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Terapia dell’Esposizione Narrativa: NET

La Terapia dell'Esposizione Narrativa (NET) propone un approccio graduale al trauma, portando la persona a integrare memoria calda e memoria fredda

Di Giada Alberti

Pubblicato il 04 Feb. 2021

La Terapia dell’esposizione narrativa (NET) è principalmente applicata nell’ottica delle sindromi trauma correlate.

 

Tra i principali obiettivi della Terapia dell’esposizione narrativa vi è quello di vedere e trattare le connessioni in una storia di politraumatizzazione, infatti si concede una particolare attenzione all’autobiografia del paziente. Inizialmente infatti la persona disegna la propria linea della vita, dunque la propria biografia, come se fosse una sorta di mappa per vedere più chiaramente e meno caoticamente la concatenazione degli eventi e le riattualizzazioni post traumatiche. Questa mappatura permette un’immediata simbolizzazione e permette di vedere inseriti gli eventi traumatici con altri eventi piacevoli; gli eventi traumatici sono rappresentati graficamente con delle pietre mentre quelli piacevoli con dei fiori; ci soffermeremo successivamente sulla stesura della linea della vita.

La rielaborazione delle esperienze traumatiche non è mai un percorso isolato e lineare, ma è sempre inserito nel contesto in cui è avvenuto l’evento stesso e nella storia di vita nella sua totalità. Nelle persone che hanno vissuto esperienze traumatiche, soprattutto in età precoce, si creano delle fratture nella narrazione della loro storia nella totalità perché l’energia psichica viene impiegata nella gestione della riattivazione post-traumatica e nella gestione dei sintomi che non permettono di vedere e collocare l’esperienza traumatica nel passato. Là dove è presente una storia di sviluppo traumatico spesso ci sono delle linee della vita ‘interrotte’ che richiedono una ristrutturazione narrativa e di un’esposizione conversazionale che dia anche senso non solo ai ricordi traumatici ma a tutta la biografia. La concettualizzazione del trauma come un evento che ‘erode’ parti dell’autobiografia aiuta a capire il principio sottostante alla NET. La NET è un’integrazione della terapia della testimonianza, le tecniche espositive e tiene particolarmente conto dei diritti umani. La terapia della testimonianza era inizialmente utilizzata da due psicologhe cilene che per la loro sicurezza scrissero degli articoli con due pseudonimi, Cienfuegos e Monelli (1983), che avevano pensato questo tipo di intervento con persone che vivevano o avevano vissuto una situazione di conflitto bellico e dove vi era stata una violazione dei diritti umani. In questo approccio le persone sono incoraggiate a raccontare le loro storie dove sono presenti anche le esperienze traumatiche. Viene data particolare attenzione al contesto politico degli eventi traumatici, anche per questo le storie vengono registrate e trascritte formando poi un documento che contiene l’intera autobiografia e quindi l’intera storia di violenze; il paziente sceglierà come utilizzare il documento, così come nella NET. Invece le tecniche espositive propongono modelli di esposizione al ricordo del trauma per accompagnare il paziente dentro il ricordo dell’evento traumatico gradualmente e favorire la sua rielaborazione. Tra le tecniche più note vi sono:

  • Esposizione prolungata (Foa, Rothbaum)
  • Trauma focused CBT (Cohen e Mannarino)
  • EMDR (Shapiro)
  • Brief Eclectic Psychotherapy for PTSD (Gersons)

Questi tipi di terapia basati sull’esposizione hanno come obiettivo la stimolazione di cambiamenti nella risposta alla paura cercando di inserire informazioni nuove, il confronto con i ricordi traumatici e i trigger durante le esperienze in vivo o immaginative. In alcuni di questi approcci esiste una componente narrativa mentre si ripercorre il ricordo traumatico ma questo elemento si focalizza sull’evento traumatico piuttosto che sull’intera autobiografia; inoltre in alcuni di questi approcci terapeutici l’obiettivo dell’assessment è il ricordo traumatico più disturbante e dunque l’identificazione dell’index trauma. Nella NET invece l’enfasi è sulla creazione di una narrazione coerente della vita del paziente per integrare il ricordo traumatico nel contesto di vita e l’obiettivo dell’assessment è avere una panoramica degli eventi traumatici che potrebbero tornare durante la narrazione. La NET rispetto alla Cognitive Processing Therapy si occupa maggiormente dei processi automatici in relazione con gli aspetti sensoriali, emotivi e fisiologici e si rifà a questo modello terapeutico utilizzando la psicoeducazione per facilitare la consapevolezza tra pensieri ed emozioni.

La NET propone un approccio graduale al ricordo traumatico, infatti inizialmente il paziente crea la propria linea della vita e illustra l’intera biografia per poi entrare gradualmente nell’esposizione del ricordo traumatico aspettando il picco dell’arousal. Inoltre, come detto prima, non vi è un index trauma ma ci si focalizza su tutti i traumi ripetuti e complessi; basti pensare all’origine di questa terapia che si rivolgeva principalmente alle vittime di guerre o individui che avevano subito violenze ripetute non solo nel contesto sociale ma anche familiare. Il tipo di esposizione utilizzato è quello conversazionale guardando al ciclo di vita della persona, utilizzato per fare connessioni e monitorare l’intensità emotiva nel qui ed ora.

La NET mira alla contestualizzazione dell’evento traumatico in quanto il trauma per definizione decontestualizza l’esperienza estrema e lascia la persona in un senso di pericolo costante che non riesce più a collocare nel tempo. I sintomi post traumatici non derivano tanto dall’evento quanto piuttosto dal risultato di una rappresentazione interna dell’evento, strettamente connessa alla memoria. Brewin non a caso definisce il trauma ‘una vulnerabilità della memoria’; i ricordi traumatici sono più emotivi e intrusivi in quanto connessi a una rievocazione involontaria. La NET fa in modo che il trauma venga ricordato e la persona integri memoria calda e memoria fredda, i processi legati sia all’amigdala che all’ippocampo. Il trauma implica una frattura tra memoria implicita e esplicita che insieme compongono la memoria autobiografica. I ricordi degli eventi traumatici si strutturano in ‘reti di paura’ nelle quali dominano informazioni sensoriali e percettive non contestualizzate e senza un aggancio a informazioni autobiografiche (Schauer et al., 2005; Schauer et al., 2012); l’attivazione di queste reti neuronali connesse alla paura fa ritornare e lascia la persona bloccata all’evento traumatico. Molti pazienti con sintomi trauma correlati imparano ad evitare le possibili riattivazioni che funzionano come porta alla rievocazione, cercano di non pensare, di stare lontani da persone o luoghi che rievocano l’evento traumatico. Proprio per questo individui con sintomi post traumatici fanno fatica ad associare la paura ad eventi collocati nel tempo e nello spazio, infatti non riescono a strutturare gli eventi traumatici secondo una sequenza cronologica. Tornando sui concetti di memoria calda e memoria fredda, che insieme formano la memoria autobiografica, la prima è implicita ed involontaria, fatta di pensieri, sensazioni e risposte fisiologiche, di immagini sensoriali e percettive dettagliate a cui si accede involontariamente e che sono alla base degli incubi e dei flashback. La memoria fredda è accessibile verbalmente ed è contestualizzata, può essere attivata sia volontariamente che involontariamente. Questo tipo di memoria permette di avere una posizione allocentrica e quindi di guardare dall’esterno le proprie esperienze. In pazienti con disturbo da stress post traumatico le esperienze traumatiche non sono integrate così come non lo sono la memoria calda e la memoria fredda. La percezione costante di minaccia e pericolo è connessa all’attivazione dell’amigdala nel sistema limbico che regola la memoria calda e la rete della paura (centro della memoria emotiva). Mentre la corteccia prefrontale analizza e risolve i problemi e impara dall’esperienza connessa nello specifico all’ippocampo e al concetto di memoria fredda. Un modo che la NET utilizza per integrare memoria calda e memoria fredda è quello della narrazione autobiografica raccolta e trascritta dal terapeuta. La linea della vita infatti inizia con la nascita e arriva fino al momento presente e il terapeuta prenderà nota, scriverà la sua narrazione e poi la rileggerà all’inizio di ogni seduta prima che si inizi a raccontare di un altro evento; ciò permette di fare più esposizioni narrative in un contesto protetto. La linea della vita nello specifico serve a ridefinire la descrizione di sé, riordinare le emozioni post traumatiche sia rispetto agli eventi specifici che ad eventi generali, restituire una storia di vita dove eventi traumatici siano contestualizzabili. La narrazione dell’intera biografia diventa un documento che rappresenta a livello simbolico il percorso della vita del paziente, che raccoglie l’integrazione dei traumi vissuti e promuove l’empowerment, oltre ad essere un deterrente al drop out. La biografia viene scritta e firmata sia dal paziente che dal terapeuta, sarà dunque importante lavorare anche su una buona alleanza terapeutica.

La NET aiuta il paziente a costruire la narrazione attraverso la linea della vita, l’esposizione conversazionale e la proiezione verso il futuro e offre una testimonianza, una raccolta dell’autobiografia della persona. Passiamo ora più nello specifico al protocollo e alla procedura di questa terapia. Tra la prima e la quarta seduta il terapeuta si occupa della valutazione psicodiagnostica e avvia la psicoeducazione. La valutazione psicodiagnostica viene integrata nel colloquio clinico nel quale però si cerca di notare la possibile esposizione ad eventi traumatici, i sintomi e il funzionamento generale. La psicoeducazione servirà per normalizzare, per legittimare i sintomi e vederli come reazioni adattive che hanno permesso la sopravvivenza e per descrivere il processo terapeutico. Il terapeuta da subito quindi è un coregolatore emotivo che facilita la stabilizzazione emotiva. La quarta e la quinta seduta sono incentrate ancora sulla psicoeducazione e si inizia a costruire la linea della vita con un disegno o con altri strumenti, ma non attraverso il racconto vero e proprio. La linea della vita viene costruita dunque dopo la fase psicodiagnostica in una seduta sola che può durare dai 90 ai 120 minuti e offre al terapeuta una panoramica biografica lungo una linea temporale. La linea della vita si può costruire con materiali simbolici (fiori, pietre, bastoncini) o si possono disegnare. Lungo la linea della vita si mettono i nomi sui periodi significativi e poi il paziente dà un nome anche agli specifici eventi; il terapeuta segue la cronologia nella stesura della linea della vita e poi farà una foto per ricordare come era strutturata. Il terapeuta può stabilire da subito dove possono essere presenti dei picchi di arousal e allo stesso tempo deve ricordare al paziente di non raccontare subito gli episodi rassicurandolo che vi sarà uno spazio dedicato alla narrazione nelle sedute successive. In questa fase il terapeuta osserva il linguaggio del corpo e le possibili strategie di evitamento che il paziente mette in atto dinnanzi a uno specifico episodio e che potrebbero rallentare l’avvicinamento alle ‘pietre’ durante la vera e propria narrazione. Il terapeuta in questa fase, così come in tutte le altre, dovrà essere in grado di stare nell’ambivalenza e nella dialettica e di spiegare al paziente che in quella relazione sicura le cose indicibili possono diventare dicibili e che qualora volesse interrompere il trattamento sarà libero di farlo. Solo dopo la quinta seduta inizia la narrazione della linea della vita. Il paziente narra avendo davanti a sé la linea della vita che di volta in volta viene riletta e sulla quale si possono inserire altri dettagli, infatti questa è molto dinamica e può cambiare nel corso della terapia se il paziente lo desidera o emergono altri eventi. Le ‘pietre’, che simbolicamente rappresentano gli eventi traumatici, vengono raccontate usando l’esposizione e sapere preventivamente dove ogni pietra è posizionata nella linea della vita permette al terapeuta di pianificare il trattamento, sebbene egli debba costantemente osservare e rallentare qualora vi sia un cambiamento nella narrazione o vi sia un’eccessiva attivazione fisiologica ed emotiva. Alla fine della terapia ci si focalizzerà sul futuro, sulla rilettura della narrazione e si consegnerà al paziente l’autobiografia. Il cuore della terapia è l’esposizione ‘conversazionale’, che inizia dopo la quinta seduta orientativamente; attraverso questa esposizione il terapeuta e il paziente oscillano tra il qui ed ora e il lì ed allora per contestualizzare l’evento traumatico e lavorare sulle reti della paura, attraverso domande come: cosa senti? Cosa hai sentito? Cosa pensi? Cosa hai pensato? Questa oscillazione serve per evitare un possibile switch dissociativo. L’esposizione prevede diverse riletture per rafforzare la coerenza cognitiva, la riflessività e la costruzione di un significato diverso rispetto alle esperienze traumatiche. Il paziente espone l’evento traumatico una sola volta in una seduta di 90 minuti ma il protocollo NET prevede la rilettura degli eventi narrati la seduta precedente. Nel corso della narrazione e dell’esposizione conversazionale il terapeuta cerca di integrare la memoria fredda e quella calda oltre che il passato e il presente. Le domande che egli potrà fare per stimolare i circuiti neuronali connessi alla memoria fredda sono: quali erano le circostanze prima dell’evento traumatico? Quando è successo? Dove? Chi e cosa c’era? Quale era il contesto? Che cosa è successo? Mentre le domande per stimolare l’integrazione con la memoria calda e quindi le informazioni sensoriali sono: Cosa hai sentito? Cosa hai pensato? Cosa ha significato per te? Cosa sentivi nel corpo? Il terapeuta si occuperà poi di confrontare il prima con il presente e quindi chiederà cosa sente e cosa pensa ora. Il terapeuta già esperto nel protocollo NET saprà riconoscere quando ci si sta avvicinando a una ‘pietra’, infatti il paziente solitamente può iniziare a diventare impaziente, cercare di accelerare nella narrazione della storia e aumentare l’iperattivazione connessa ai sintomi e alle sensazioni fisiche. Il terapeuta quindi dovrà essere in grado di procedere con più calma e cautela per poi passare all’integrazione. Il terapeuta sostiene la rielaborazione del ricordo seguendo la reattività emotiva del paziente e per prevenire la dissociazione e l’evitamento dovrà tenere il paziente nel presente mentre parla di un evento del passato ancora troppo attivante; potrebbe essere utile in questi casi fare esercizi di grounding. Il terapeuta dovrebbe evitare:

  • di continuare nell’esposizione se si sente di aver perso il filo della narrazione,
  • l’interpretazione nel corso del racconto del paziente,
  • di lasciare che la narrazione vada avanti per troppo tempo senza aver fatto sentire almeno un minimo la propria voce per fare in modo che l’esposizione sia conversazionale,
  • di temere di esplorare la vergogna per evitare nel paziente la percezione di essere rifiutato,
  • di parlare solo al presente,
  • di nascondere in modo eccessivo le proprie emozioni e favorire una connessione emotiva e visiva nel corso dell’esposizione.

Il protocollo NET è relativamente semplice ed è applicabile in diversi contesti e culture; la difficoltà nell’applicazione di questo protocollo è quella di riuscire a contenere emotivamente il paziente e di non farlo uscire dalla finestra di tolleranza ma allo stesso tempo riuscire a stare nel vissuto traumatico del paziente. Oltre 20 trial clinici con bambini ed adulti che hanno vissuto diversi tipi di trauma hanno dimostrato che la NET è efficace nel modulare i sintomi post traumatici ad ampio spettro, al di là della cultura di riferimento. Inoltre evidenze scientifiche hanno dimostrato che la NET è il trattamento di elezione per le migrazioni difficili e i traumi estremi. I miglioramenti sono maggiormente visibili dopo la fine del trattamento; pur essendo relativamente breve garantisce un cambiamento strutturale nella percezione di sé e nella gestione dei trigger. Studi scientifici mostrano come la NET migliori la qualità della vita, la salute fisica ed è utile per inibire la trasmissione intergenerazionale del trauma.

Per concludere i punti deboli della NET potrebbero essere: la mancanza di linee guida e di fasi specifiche dedicate alla stabilizzazione dei sintomi, la mancanza di sperimentazione per quanto riguarda gli anziani e i bambini molto piccoli. I punti di forza invece sono: la ricostruzione completa dell’autobiografia della persona, l’esplorazione secondo la costruzione narrativa del paziente e il possibile passaggio simbolico che essa permette.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Brewin, C. R. (2001). Memory processes in post-traumatic stress disorder. International Review of Psychiatry, 13(3), 159–163.
  • Cienfuegos, A. J., & Monelli, C. (1983). The testimony of political repression as a therapeutic instrument. American Journal of Orthopsychiatry, 53(1), 43–51.
  • Schauer, M., Neuner, F., & Elbert, T. (2005). Narrative exposure therapy: A short-term intervention for traumatic stress disorders after war, terror, or torture. Ashland, OH: Hogrefe & Huber.
  • Schauer, M., Neuner, F., & Elbert, T. (2012). Narrative exposure therapy (NET): A shortterm intervention for traumatic stress disorders (2nd ed.). Göttingen, Germany: Hogrefe & Huber.
  • McPherson, J., (2012). Does Narrative Exposure Therapy reduce PTSD in survivors of mass violence? Research on Social Work Practice 22 (1), 29–42.
  • Elbert, T., Schauer, M., Neuner, F., (2015). Narrative Exposure Therapy (NET) – reorganizing memories of traumatic stress, fear and violence. In: Cloitre, Schnyder (Eds.), Evidence Based Treatments for Trauma Related Disorders: A Practical Guide for Clinicians.
  • Gwozdziewycz, N., Mehl-Madrona, L., (2013). Meta-analysis of the use of Narrative Exposure Therapy for the effects of trauma among refugee populations. The Permanente Journal 17 (1), 70.
  • Halvorsen, J.Ø., Stenmark, H., (2010). Narrative Exposure Therapy for posttraumatic stress disorder in tortured refugees: a preliminary uncontrolled trial. Scandinavian Journal of Psychology 51 (6), 495–502.
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