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Psicodinamica della Leadership e della Followership ne Il Grande Capo di Lars von Trier

Il Grande Capo - di Lars Von Trier (2006) Un analisi Psicodinamica a cura di Maria Chiara Pizzorno e Chiara Ghislieri

Di Redazione

Pubblicato il 07 Mag. 2013

Aggiornato il 11 Mag. 2021 17:33

Maria Chiara Pizzorno e Chiara Ghislieri.

 

PFF – Psicologia Film Festival

Psicodinamica della Leadership e della Followership

ne Il Grande Capo di Lars von Trier

 

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Recensione: Il Grande Capo di Lars Von Trier
“Il Grande Capo” di Lars Von Trier (2006). Locandina Cinematografica.

Il film Il Grande Capo, di Lars Von Trier, si configura come una sintesi delle forme estreme (eccessive, caricaturali, grottesche) delle dinamiche di potere nella vita organizzativa illustrando, in particolare, le conformazioni collusive che si possono innescare quando gli elementi narcisistici prendono il sopravvento.

Proviamo a rileggere alcuni aspetti del film, sulla base di questa prima riflessione, con riferimento a tre nuclei tematici principali.

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Essere o non essere il (Grande) Capo?

A differenza dei collaboratori di Ravn, gli spettatori scoprono subito, dalla trama, che in realtà il Grande Capo è Ravn stesso. Il nucleo drammatico di Ravn, nonché suo principale meccanismo di difesa, è la scissione di sé in una parte buona, che custodisce e ostenta, e una cattiva che nega e proietta sul Grande Capo, un personaggio di sua invenzione.

A essere proiettati all’esterno sono i desideri e sentimenti che generano emozioni insopportabilmente dolorose nel Sé, oppure quegli aspetti del Sé che non ci si autorizza ad esprimere. Nel caso di Ravn ad essere proiettati all’esterno sono principalmente i lati oscuri del potere.

Ciò che manca a Ravn è l’essenza della buona leadership che si fonda sull’equilibrio nel potere, inteso come capacità di bilanciare vulnerabilità e onnipotenza. Se l’espressione del primo aspetto (vulnerabilità) lo pone in una relazione di vicinanza con i sei anziani, gli garantisce la loro adesione e il loro “amore”, il secondo aspetto potrebbe comportare il rischio di far saltare la relazione: Ravn sceglie dunque di indulgere nella rappresentazione della vulnerabilità che arriva poi a condividere con i collaboratori nel momento in cui “crea” il Grande Capo, al quale affida la dimensione dell’onnipotenza, declinata come prevaricazione.

Di che cosa discutiamo quando discutiamo di cinema? - Immagine: © fergregory - Fotolia.com
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Il Grande Capo è la quintessenza delle perversioni del potere: ne illustra la dimensione più prepotentemente se-duttiva (nelle relazioni con le collaboratrici); ne esprime la connotazione dispotica ed intransigente; ne declina anche la componente di imprevedibilità e irascibilità.

Sono tutti aspetti, questi, che Ravn considera al contempo inaccettabili (inesprimibili) e desiderabili: proiettandoli all’esterno, sul Grande Capo, li allontana da sé (gestendone così l’inaccettabilità) ma ne mantiene il controllo (nutrendo il desiderio), visto che il Grande Capo è una sua creazione. Sarà quando il controllo sul Grande Capo verrà meno che Ravn si troverà ad invidiare la sua stessa creatura.

Fuggendo dalla propria Ombra e proiettandola sul Grande Capo, Ravn può conservarsi nella posizione della vittima innocente; può giocare da masochista avendo trovato chi fa la parte del sadico; può riservarsi il ruolo de “l’orsacchiotto” a cui è “impossibile non voler bene”, avendo dirottato tutta l’aggressività dei follower sul Grande Capo.

Ravn oscilla tra la fantasia di essere un Dio e quella di essere un pupazzo, e ciò che in fin dei conti sembra essergli precluso è l’intersoggettività, l’incontro con se stesso e con l’altro come centri di esistenza equivalenti (Benjamin, 1995). Egli, dunque, è catturato nell’immagine infantile che coltiva di sé, come essere buono e perfetto: la sua vita affettiva, affogata in un sentimentalismo esasperato e vuoto, è pregna di narcisismo infantile (molti sono i richiami al mondo dell’infanzia, nel film).

Il bisogno di vicinanza (di adesione), da parte dei sei anziani, non può essere messo in discussione, deve essere protetto, poiché essi sono il “pubblico” di cui Ravn ha bisogno per compensare le sue insicurezze (Kets de Vries, 1993). Allo stesso modo non può essere messo in discussione il bisogno di guadagnare denaro alle spalle dei sei anziani stessi, incompatibile però con il primo e più viscerale bisogno: ecco dunque la necessità della messa in scena.

Ma la rappresentazione non potrebbe realizzarsi se ad essa non partecipassero attivamente anche i collaboratori: Ravn può simulare la virtù grazie alla complicità dei collaboratori, grazie al loro desiderio di trovare e vedere quella virtù, perché sono tutti conniventi nel riprodurre la convenzione di ciò che è “buono”.

 

Non c’è capo senza coda

E, infatti, la complicità di collaboratori (la loro collusione) mantiene in vita e dà forma al potere del capo. Nel momento in cui manovra i suoi collaboratori per compiacere i propri bisogni narcisistici, Ravn compiace i loro. Si tratta pur sempre di un gioco a due, come spiega Kets de Vries ne L’organizzazione irrazionale (1999, pp. 114-115): “è la collusione narcisistica […] la persona in posizione subordinata dice: ‘Non posso funzionare senza la tua assistenza. Non posso farlo da solo’”.

Narcisismo e Leadership: gli svantaggi delle apparenze. Immagine: © 2011-2012 Costanza Prinetti
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I sei anziani si affidano totalmente a Ravn, al “grande orsacchiotto”, mentre si prestano ai soprusi del Grande Capo. La leadership di Ravn può dunque rappresentare la risposta adeguata allo stile di followership adottato dai sei anziani, perchè “gli individui che hanno bisogno di ammirazione e di plauso e che si trovano in posizione dominante saranno ben felici di ricambiare, facendo da controparte a questa attitudine servile. E gli inviti a seguirli – ‘tutte le preoccupazioni avranno fine se rimarrai accanto a me’ – sono accolte con entusiasmo dal dipendente” (ibidem).

È l’intonazione alla dipendenza a pervadere la vita organizzativa inscenata nel film, così come ritma la canzoncina: “Chi ci consolerà? Ravn. E chi ci abbraccerà? Ravn. Chi ci proteggerà? Ravn…”.

Ravn accudisce, sostiene e abbraccia è la reincarnazione “della madre di narcisismo primordiale, la madre che non conosce né limiti né condizioni, che sa soddisfare tutti i bisogni fondendoli in uno solo” (Gabriel, 1997, p. 246).

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Ma pur essendo Ravn il dispensatore di coccole, i sei anziani si sono a lungo contesi l’amore del Grande Capo, il grande assente, che rispondeva a pieno alle fantasie di essere follower di un capo onnipotente (Gabriel e Hirshhorn, 1999), un “padreterno” che decide, impone e punisce ma anche protegge (Quaglino, 2004). E quando Kristoffer passa da recitare la parte del Grande Capo a immedesimarsi in esso, sperimenta come sia impossibile “impersonare” il ruolo senza essere risucchiati dal vortice del potere, senza venirne sedotti e voler sedurre.

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Fare il capo… “dà alla testa”

Il Disturbo Narcisistico di Personalità, Intervista al Prof. Vittorio Lingiardi. - Immagine: Narcissus by Caravaggio (Galleria Nazionale d'Arte Antica, Rome)
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Essere cattivi è il desiderio e la paura sia di Ravn sia di Kristoffer; essere amati, allo stesso modo, è l’obiettivo che entrambi arrivano a condividere. Possiamo a questo punto ammettere l’affinità tra Kristoffer e Ravn, camuffata da quella strana combinazione di asprezze e finta-bonarietà di entrambi. Kristoffer è la perfetta controfigura di Ravn, non foss’altro perché ricorre, lui pure, alla “sostituzione”, alla creazione di un suo Grande Capo.

Il film illustra la complessità del controllo del potere: Kristoffer perde spesso il controllo del suo “personaggio”, ad esempio quando reagisce alle minacce dei collaboratori, svilendoli; ma anche Ravn perderà il controllo del Grande Capo, il quale non cederà la sua parte a comando, non smetterà di interpretare il ruolo quando gli verrà chiesto.

Soprattutto Ravn perderà il controllo del Grande Capo quando questi, trasformandosi in “superorsacchiotto”, prenderà il suo posto nel cuore dei collaboratori. Perché Kristoffer stesso, alla fine, sperimenterà il potere che dà alla testa, quello al quale non si riesce a rinunciare: il potere di “avere dei follower”, specchi sfaccettati capaci di amplificare l’immagine di sé, in una eco continua.

È così che, dopo la confessione di Ravn (e la punizione e il perdono), il film non si chiude con “e vissero felici e contenti”: Kristoffer infatti non è così propenso a cedere la parte del Grande Capo dopo averla a lungo interpretata. Una volta riguadagnata la scena tergiversa, decide di non firmare, ma è sufficiente una citazione del suo idolo, Gambini, da parte del Signor Finnur per fargli cambiare idea: l’attore vende la società e i sei anziani fanno le valige.

La conclusione recita, amaramente, come si resti imprigionati nello specchio di Narciso e come l’accesso a una vita autentica sia precluso, tanto a Ravn quanto a Kristoffer, e a tutti i sei anziani che, ancora una volta, sono rimasti fermi, in attesa, quasi certamente, di un altro Grande Capo.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Benjamin, J. (1995). Soggetti d’amore. Genere, identificazione, sviluppo erotico. Tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996.
  • Gabriel, Y. (1997). L’incontro con Dio. Tr.it. in Quaglino, G. P. (1999) (a cura di).
  • Gabriel, Y., Hirschhorn, L. (1999). Leaders and followers. In Y. Gabriel (1999), Organizations in Depht. Sage, London.
  • Kets de Vries, M.F.R. (1993). Leader, giullari e impostori.Tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994.
  • Kets de Vries, M.F.R. (1999). L’organizzazione irrazionale. La dimensione nascosta dei comportamenti organizzativi. Tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001.
  • Quaglino, G.P. (2004). La vita organizzativa. Difese, collusioni e ostilità nelle relazioni di lavoro. Raffaello Cortina Editore, Milano.
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