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Primo Soccorso Psicologico

Il Primo Soccorso Psicologico è un protocollo di intervento ad 8 fasi in ordine prestabilito da applicare subito dopo un disastro o di una calamità

Di Laura Baldrati

Pubblicato il 24 Giu. 2020

La NCTSN propone un programma di formazione a distanza della durata di 6 ore sulle tecniche di Primo Soccorso Psicologico (Psychological First Aid).

 

The NCTSN National Child Traumatic Stress Network è un’organizzazione americana che riunisce 150 centri per la salute pubblica; la coordinano e supervisionano due prestigiose università: l’UCLA in California e la Duke University nel North Carolina.

La NCTSN nasce negli Stati Uniti con l’obbiettivo di implementare gli standard assistenziali dei servizi rivolti a bambini, famiglie e adulti coinvolti in eventi altamente traumatici ad alto impatto emotivo. Nello specifico l’organizzazione forma e supervisiona il personale sanitario e non sanitario chiamato ad effettuare interventi di primo soccorso nel corso di disastri naturali, attacchi terroristici, gravi incidenti stradali.

La NCTSN propone un programma di formazione a distanza della durata di 6 ore sulle tecniche di Primo Soccorso Psicologico (Psychological First Aid).

Il training offre contenuti teorici, presentazioni di casi reali e simulazioni video per esercitarsi ad applicare le tecniche di intervento in modo corretto.

La NTCS ha dato vita anche a un’ampia Learning Community dove è possibile accedere a contenuti e risorse sia durante la fase formativa sia durante i successivi interventi sul campo.

Il Corso si ispira ai cinque principi di base del Primo Soccorso Psicologico:

  • Sicurezza
  • Calma
  • Connessione
  • Autoefficacia ed efficacia di comunità in termini di appartenenza a un gruppo
  • Speranza

Il PFA è un protocollo di intervento da applicare nelle fasi immediatamente successive al verificarsi di un disastro o di una calamità:

  • è un protocollo destinato a bambini, adulti e famiglie e al personale coinvolto e nei soccorsi;
  • contiene le forme acute di stress presenti in una situazione emergenziale;
  • promuove le capacità di coping che facilitano un adeguato funzionamento psichico anche dopo un trauma;
  • crea una rete di servizi utili ai sopravvissuti, fornendo loro le risorse necessarie per affrontare l’emergenza;

Le fasi di intervento del PFA sono otto e si succedono secondo un ordine prestabilito. Ciascuna fase è lo step di un piano di intervento strutturato.

Vediamo quali sono le otto fasi di intervento:

1 – Stabilire un contatto e una presa in carico

Il primo obbiettivo è stabilire un contatto con i sopravvissuti; per farlo occorre attenersi a un’indicazione: “osserva in modo attento prima di effettuare un intervento”. “Tieni a mente che stabilire un contatto con un superstite non significa necessariamente avviare una presa in carico”.

Il primo contatto ha caratteristiche definite:

  • tiene conto delle specificità individuali del sopravvissuto legate all’ appartenenza a uno specifico contesto culturale e/o religioso
  • risponde a bisogni immediati e contingenti
  • tutela la privacy: i contenuti condivisi fra soccorritore e superstite rimangono strettamente confidenziali;

La presa in carico successiva avviene secondo il seguente ordine di azioni:

  • Osservazione
  • Valutazione: chi fra i superstiti necessita di assistenza immediata? Molti superstiti non cercano aiuto in modo autonomo, pertanto l’osservazione e la ricerca attiva di chi può essere in difficoltà è un aspetto cruciale del primo intervento. Allo stesso modo non tutti i sopravvissuti desiderano ricevere assistenza. Il timing in questa fase è cruciale.
  • Presentazione: occorre farla comunicando la propria qualifica evitando di interrompere conversazioni già in corso.
  • Indagine: quali sono i bisogni immediati dei sopravvissuti?

2 – Accrescere la sicurezza e il comfort dei sopravvissuti

L’obbiettivo principale di questa fase dell’intervento è fornire conforto fisico e supporto emotivo; ristabilire un adeguato senso di sicurezza riduce significativamente lo stress e l’ansia. Fornire ai sopravvissuti aggiornamenti rispetto all’accaduto aiuta inoltre a ripristinare il senso di controllo rispetto all’emergenza.

Infine occorre evitare che i sopravvissuti siano nuovamente esposti a eventi traumatici: l’impatto dello stress già subito va contenuto quanto più possibile. Ulteriori fonti di ansia potrebbero essere lesive.

Nello specifico la priorità deve essere data:

  • ai bambini non accompagnati
  • a chi ha perso familiari o congiunti nel corso del disastro.

3 – Fase di stabilizzazione

Stabilizzare significa tranquillizzare e calmare i sopravvissuti in preda ad ansia e/o agitazione. La stabilizzazione avviene secondo due fasi:

  • riconoscere i comportamenti che possono essere indicativi di uno stato di agitazione o disorientamento come ad esempio sguardo perso nel vuoto, mancanza di reattività, disorientamento, risposte emotive esasperate, reazioni fisiche incontrollabili, comportamenti frenetici o di ricerca affannosa;
  • individuare la strategia di intervento più adatta per la stabilizzazione:
    • favorire il riconoscimento delle proprie emozioni validandole e inserendole in un contesto di emergenza: è normale sentirsi agitati e confusi dopo un evento traumatico
    • insegnare tecniche di respirazione per ridurre lo stato di agitazione;
    • promuovere tecniche di grounding qualora le precedenti non siano state sufficientemente efficaci.

La tecnica del grounding, detta anche del radicamento, consiste in una successione di azioni utili per riacquisire una connessione consapevole con sé stessi dopo un trauma. Questo può indurre un temporaneo stato dissociativo, che riduce significativamente lo stato di consapevolezza e di vigilanza. La tecnica del grounding mira a ripristinare attraverso azioni guidate la percezione di sé nel momento attuale.

Nello specifico la persona in difficoltà è invitata a focalizzare la propria attenzione: nominando 5 oggetti non angoscianti che vede attorno a sé, quindi 5 suoni che sente e infine nominando 5 percezioni a livello tattile. Ogni fase è intervallata da una serie di profondi respiri.

4 – Fase di raccolta delle informazioni

Secondo un criterio di urgenza si definiscono i bisogni primari dei sopravvissuti; è preferibile raccogliere questo tipo di informazioni attraverso una conversazione spontanea, in alcuni casi può essere di aiuto avvalersi di un questionario predisposto. Una volta definito il/i bisogno/i si procede con l’attuazione dell’intervento (soccorso fisico e/o psicologico, aiuto logistico e/o organizzativo).

5 Fornire assistenza pratica

Si tratta ora di rispondere alle esigenze immediate di assistenza dando la priorità all’esigenza di cibo, acqua, riparo, vestiti e cure mediche. Occorre rimandare (spiegando il motivo) a una fase successiva la risposta ad altri tipi di esigenze meno prioritarie.

Il piano di intervento dovrebbe essere concordato con i sopravvissuti: una volta garantita la loro incolumità, si forniscono le informazioni necessarie sulle possibili soluzioni di intervento.

Il criterio della non intrusività va tenuto sempre presente.

6 – Mettere in contatto i sopravvissuti con la rete sociale

I sopravvissuti a un evento fortemente traumatico hanno una probabilità maggiore di riprendersi dal trauma se sono sostenuti da una rete di persone a loro familiari, che siano essi parenti, congiunti o amici.

Individuare la rete sociale di riferimento per il sopravvissuto è prioritario, così come attivare le risorse disponibili perché vi sia una presa in carico da parte di questa.

E’ bene prestare particolare attenzione ad alcune forme di ritrosia o vergogna: alcuni sopravvissuti possono essere in difficoltà nel chiedere l’aiuto alla propria rete sociale di riferimento.

Questo può accadere per vari motivi:

  • Alcune persone non sono pienamente consapevoli di necessitare di sostegno o supporto
  • Ad altre può essere accaduto in passato di avere chiesto aiuto ma di non averlo ricevuto
  • Altri ancora possono trovarsi in uno stato di forte prostrazione tale da impedire loro di essere abbastanza motivati da chiedere aiuto

In ogni caso va prestata la massima attenzione e valutato l’intervento anche su questi fattori psicologici.

7 – Informare: come posso affrontare l’emergenza dal punto di vista psicologico?

Sapere che in situazioni di stress post traumatico è normale avere reazioni inconsuete può aiutare a ridurre la preoccupazione, l’agitazione e la vergogna. Validare le emozioni aiuta a promuovere forme di gestione più attiva dello stress acuto da parte dei sopravvissuti.

Riconoscere che emozioni come ansia, disorientamento, rabbia, forte attivazione dell’arousal ed evitamento sono frequenti nel corso di eventi traumatici è il primo passo per promuovere e sostenere le abilità di gestione attiva delle criticità successive all’emergenza.

Ad esempio ricordi traumatici ricorrenti possono gravare sulla qualità della vita di un sopravvissuto. Secondo il PFA quali strategie sono utili per gestirli?

Si può invitare il sopravvissuto a:

  • parlare con il personale,
  • coinvolgersi in attività di tipo pratico,
  • mantenere abitudini sane in merito al sonno e all’alimentazione,
  • partecipare a un gruppo di supporto,
  • focalizzarsi su ciò che si può fare di utile al momento
  • evitare strategie che ostacolano una gestione attiva della situazione come il ricorso ad alcool o sostanze, assumere comportamenti a rischio, essere aggressivi nei confronti dei familiari, incolparsi, manifestare comportamenti di rabbia eccessiva.
  • Può essere di aiuto insegnare alcune tecniche di base (respirazione guidata, rilassamento, training autogeno, grounding) per gestire alcune reazioni emotive intense.

8 – Creare una rete di soccorso e sostegno con altri servizi

Ad alcuni superstiti sarà necessario garantire continuità assistenziale anche nelle fasi successive all’intervento di primo soccorso. Possono esserci esigenze pratiche legate alla gestione della quotidianità (alloggio, risorse economiche) ed esigenze sanitarie, connesse ad esempio a sintomatologie pregresse che si sono accentuate con la crisi.

Per la successiva presa in carico è utile fornire informazioni quanto più dettagliate sui servizi disponibili nel territorio.

Servizi scolastici e di trasporto, ambulatori medici, farmacie, gruppi di sostegno, centri religiosi sono risorse preziose per la ripresa delle attività quotidiane una volta superata la fase emergenziale acuta.

L’importanza di rendersi cura di sé stessi

È possibile sostenere psicologicamente gli altri con efficacia nella misura in cui si è in un buon stato di salute psico – fisica.

Questo presupposto richiede azioni specifiche:

  • Lavorare all’interno di un sistema di rete di altri soccorritori
  • Calibrare l’esposizione rispetto a situazioni ad alto impatto emotivo
  • Fare riferimento in caso di bisogno a un supervisore per monitorare e gestire il proprio stress
  • Non eccedere nel numero di ore di servizio né saltare pause fra un intervento e l’altro
  • Evitare un uso eccessivo di dolci, caffè o sostanze che possono causare una qualche alterazione dello stato di piena vigilanza
  • Non pensare che non si sta facendo abbastanza ma focalizzarsi su quanto si sta facendo e cercare di farlo al meglio evitando aspettative irrealistiche
  • Conservare un buon stato di salute riposandosi o fermandosi quando ci si accorge che si è troppo stanchi o emotivamente turbati.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Allen; et al. (2010). "Perceptions of PFA Among Providers". Journal of Traumatic Stress. 23 (4): 509–513.
  • Everly, G. S.; Lating, J. M. (2017). The Johns Hopkins guide to psychological first aid. Johns Hopkins University Press.
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  • Schafer, A.; Snider, L.; van Ommeren, M. (2010). "Psychological First Aid Pilot: Haiti Emergency Response Intervention". War Trauma Foundation. 8 (3): 245–254.
  • Vernberg; et al. (2008). "Innovations in Disaster Mental Health: PFA". Professional Psychology: Research and Practice. 39 (4): 381–388.
  • Ulteriori informazioni disponibili qui.
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