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Gratitudine e Neuroscienze: come cambia il nostro cervello quando alleniamo la gratitudine

Le neuroscienze hanno approfondito gli effetti positivi a livello neuronale della gratitudine, evidenziando cambiamenti sinaptici nel nostro cervello

Di Caterina Carosi

Pubblicato il 08 Mar. 2022

La gratitudine è un’emozione complessa che consiste nella capacità di riconoscere le cose buone nel mondo e nella propria vita, anche al di fuori di sé stessi  (Emmons, R. A., & Mishra, A. 2011). 

 

La gratitudine è una delle ‘emozioni empatiche’ che affondano le loro radici nella capacità di entrare in empatia con gli altri e ha un tema relazionale centrale, che sta nel riconoscimento o l’apprezzamento di un dono altruistico (Lazarus e Lazarus, 1994) che, se praticato con costanza, può rendere la nostra vita più serena nel rapporto individuale e relazionale (Emmons, R. A., & Mccullough, M. E., 2003) e sviluppare benefici emotivi e cognitivi in grado di migliorare l’approccio quotidiano alla vita. È stato dimostrato che la gratitudine può nascere da un gesto di gratificazione o un dono altruistico spontanei e disinteressati e dalla soddisfazione di bisogni fondamentali per chi li riceve (Tesser et al., 1968). È associata a benefici per il benessere soggettivo (Emmons e McCullough, 2003; Froh et al., 2008), all’aumento della resilienza al trauma (Kashdan et al., 2006) e a benefici per le relazioni sociali (Algoe et al., 2008). Inoltre i soggetti che dimostrano maggiore gratitudine sono anche quelli che mostrano un maggiore benessere psicologico (Wood et al., 2008a).

Il legame tra gratitudine e benessere

In uno dei suoi studi più famosi dal titolo Why gratitude enhances well-being: What we know, what we need to know, Emmons individua le possibili relazioni tra benessere e gratitudine:

  • migliora l’adattamento allo stress e la crescita personale: riflettere sulle circostanze della propria vita per chi è grato è un modo più efficace per affrontare eventi di vita stressanti, sia acuti che cronici.
  • Riduce le emozioni tossiche derivanti dal confronto sociale: una persona grata per la sua qualità della vita avrà meno possibilità di incorrere in invidie sociali derivanti dall’osservazione di condizioni sociali più vantaggiose della sua.
  • Riduce le aspirazioni materialistiche: gratitudine e materialismo sono due spinte motivazionali opposte. La gratitudine può aiutare il benessere motivando le persone a soddisfare i bisogni fondamentali di crescita personale, relazioni e comunità. Finalità, queste, incompatibili con fini materiali.
  • La gratitudine migliora l’autostima: è un potente alleato della felicità e ricevere riconoscimenti dalle persone alle quali si mostra gratitudine è un viatico per migliorare l’autostima personale.
  • Favorisce il recupero di ricordi positivi: la gratitudine si prova maggiormente facendo riferimento ad eventi che stimolano emozioni piacevoli.
  • Aumenta le nostre risorse sociali: il nostro pensiero formula intenzioni positive verso l’altro e ci predispone alla relazionalità.
  • Motiva il comportamento morale: favorisce comportamenti prosociali che intensificano la nostra attività positiva nella società. Un buon comportamento verso l’altro si traduce in un buon insegnamento.
  • Favorisce il raggiungimento degli obiettivi: un approccio più positivo alla vita può favorire comportamenti più determinati al raggiungimento dei propri desideri.

Gli effetti della gratitudine a livello cerebrale

Ma questi benefici hanno conseguenze sul nostro cervello? La gratitudine può essere la chiave della felicità? Le neuroscienze hanno approfondito in questi anni di ricerca gli effetti positivi a livello neuronale per chi allena la gratitudine, evidenziando reali cambiamenti sinaptici nel nostro cervello ed i loro correlati neurobiologici. Attraverso l’utilizzo di esami strumentali di neuroimaging come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) i ricercatori Fox, Kaplan e Damasio pubblicarono uno studio nel 2015, con lo scopo di sollecitare l’emozione complessa della gratitudine attraverso le regioni cerebrali coinvolte nella cognizione morale, nel giudizio, nell’emozione positiva e nella Teoria della Mente. Nell’indagine i ricercatori si concentrarono sulla gratitudine che nasce dal ricevere un ‘dono’, che interessa un donatore e chi lo riceve;  Il termine ‘dono’, di tipo altruistico, si riferisce sia ai doni materiali, come cibo o vestiti, sia ai doni immateriali sotto forma di aiuto o supporto psicologico, identificando la gratitudine come un riconoscimento sociale.

Vennero somministrate storie tratte dall’Olocausto, presenti nell’archivio di storia visiva della USC Shoah Foundation. L’archivio è ad oggi composto da oltre 50.000 testimonianze videoregistrate di sopravvissuti tra le quali troviamo racconti di persone salvate o aiutate da altri attraverso cibo, riparo o vestiti. In queste storie, i sopravvissuti spesso riportano forti sentimenti di gratitudine. Infatti ai soggetti veniva chiesto di immedesimarsi nel periodo storico in oggetto e di immaginare di ricevere doni altruistici da estranei che si trovavano con loro in quel particolare momento storico. Per ogni regalo ricevuto dovevano descrivere quanto si sentivano grati.

I partecipanti hanno valutato la loro gratitudine per ogni regalo su una scala da 1 a 4. La media dei voti di gratitudine dei partecipanti era 2,62. I partecipanti a fine esperimento rivelarono che si erano sentiti coinvolti, con un aumento della loro empatia e una maggiore comprensione per i fatti riguardanti l’Olocausto.

Ai fini della ricerca i risultati confermarono le ipotesi iniziali: le aree cerebrali maggiormente coinvolte nell’esperienza della gratitudine risultarono essere la corteccia cingolata anteriore e la corteccia prefrontale mediale.

Gli effetti della gratitudine sulle aree frontali

Ma quali sono gli effetti sulle aree frontali cerebrali? Partendo ormai dall’evidenza della presenza di una relazione tra scambio di doni e gratitudine, uno studio di Balconi del 2019 mirava a indagare se e come lo scambio di doni altruistici potesse influenzare il comportamento, l’attività neurale e l’aumento e il miglioramento delle prestazioni cognitive, attraverso la percezione della cooperazione. L’esperimento consisteva in un’attività di cooperazione tra due soggetti nell’atto di scambiarsi un dono, utilizzando dell’iperscansione basata su EEG, che consente di ottenere una migliore risoluzione temporale e di registrare le interazioni dei due soggetti momento per momento .

I risultati hanno rivelato che lo scambio aveva effetti positivi sulle risposte comportamentali, con il coinvolgimento di una specifica rete neurale che recluta le aree frontali: la corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC). Effetti riscontrabili sia per il donatore che per il ricevente. Per l’indagine l’empatia si è rivelata fondamentale per l’interazione sociale e il meccanismo alla base viene spiegato dalla relazione tra i due soggetti nell’attivazione automatica di rappresentazioni condivise, che comporta anche un miglioramento delle capacità cognitive. Tuttavia, si legge nello studio, oltre alle ragioni altruistiche prosociali, potrebbero essere coinvolti meccanismi egoistici, come il desiderio di ricevere attenzione (Batson, 2009). Di conseguenza, quando gli individui eseguono un comportamento prosociale (come offrire un beneficio a qualcuno), quest’ultimo può essere considerato come un mezzo strumentale per ottenere un guadagno personale. Nello specifico, anche in assenza di evidenti ricompense esterne, offrire un beneficio ad un altro individuo comporta una forma di guadagno personale che viene percepita dal benefattore come ricompensa personale e autocompiacimento (Cialdini e Kenrick, 1976; Bandura, 1977).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Batson, C. D. (2011). Altruism in humans. Oxford University Press, USA.
  • Balconi, M., Fronda, G., & Vanutelli, M. E. (2019). A gift for gratitude and cooperative behavior: brain and cognitive effects. Social cognitive and affective neuroscience, 14(12), 1317-1327.
  • Bandura, A. (1977). Self-efficacy: toward a unifying theory of behavioral change. Psychological review, 84(2), 191.
  • Cialdini, R. B., & Kenrick, D. T. (1976). Altruism as hedonism: A social development perspective on the relationship of negative mood state and helping. Journal of personality and social psychology, 34(5), 907.
  • Emmons, R. A., & Mccullough, M. E. (2003). Counting blessings versus burdens: An experimental investigation of gratitude and subjective well-being in daily life. Journal of Personality and Social Psychology, 84(2), 377-389.
  • Emmons, R. A., & Mishra, A. (2011). Why gratitude enhances well-being: What we know, what we need to know. Designing positive psychology: Taking stock and moving forward, 248-262.
  • Fox, G. R., Kaplan, J., Damasio, H., & Damasio, A. (2015). Neural correlates of gratitude. Frontiers in psychology, 6, 1491.
  • Froh, J., Sefick, W., e Emmons, R. (2008). Contare le benedizioni nei primi adolescenti: uno studio sperimentale sulla gratitudine e sul benessere soggettivo. J. Sch. Psychol. 46, 213–233. DOI: 10.1016/j.jsp.2007.03.005
  • Kashdan, T., Uswatte, G., e Julian, T. (2006). Gratitudine e benessere edonico ed eudaimonico nei veterani della guerra del Vietnam. Comportati. Res. Ther. 44, 177–199
  • Lazarus, R. S., & Lazarus, B. N. (1994). Passion and reason: Making sense of our emotions. New York: Oxford University Press.
  • Tesser, A., Gatewood, R., e Driver, M. (1968). Alcuni determinanti della gratitudine. J. Pers. Soc. Psychol. 9, 233–236.
  • Wood, A., Joseph, S., e Maltby, J. (2008a). La gratitudine predice in modo univoco la soddisfazione per la vita: validità incrementale al di sopra dei domini e delle sfaccettature del modello a cinque fattori. Personale. Indiv. Diff. 45, 49–54.
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