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Mind Wandering: come si misurano i processi cognitivi?

Come l’attenzione viene rapita e trascinata verso stimoli interni e scollegati dal contesto percepito in quel momento? il mind wandering.

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 06 Giu. 2012

 

MIND WANDERING: LEGGI GLI ALTRI ARTICOLI SU STATE OF MIND

Come si misurano i processi cognitivi legati al wandering?. - Immagine: © auremar - Fotolia.comLa maggior parte degli studi volti ad approfondire i processi attentivi, si sono occupati di approfondire come e perché la mente si diriga verso stimoli esterni percepiti come “interessanti” per qualsivoglia motivo, mentre poche sono le ricerche che si sono occupate di come l’attenzione venga rapita e trascinata verso stimoli interni (“train of thoughts”) e scollegati dal contesto percepito in quel momento (mind wandering). Le neuroscienze negli ultimi 10 anni hanno cercato di scoprire cosa succede nella mente durante i periodi di riposo, o meglio di assenza di un preciso compito cognitivo, e dalla registrazione dell’attività del Default Mode Network sono emersi due dati principali:

  • più del 50% dei nostri pensieri coscienti sono indipendenti dagli stimoli esterni (noti anche come Stimulus Indipendent Thoughts, SIT); 
  • sia i pensieri generati dal “dialogo interiore” che l’attività neurale ad essi associata non sembra correlata agli stimoli esterni percepiti in quel dato momento.

Secondo le principali ricerche condotte sull’argomento, il mind wandering rifletterebbe l’attività di due processi cognitivi centrali:

  • la capacità di estraniarsi dagli stimoli esterni (perceptual decoupling) e 
  • l’abilità di essere consapevoli  dei propri pensieri  in corso (“meta-awareness”).

Un dato interessante emerso dagli studi sul perceptual decoupling è che gli eventi mentali (pensieri, immagini,..) che si innescano indipendentemente dagli stimoli esterni sembrano interferire con il processo di analisi delle informazioni sensoriali provenienti dal contesto in cui siamo, mentre la consapevolezza di essere estraniati dalla realtà (meta-awareness) e di vagabondare senza meta tra i nostri pensieri rimane apparentemente intatta, il più delle volte.

Ma quali sono i parametri più frequentemente utilizzati per misurare il mind wandering?

Meditazione e wandering: un’alternanza che ci rende più consapevoli. - Immagine: © alphaspirit - Fotolia.com
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 “Mente distratta”: alcuni esperimenti (Smallwood, 2007) hanno dimostrato che durante l’attività di mind wandering, l’elaborazione degli stimoli esterni risulta deficitaria e carente, sia nei soggetti con una tendenza di base ad essere “assorti nei propri pensieri”, sia nei casi in cui il mind wandering viene indotto sperimentalmente. Il riconoscimento, l’identificazione e la memoria delle informazioni percettive cui vengono esposti i soggetti sperimentali durante il mind wandering, risultano significativamente deficitarie durante episodi di mind wandering.

Lettura e comprensione del testo: se è vero che l’attenzione appare dissociata dalle capacità percettive in presenza di SIT, allora la lettura e la comprensione di un testo potrebbero essere compromesse dalla presenza di questi pensieri; questa ipotesi è supportata dall’osservazione di una correlazione negativa tra episodi di mind wandering durante la lettura e accuratezza nella comprensione dei contenuti del testo. In particolare, sembra che la deficitaria comprensione sia legata al fatto che i SIT interferiscono con la capacità di immaginare un scenario della situazione raccontata, che sia sufficientemente dettagliato da permettere di fare deduzioni corrette rispetto alla narrazione che si sta leggendo. Insomma, si perde il filo durante la lettura di un racconto perché le incursioni improvvise dei nostri pensieri, non attinenti all’attività in corso, ci impediscono di creare e mantenere una cornice generale della storia che stiamo leggendo!

 

Self-report: nella maggior parte degli esperimenti, parallelamente ai compiti cognitivi e alle misure neuro cognitive, viene chiesto ai soggetti di segnalare la presenza di episodi di mind wandering ogni volta che accadono. E’ una misura soggettiva, ma utile da affiancare ad altri strumenti e interessante per verificare la consapevolezza o meno degli episodi di mind wandering.

 

MISURE NEUROCOGNITIVE:

Event Related Potentials (ERP): l’attenzione rivolta a stimoli esterni, aumenta in genere l’ampiezza delle risposte neurali evocate durante i compiti cognitivi somministrati, quindi la presenza di SIT dovrebbe ridurre l’ampiezza di questo potenziale. In un recente esperimento (Smallwood, 2008) ai partecipanti era richiesto di svolgere un semplice Go/No-go task  (basso carico cognitivo e maggiore capacità di generare SIT) durante il quale veniva loro chiesto, in modo intermittente, di svolgere compiti  cognitivi più complessi, in cui era invece necessario mantenere attenzione sostenuta nel tempo:  le ERP hanno mostrato un’ampiezza ridotta durante l’insorgenza di pensieri intrusivi provenienti dall’interno (SIT) rispetto ai momenti del compito in cui i soggetti erano concentrati sulle richieste a più alto carico cognitivo. Studi successivi, hanno evidenziato inoltre come la presenza di SIT sembra ridurre sia le risposte corticali (EPR) legate agli stimoli target che quelle legate ai distrattori utilizzati durante gli esperimenti, evidenziando come le deficitarie capacità attentive prodotte dal mind wandering siano legate allo spostamento dell’attenzione al servizio di un focus “interno” e consapevolmente orientato, ad esempio a  “mantenere il filo” dei propri pensieri, piuttosto che ad un mero processo di distrazione.

 

Spegnere il Cervello. La Meditazione per contrastare il Rimuginio. - Immagine: © hollymolly - Fotolia.com
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Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI):  l’area identificata come Default Mode Network (DMN), mostra una ridotta attività durante lo svolgimento di compiti a medio/alto carico cognitivo, mentre al contrario una maggiore attivazione del DMN sembra significativamente correlata ad una bassa performance in compiti che richiedono un’attenzione focalizzata sugli stimoli provenienti dall’esterno (Kim, 2011). Ulteriori prove del legame tra DMN e SIT vengono dagli studi che correlano l’attività rilevata durante l’fMRI con le misure di self-report richieste ai soggetti rispetto all’insorgenza di episodi di mind wandering, quando consapevole, durante la risonanza.

 

Movimenti oculari: recenti studi si sono occupati di quantificare il processo del mind wandering confrontando la registrazione dei movimenti oculari durante compiti di lettura e comprensione del testo, e durante episodi di mind wandering; questo metodo ha permesso di utilizzare una misura oggettiva e impossibile da controllare in modo volontario, dando la possibilità di osservare come cambiano i movimenti oculari in base al tipo di processo cognitivo in corso. In particolare vengono utilizzati il tempo di fissazione e il numero e l’ampiezza delle saccadi (Uzzaman, 2011) come indici su cui basare il confronto tra episodi di lettura normali e attività di mind wandering concomitante.

 

 

Nonostante il crescente numero di strumenti utilizzati dai ricercatori per intercettare e definire il vagabondare della mente, il mind wandering resta un’attività che sfugge il più delle volte al controllo consapevole, così come sfugge il suo ruolo nel funzionamento globale della nostra mente!

 

La frequenza e la diffusione di questa esperienza tuttavia, fa ipotizzare un legame importante tra questa attività di pensiero (apparentemente inutile e anzi dannosa per le nostre performance!) e la generale capacità dell’uomo di mantenere un stato di coscienza, un senso unitario di sé e un contatto con i propri pensieri…anche quando intorno regna il caos!

 

 

BIBLIOGRAFIA

                  

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