintonizzazione affettiva da parte degli adulti.In questo modo si realizza un processo di delega che, di generazione in generazione, perpetua la richiesta di soddisfacimento di bisogni originari rimasti inappagati.

Inoltre la posizione di funzionamento del bambino all’interno del triangolo inevitabilmente condizionerà il suo modo di pensare, sentire e agire, modellando qualitativamente il suo senso di identità e appartenenza e di conseguenza le possibilità di differenziazione dalla famiglia di origine.

Le relazioni triangolari definiranno anche la partecipazioni ad altre esperienze triangolari con gli altri sottosistemi familiari (ad esempio quello dei fratelli o in generale con la famiglia allargata) e con il sistema amicale e professionale. La non differenziazione dalla famiglia di origine porterà, in un momento successivo del ciclo di vita dell’individuo, a uno spostamento sul partner della richiesta di soddisfacimento dei bisogni rimasti inappagati; quando questa richiesta di appagamento, inevitabilmente, fallirà l’ansia spingerà nuovamente alla ricerca di un alleanza con i figli. 

 

Nel prossimo articolo vedremo più da vicino come la posizione di funzionamento assunta all’interno delle dinamiche triangolari familiari influenza la scelta del partner e la costruzione del legame di coppia.

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Serena Mancioppi
Serena Mancioppi

Psicologa Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Cognitivo-Evoluzionista

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