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Childfree, senza figli: scelta o necessità?

in America e in Gran Bretagna fa parlare di sè il movimento delle coppie childfree, che decidono consapevolmente di non procreare.

Di Simona Meroni

Pubblicato il 13 Set. 2012

Childfree:  in America e in Gran Bretagna fa parlare di sè il movimento delle coppie che decidono consapevolmente di non procreare.

Childfree, senza figli: scelta o necessità?. - Immagine: © Costanza Prinetti 2012.
Childfree. Immagine: © Costanza Prinetti 2012.

“Ogni scarrafone è bello a mamma soja” canta Pino Daniele in una sua famosissima hit, sintetizzando così una sorta di motto che mette bene in luce l’indissolubile legame tra madri e figli.

In controtendenza a questo pensiero, nell’epoca dell’adolescenza interminabile, della crisi economica e dei cosiddetti bamboccioni, in America e in Gran Bretagna fa parlare di sè un fenomeno che in Italia appare più che altro “di costume”: il movimento delle donne (e delle coppie) childfree, che – come sottolinea il nome – decidono consapevolmente di non procreare.

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Il termine childfree sembra nascere in antitesi al più ghettizzante childless, con cui in genere nei paesi anglofoni si indicano le persone senza figli e che sembrerebbe implicare, con il suffisso -less, l’idea di una mancanza. La cultura childfree, che negli USA vanta delle vere e proprie organizzazioni, raduni e siti dedicati, sembrerebbe originare dal desiderio e dal bisogno di arginare lo stereotipo che accusa le donne senza figli (per scelta) di voler emulare l’ambizione carrieristica maschile o, nella peggiore delle ipotesi, di essere donne incomplete, riducendo così il valore di una donna alla maternità.

Penso sia interessante prendere in considerazione la presentazione che il sito Childfree.net pubblica sulla propria homepage, perché ben racchiude tutto quello che è stato scritto sinora.

“Siamo un gruppo di adulti che condividono almeno un desiderio: non vogliamo avere figli. Siamo un gruppo di insegnanti, dottori, imprenditori, autori, esperti di computer. Scegliamo di chiamarci childfree piuttosto che childless perché sentiamo che quest’ultimo termine implichi la mancanza di qualcosa che desideriamo, e non è così. Ci consideriamo childFREE: liberi dalla perdita di libertà personale, soldi, tempo ed energie che avere un figlio richiede”.

Mi sembra curioso come nella presentazione sia sottolineato il rilievo culturale delle persone che fanno parte del gruppo: imprenditori, insegnanti etc., quasi a voler rassicurare il lettore di essere persone rispettabili e quindi degne di essere prese in considerazione. Al di là di questa sottigliezza, il sito si prefigge di essere un punto di riferimento in quella che definisce una società orientata ai bambini, che giudica e ghettizza coloro che scelgono di non averne. Raccoglie anche in una pagina dedicata tutti i libri e le pubblicazioni a sostegno del movimento: un dato ulteriormente interessante è l’anno di pubblicazione del primo libro che sembra trattare questo spinoso argomento. Il testo, pubblicato nel 1995 e intitolato “Will you be mother? Women who choose to say no” raccoglie una serie di interviste a donne britanniche dal background culturale ed etnico variegato.

Ci rendiamo così conto che, sicuramente con un palcoscenico più ridotto, il movimento childfree nasce quasi 20 anni orsono, in tempi “non sospetti”, ossia lontani dalla crisi economica, dal calo drastico delle nascite, dai figli in provetta o partorienti over 45.

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Oggigiorno fa parlare di sé anche grazie (o soprattutto?) alle dichiarazioni di personaggi famosi, come ad esempio Cameron Diaz, che in una sorta di vero e proprio coming out ha dichiarato a mezzo stampa di non desiderare bambini per non dover rinunciare a nulla della vita attuale.

Sempre questo movimento sembrerebbe avere più rilevanza di quella che si potrebbe pensare. Catherine Hakim, sociologa della London School of Economics, già nel 2006, in una intervista alla BBC, ipotizzò che dietro il calo della natalità occidentale ci fossero non solo problemi di infertilità, di scelte troppo rinviate e di società assai poco ospitali in termini di welfare verso i bambini, ma anche “Un numero crescente di donne che ha scelto e sceglie di non fare figli”.

Tale decisione, però, sembra quasi impossibile da prendere serenamente, non tanto per ragioni coscienza individuale, quanto più per stereotipi culturali. Uno dei cavalli di battaglia del movimento childfree è proprio quello di legittimare le persone ad essere se stesse sino in fondo, e non solo “marionette delle società”.

Molte donne aderenti al movimento, hanno espresso il sollievo di poter finalmente comunicare, grazie alla nascita di gruppi e siti dedicati, il proprio pensiero e il proprio desiderio di non diventare madri, ritenuto dalla società aberrante e innaturale.

Le ragioni che muovono le donne childfree sono le più svariate: molte ritengono di non sentirsi (e di non essersi mai sentite) pronte a dedicare il 100% del proprio tempo, e della propria vita, ad un altro essere umano. Altre, invece, sostengono di non aver mai sperimentato il cosiddetto istinto materno e di aver scelto di essere libere non per dedicarsi alla carriera, ma semplicemente per poter vivere appieno la propria vita. Un’altra ragione che sembra accomunare le donne che scelgono questo stile di vita è il benessere planetario. Molte childfree sostengono, infatti, di compiere una scelta consapevole ed ecosostenibile evitando la sovra ppopolazione e aiutando così il pianeta (o per lo meno provando a) a mantenere un proprio equilibrio.

Restando in tema di motivazioni valide per non procreare, la psicoanalista francese (e madre) Corinne Maier ne ha individuate ben 40, nel (fu) best seller del 2006 “No kid. 40 ragioni per non avere figli”.

In patria, Il Corriere della Sera, estrapolò le seguenti 20 motivazioni:

  1. Il parto è una tortura;
  2. Diventerete dispensatrici ambulanti di cibo;
  3. Lotterete per continuare a divertirvi;
  4. Perderete i contatti con gli amici;
  5. Dovrete imparare un linguaggio da veri idioti per riuscire a comunicare con i vostri figli;
  6. I figli uccideranno il vostro desiderio;
  7. I figli suonano la campana a morto della vostra vita di coppia;
  8. Fare figli è da conformisti;
  9. I figli costano;
  10. Verrete ingannati pensando che non esista niente come un figlio perfetto;
  11. Sarete inevitabilmente delusi dai vostri figli;
  12. Tutti si aspetteranno che voi siate una madre prima che una professionista e una donna;
  13. Le famiglie sono un incubo;
  14. I figli mettono fine ai vostri sogni dell’infanzia;
  15. Non smetterete di desiderare la completa felicità per la vostra prole;
  16. Stare a casa a badare ai figli è incredibilmente noioso;
  17. Dovrete scegliere fra maternità e carriera;
  18. Quando arriva un figlio, di solito scompare il padre;
  19. Ci sono già troppi bambini sul pianeta;
  20. I figli sono pericolosi: vi portano in tribunale senza pensarci un secondo.

Decontestualizzate, tali motivazioni lasciano il tempo che trovano e appaiono soprattutto suggerimenti da ombrellone, privi di un fondamento e di un’analisi, se non quella del preconcetto.

Il movimento childfree, invece, cerca un proprio spazio nella società, dividendosi al suo interno addirittura in sottocategorie: i dink, ovvero le coppie che tendono a posticipare continuamente la decisione di procreare, forse per cause e ragioni esterne (instabilità economica, mancanza di un compagno, ad esempio); i childfree veri e propri, cioè donne e coppie che decidono deliberatamente di non volere figli.

Sarebbe difficile e riduttivo cercare un identikit della donna childfree, perché all’interno di tale movimento si raggruppano persone diverse, sia per scelte professionali sia per origine che per background culturale. Sembrerebbe, però, che la maggior parte di queste donne siano in genere in carriera, indipendenti, soddisfatte della propria vita sociale e sessuale. Sembrerebbe tutto molto chiaro, dunque: donne (e, forse in misura più ridotta, uomini che decidono di accompagnarsi a donne che hanno fatto la loro scelta) decise e consapevoli di rinunciare ad un’opportunità (se non altro biologica) nel nome di una volontà e di una libertà guadagnata a caro prezzo.

Amica? Nemica! - Immagine: 2011-2012 © Costanza Prinetti.
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Più che chiarezza, però, questo movimento fa nascere degli interrogativi, soprattutto inerenti alla genitorialità oggi, o al significato che un legame stabile e una famiglia possono avere. Nella società, infatti, del qui ed ora, del piacere, nel quale tutto il pensiero sembra essere ridotto all’istante, dove non esiste progettualità (perché forse, anche a causa delle precarie condizioni sociali ed economiche è difficile progettare a mente serena) ma consumo, la scelta childfree sembrerebbe andare nella direzione del non voler responsabilità o impegni. Del non volersi, forse, sacrificare per qualcosa che non si può conoscere a priori, per un progetto che potrebbe anche tranquillamente fallire e causare dolore (un divorzio, un bambino che non è come ci si aspetta). La scelta childfree inoltre sembra andare nella direzione del “crollo” dei grandi ideali e delle grandi istituzioni, e – perché no? – delle certezze e della immobilità dei ruoli ai quali la società di oggi assiste. I ruoli sono sempre più sfumati e indefiniti, anche a livello corporeo e/o biologico. Crollano quelli che erano considerati in qualche modo tabù ma che funzionavano all’organizzazione della società, contribuendo così a renderla sempre più “liquida”.

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Il condizionale, naturalmente, come in ogni situazione che implica la più profonda natura umana e il libero arbitrio è d’obbligo. Così come, però, credo sia d’obbligo interrogarsi sul valore della libertà di scelta al giorno d’oggi e, soprattutto, sulla consapevolezza che si ha di poterla (o non poterla o non volerla) esercitare.

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