Io ti troverò (Titolo originale: By Reason of Insanity, 1979) ha ispirato i grandi maestri, da James Ellroy a Stephen King. Ritmo serrato ed incalzante, ottimo intreccio, nulla ha da invidiare ai thriller moderni che, anzi, hanno attinto a piene mani da questo capolavoro, diventato leggenda anche grazie all’alone di mistero che avvolge il suo autore: la vera identità di Shane Stevens rimane tutt’oggi sconosciuta; sparito dopo la pubblicazione del libro, si sa solo che è morto nel 2007.
Thomas Bishop, 3 anni, viene ricoverato in ospedale con ustioni di secondo grado, esito dell’ennesima sevizia a cui la madre lo ha sottoposto. In mancanza di prove certe, però, l’ospedale non può rivolgersi alle autorità. Il destino del piccolo pare segnato: “una cosa è dannatamente certa”. La voce [del medico] tremava di rabbia. “Quel bambino lì dentro è condannato. Qualunque cosa accada è condannato”. A 10 anni Thomas Bishop viene internato per aver ucciso sua madre, a 20 anni evade dall’ospedale psichiatrico organizzando una fuga rocambolesca, iniziando un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti, seminando terrore e lasciando dietro di sé una lunga scia di sangue.
Immediatamente si scatena un’imponente caccia all’uomo che vede coinvolta non solo la polizia, ma anche l’FBI, la stampa, la mafia, giudici e politici senza scrupoli, esperti criminologi, tutti beffati dall’astuzia di questo inafferrabile assassino che ha un solo obiettivo: eliminare tutte le donne dalla faccia della Terra.
L’autore dipinge in maniera agghiacciante l’infanzia e la psiche del protagonista, e la storia è un ottimo esempio di come bambini che sperimentano la figura di accudimento come fonte di minaccia e pericolo, anziché di protezione e affidabilità, sviluppino un grave attaccamento disorganizzato e rischino di essere violenti psicopatici in training (Levy & Orlans, 2000).
Cresciuto in una famiglia ad alto rischio, con un padre antisociale e violento e una madre alcolizzata, bugiarda, abusata, maltrattata e maltrattante, istituzionalizzato all’età di 10 anni, il piccolo Thomas sembra essere destinato a sviluppare un’assoluta mancanza di empatia e morale e comportamenti aggressivi e violenti: divenuto un predatore senza rimorso, estremamente intelligente, utilizza il proprio fascino, l’intimidazione e la violenza a sangue freddo per sfruttare gli altri e raggiungere i propri scopi, incarnando quella che viene definita una personalità psicopatica (Hare, 1996).
Thomas non ha memoria delle torture subite né di aver ucciso sua madre; la sua mente si è protetta dai numerosi traumi subiti attraverso meccanismi dissociativi, cosicché della madre ha solo ricordi dolcissimi. In momenti di forte tensione emotiva, però, rivive terrorizzato inspiegabili flashback che la sua mente dissociata non è in grado di integrare: l’immagine dolorosa della frusta che schiocca sulla sua testa e la sua vocina implorante “Mi dispiace mamma. Mi dispiace. Non volevo! Ti prego, non picchiarmi!” si stampano indelebili nel lettore che si ritrova, suo malgrado, a condividerne il dolore e a provare compassione per lui.
Ma Thomas Bishop era davvero certamente condannato a diventare il mostro che è diventato? E se non ha avuto scelta, allora quanto è responsabile dei crimini commessi e quanto siamo disposti ad assolverlo?