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Se menti al terapeuta

La tendenza a mentire in terapia è comprensibile alla luce di diversi meccanismi interpersonali, approfondiamo le principali motivazioni

Di Linda Confalonieri

Pubblicato il 03 Mag. 2024

Ti è mai capitato di mentire al terapeuta?

Parlare e aprirsi con un terapeuta può essere complesso, richiede una quota di coraggio nel mostrare anche parti di sé vulnerabili e ammettere a volte verità scomode anche a se stessi. A volte i pazienti ammettono di avere mentito in terapia

La tendenza a mentire in terapia è comprensibile alla luce di diversi meccanismi interpersonali che possono attivarsi nelle relazioni, e dunque anche in una relazione di aiuto; ad esempio, il timore del giudizio, e la necessità di mostrare una certa immagine di sé all’altro (Beaumeister, Hutton, 1987). Si può provare vergogna per ammettere di avere difficoltà ad alzarsi dal letto la mattina, nell’avere episodi di discontrollo sul cibo o nell’avere trattato male un amico. Tra le righe, si sente il timore del giudizio e di una valutazione del terapeuta quando il paziente esordisce con “Mi vergogno un po’ a dirlo, ma …” e ci rivela un’informazione significativa e emotivamente faticosa da condividere. 

Ma in generale la disonestà in terapia non è da considerarsi né rara né un’azione terribile e riprovevole, anzi va compresa nelle sue specificità e nelle motivazioni che la sostengono, senza sottovalutarne i rischi per la relazione terapeutica e per l’efficacia del trattamento.  

Uno studio di Blanchart, Berry e Faber (2016) effettuato su più di 500 pazienti adulti in psicoterapia ha rilevato che il 93% di essi aveva mentito almeno una volta al proprio terapeuta. E tra le menzogne più gettonate ritroviamo: fingere di apprezzare le indicazioni e i suggerimenti del terapeuta, dissimulare le motivazioni che hanno causato un ritardo nella seduta o la disdetta, negare la sensazione di insicurezza e minimizzare la propria sofferenza; tra altre tipologie di menzogne riferite si ritrovano, l’omettere di avere attrazione sessuale e/o innamoramento verso il/la proprio/a terapeuta e avere difficoltà nell’esprimere la volontà di terminare la terapia. Dalla survey è emerso che le motivazioni sottostanti le menzogne nella relazione terapeutica potevano essere svariate: “Volevo essere gentile nei confronti del terapeuta”, “Volevo evitare di deluderlo/a”, “Mi sentivo in imbarazzo nel parlare di un certo tema” oppure “Non mi sentivo a mio agio nel parlare di quell’argomento”

D’altro canto, se aprirsi e condividere parti intime e vulnerabili di sé ha dei costi, vi sono altrettanti rischi nel mascherare la verità in terapia, tra cui aumentare la probabilità di inefficacia della terapia e di drop-out. 

È importante quindi assumere una prospettiva di maggiore comprensione della tendenza a mentire al proprio terapeuta, anzitutto non sentendosi i soli ad attuare questo comportamento, e quindi legittimarsi a svelarlo per comprendere in terapia perché essere onesti su alcuni temi può essere così faticoso. 

Perché capita di mentire in terapia?

Ricapitolando, alcune motivazioni spingono le persone a mentire al proprio terapeuta

  • Il timore del giudizio, la paura di essere criticati, l’imbarazzo: per evitare il rischio di un giudizio negativo e della critica, il paziente si trova a mentire, anche per omissione. È importante ricordare che un buon terapeuta non giudica chi ha di fronte, ma aiuta il paziente a comprendere perché si sente così vulnerabile alla critica e al giudizio negativo; 
  • La tendenza a voler compiacere il terapeuta: in questo caso le menzogne hanno lo scopo di non mettere a disagio l’altro, di non deluderlo e di non renderlo scontento o irritato, o di offenderlo, condizione che viene vista intollerabile dal paziente che teme il rifiuto, l’abbandono, e la disapprovazione. D’altra parte, l’espressione di feedback sinceri e autentici, seppure di carattere negativo, sono invece opportunità di miglioramento e crescita della relazione terapeutica. 
  • Evitare di provare emozioni dolorose: omettere la verità, evitare di affrontare certi temi può fondarsi sulla credenza che non parlare di certe cose può proteggerci dall’esperire emozioni intense negative. Tuttavia, ben sappiamo che l’evitamento e la soppressione emotiva non sono strategie funzionali e adattive di regolazione emotiva e di rielaborazione di esperienze negative. 

Condividere in piena onestà i propri vissuti e parti di sé emotivamente faticose, è una sfida che comporta diverse opportunità: anzitutto, apre alla possibilità di ricevere aiuto e supporto sui punti salienti e contribuisce alla costruzione della fiducia nella relazione terapeutica. Riconoscere, legittimare ed esprimere imbarazzo e vergogna in terapia, così come ammettere di avere mentito, può quindi divenire un punto di svolta, in cui il terapeuta ha la responsabilità di accogliere, riconoscere ed elaborare con il paziente queste tematiche per la costruzione di una relazione più affidabile, sicura e aperta. 

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Linda Confalonieri
Linda Confalonieri

Redattrice di State of Mind

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Matt Blanchard & Barry A. Farber (2016) Lying in psychotherapy: Why and what clients don’t tell their therapist about therapy and their relationship, Counselling Psychology Quarterly, 29:1, 90-112, DOI: 10.1080/09515070.2015.1085365
  • Baumeister, R.F., Hutton, D.G. (1987). Self-Presentation Theory: Self-Construction and Audience Pleasing. In: Mullen, B., Goethals, G.R. (eds) Theories of Group Behavior. Springer Series in Social Psychology. Springer, New York, NY. 
  • Lying to therapists is common but comes at a cost. Here’s what to do instead. – The Washington Post
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