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L’ anoressia – Il Corpo Invisibile

La diagnosi di anoressia ha toccato i campi del sapere, medico, psicologico, psicoanalitico e, prima ancora, il sapere religioso.

Di Redazione

Pubblicato il 05 Ott. 2012

 Di Giuliana Apreda

 

L'anoressia- Il corpo Invisibile. - Immagine: © deviantART - Fotolia.com

Il disturbo alimentare può essere una spia di disamore e solitudine incompresa, spia importante da non trascurare e considerare come equivalente di disagio giovanile con tutti i possibili tragici sviluppi

 

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L’adolescente vive più intensamente di altri, un turbinoso cambiamento dell’immagine del proprio corpo e del suo stesso spazio mentale.

Tutto questo si oppone all’onnipotenza infantile nella consapevolezza nuova di una finitezza che irrompe dall’incontro con un sé sconosciuto e mortale. Il sentimento di angoscia e depressione che ne scaturisce prelude, con la sua possibile elaborazione attraverso i riti di passaggio, all’entrata nell’età adulta. Può però dare anche origine a sentimenti di negazione della crescita e della morte.

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Antoin de Saint-Exupéry, eroico aviatore e grande scrittore, è un Peter Pan, un eterno fanciullo, secondo l’analisi che ne fa Marie-Louise von Franz (2000)
“Per favore mi disegni una pecora” chiese il Piccolo Principe sceso dalle stelle, ad Antoin de Saint-Exupéry, e questi lo ascoltò, perché il Piccolo Principe fu il solo che seppe vedere nel disegno che fece da bambino non un cappello come tutti i grandi, ma il profilo di un boa che ha inghiottito un elefante.
Non sa disegnare una pecora e allora l’aviatore disegna una scatola che la contiene, piccola come serve nel piccolo mondo del Piccolo Principe.
L’incontro con il suo segreto mondo infantile, distrae l’aviatore perso nel deserto, con il suo aereo da riparare.

Magrezza non è bellezza. I disturbi alimentari. State of Mind Edizioni Elettroniche
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In ogni adolescente vi è un elefante, un eroe adulto, che rischia di essere stritolato da un boa, il boa dell’incomprensione, della solitudine, della paura, dell’angoscia, dell’indifferenza soffocante, del non essere ascoltato. Ogni fanciullo ha bisogno di essere ascoltato. Le cronache dei giornali sono piene di suicidi commessi da adolescenti non ascoltati dai grandi, anche il primo della classe può aver tedio per la solitudine.

La mancanza di valori da condividere, la disoccupazione, l’assenza di speranza, in questa fase delicata del percorso umano, rappresentano un potente detonatore che fa esplodere in rabbia e vendetta l’energia giovanile trasformandola in criminalità, ‘ndrangheta ecc.

Fondamentale appare quindi il nostro compito di genitori, educatori e terapeuti nel non fare mai mancare ai nostri giovani la speranza di un lavoro, di un posto nella società, di una vita degna di essere vissuta. Altrimenti dovremmo dire che: “I bambini cattivi un cuore ce l’hanno: è quello violento dei loro padri, dei loro cattivi maestri”. Bisogna amarli i giovani e far loro sentire il nostro amore per insegnar loro ad amare la vita e loro stessi.

Il disturbo alimentare può essere una spia di disamore e solitudine incompresa, spia importante da non trascurare e considerare come equivalente di disagio giovanile con tutti i possibili tragici sviluppi.

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La diagnosi dell’anoressia ha toccato tutti i campi del sapere, medico, psicologico, psicoanalitico e prima ancora, con le sante anoressiche, il sapere religioso. I sacerdoti sono stati i primi a tentare rimedi per questa dannata santità.

Teresa d’Avila, Caterina da Siena, Chiara d’Assisi sono delle grandi anoressiche, come pure Pedro de Alcantara.

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L’anoressia, quindi, non è un fenomeno esclusivo della nostra epoca; ha qualcosa in comune con l’ascetismo delle sante medioevali, hanno in comune un oggetto: il cibo, da cui astenersi.

Per capire l’anoressica” scrive Lacan, “non bisogna pensare che il bambino non mangia, ma che mangia niente“. Mangiare niente pone l’esistenza di un oggetto, pone quindi una relazione tra soggetto e oggetto.
Si può interpretare il vuoto anoressico, quindi come un tentativo di costruire un terzo, un ponte di comunicazione, come avviene anche quando ci si comunica attraverso l’ostia consacrata.

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Teresa d’Avila dice che vomita tutte le mattine però se fa la comunione, non vomita più la mattina ma la sera, e un giorno dirà: “mettendo in bocca l’ostia consacrata, mi sono sentita tutta la bocca riempita di sangue”.
In questo modo quindi si realizza, attraverso l’ostia consacrata vero alimento, il terzo mediatore nel percorso verso Dio.

Nessuna patologia annovera un tasso di mortalità così elevato

Ma perché l’anoressia trova il suo momento scatenante in quel periodo della vita che è l’adolescenza?

Mara Selvini Palazzoli (1998) fa pensare all’anoressia come una passione, ad uno stato di violenta e persistente emozione erotica in contrasto con le esigenze della ragione. È il realizzarsi della sessualità, la concretezza di un corpo sessuato, che senza chiedere il permesso espone il corpo a modificazioni che sono bruscamente evidenti e impone la discontinuità tra la sessualità perversa polimorfa infantile e la sessualità adulta, incarnata dal periodo della pubertà.
È il momento che impone la scelta di appartenenza al sesso.

Teoricamente i riti sociali, si adoperano per far fronte al trauma di questo momento cruciale. L’antropologia sociale e culturale ha studiato con particolare attenzione i riti di iniziazione legati alla pubertà tra gruppi etnici diversi, in tutte le culture e in ogni epoca, vista l’importanza che riveste il cambiamento corporeo in relazione alla funzione sociale dell’individuo.

Disturbi del comportamento alimentare e impulsività. - Immagine: © Olivier Le Moal - Fotolia.com
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Apprendiamo cosi come l’infibulazione e la circoncisione per certe società primitive rappresentino, all’interno di una ritualità ancestrale, un modo per recidere dal corpo ormai cresciuto, ogni ricordo anatomico del sesso opposto: la memoria del pene nella clitoride o della funzione accogliente della vagina nel prepuzio che accoglie e contiene il glande. Chirurgicamente si amputano così i rischi e le preoccupazioni consce ed inconsce che la pubertà risveglia nella mente adulta e se ne allontanano l’ambiguità e l’insicurezza proprie di questa età di confine.

L’incontro con il paziente anoressico descritto da  Clorinda Salardi (1990) : “Se l’Io corporeo del paziente non può coniugarsi con l’Io psichico, la mente viene negata come tramite di relazione con l’ambiente interno e con l’ambiente esterno: non solo, ma questa dissociazione manterrà, a sua volta, secondo una circolarità dalla quale il paziente non può uscire con le sue sole forze, la dissociazione Io-Mondo in cui l’essere si disperde.”

Nella relazione il tutto si gioca tra la fascinazione e l’orrore, l’orrore della reciproca scomparsa, il fascino onnipotente di sentire che tutto possa essere controllato.
È come dire con Epicuro (2008) : “Se tu ci sei non c’è la morte, se c’è la morte non ci sei tu”, dove la morte è l’ultima onnipotente garante dell’immortalità.
Questo lavoro riguarda invece un momento specifico in cui si tratta proprio di lottare attivamente contro questa dissociazione in atto, ed è possibile farlo affrontando le fantasie e la presenza della morte proprio come dolore reale e condivisibile.

Proprio condividendo nella relazione con il paziente tale esperienza è possibile comprendere come, per non disperdersi, il paziente opponga l’angosciosa sensazione di nulla interno la sensazione fisica di fame dolorosa, che come un cilicio dolorosamente cinge i confini del corpo. Schilder (1996) segnala come sia importante il dolore nello sviluppo dell’immagine corporea;  scrive che “le sensazioni fisiche forti come la fame o le percezioni dolorose provenienti dagli organi interni….possono avere la funzione di riorganizzare, stimolandole, alcune basilari sensazioni corporee che portano, nella loro evoluzione, alla consapevolezza psichica di sé”.

La profonda regressione spiega anche la riattivazione del narcisismo, con l’assunzione di atteggiamenti ispirati all’onnipotenza infantile. “Posso ben dirmi privilegiato, io che posso farne senza e fare tutto. Tutto-si capisce-quel che mi sembra più importante…” fa dire ancora Italo Calvino (2000)  al suo cavaliere inesistente, mentre seppellisce la carcassa di un compagno. Le anoressiche pretendono di vivere senza mangiare abbandonandosi ad attività frenetiche, “quasi fossero macchine del moto perpetuo” scrive ancora Thomä. Infatti, distaccati dai bisogni della carne, paiono trasformarsi in macchine, o vuote corazze.

Santa Caterina da Siena, racconta il suo confessore Raimondo da Capua (1990), si ridusse a cibarsi solo di erbe amare e più aumentava il digiuno più da esso traeva energie e vitalità, e più intensa diveniva la sua unione con Gesù. “Mi sento puro spirito”, disse un giorno soddisfatto un mio paziente, alto un metro e novanta, raggiungendo i quarantanove chili scarsi.

Ma il vuoto sentito come presenza dolorosa di sé non è certo il nulla, è un modo, sia pur patologico di esserci. Giangiorgio Pasqualotto (1992), cita nel suo libro: “L’estetica del vuoto”, Cheng Yao tian, calligrafo della dinastia Ching:
“…. È proprio grazie al Vuoto che sole e luna si muovono, che le stagioni si succedono; è da esso che procedono i diecimila esseri. Tuttavia il vuoto non si manifesta e non opera se non mediante il Pieno”.

Riflettendo sulla qualità estetica di questo vuoto, che è un donatore di senso, come la pausa che crea la musica, ci si avvicina a comprendere come attraverso di esso questi pazienti possano esistere e sentire di esistere, e questo ci può aiutare ad avvicinarci a quanto Hilde Bruch (1978), raccomanda al terapeuta che deve “empatizzare con l’esperienza interna della paziente e assumere un vivo interesse per ciò che la paziente pensa e sente”. Un po’ quello che Roberto Losso (2004)  definisce “Sedurre alla vita”.


“Udire con gli occhi appartiene al fine ingegno d’amore”, scrive nel ventitreesimo sonetto Shakespeare e aggiunge: “Udire con gli occhi significa conoscere l’altro mediante l’esperienza visiva che si ha di lui. Io non credo che si possa intraprendere questo tipo di lavoro clinico senza provare una reale simpatia per il paziente e senza essere particolarmente sensibile alla sua presenza corporale.”

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