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Nati per calcolare? Abilità matematiche innate e le loro evidenze

Sembra che le abilità matematiche abbiano origine innata e che sia possibile vederne i primi segni già nel modo in cui il neonato interpreta la realtà

Di Chiara Del Giudice

Pubblicato il 04 Mag. 2020

E’ possibile che il bambino possegga, ben prima di andare a scuola, delle abilità matematiche di origine innata? E se il neonato fosse già capace di interpretare la realtà attraverso i numeri?

 

La matematica accompagna l’individuo per tutto l’arco della vita, presentandosi, tuttavia, con forme e modalità differenti. Per molti anni, si è ritenuto che il primo incontro che il bambino avesse con la matematica fosse tra i banchi di scuola, dove effettivamente viene posto nelle condizioni di sperimentare e conoscere il mondo del calcolo e la sua complessità.

Ma se il bambino avesse, ben prima di andare a scuola, delle abilità matematiche di origine innata? Se il neonato fosse già capace di interpretare la realtà attraverso i numeri?

E’ quello che ha sostenuto Butterworth (1999, 2005) elaborando la tesi innatista del “cervello matematico” in cui afferma che alcune capacità matematiche sarebbero presenti sin dalla nascita. Nei suoi studi, infatti, l’autore definisce “Modulo numerico” quel nucleo di abilità innate attraverso cui si percepisce, in modo veloce ed automatico, il mondo in termini numerici. Spiegando, ad esempio, che l’individuo sarebbe in grado di riconoscere la differenza tra due insiemi che presentano una diversa numerosità di oggetti senza che ciò gli venga insegnato. Persino i neonati nei primi giorni di vita sarebbero capaci di discriminare tra loro insiemi di 2 o 3 elementi (Antell e Keating, 1983).

Ulteriori studi hanno dimostrato la presenza di altre abilità innate e preverbali, come il “subitizing”, o immediatizzazione. Quest’ultima consiste in un processo specializzato di percezione visiva che permette di cogliere la dimensione numerica di un insieme di massimo quattro elementi in modo immediato, senza alcuna necessità di contare (Atkinson, Campbell e Francis, 1976).

Emerge, inoltre, la capacità innata del bambino di avere delle aspettative numeriche sulle possibili variazioni di oggetti dovute alla loro sottrazione o aggiunta all’interno di un insieme (Lucangeli, Iannitti, Vettore, 2007). Secondo Wynn (1992), ciò sarebbe possibile già all’età di 5 o 6 mesi.

Alla luce di quanto detto, l’intelligenza numerica è considerata la capacità innata che ogni individuo ha di pensare e comprendere la realtà in termini di numeri e quantità (Lucangeli et al., 2007). Come ogni altra abilità essa necessita di essere allenata ed affinata attraverso l’istruzione la quale permette lo svolgimento di calcoli sempre più complessi e la loro applicazione in contesti pratici. In questo senso, imparare a contare rappresenta il primo incontro tra natura e cultura dove la prima fornisce competenze generali (come memoria a breve termine e abilità spaziali) e specificamente matematiche, mentre la seconda offre strumenti culturali condivisi (es. simboli numerici).

Da questi studi nascono nuove riflessioni: si possono, dunque, considerare i bambini dei piccoli matematici e potenziare le loro abilità prima dell’ingresso a scuola? Se c’è una predisposizione innata al calcolo, le differenze interindividuali nei compiti matematici come si spiegano?

Rispetto al primo interrogativo, è possibile potenziare le abilità matematiche di un bambino in età prescolare adeguando il livello di difficoltà alle sue reali possibilità. Compiti troppo sofisticati non produrrebbero alcun potenziamento, compiti eccessivamente semplici non risulterebbero interessanti agli occhi di un bambino. Sarebbe, quindi, necessario utilizzare mezzi che stimolino l’interesse e che favoriscano lo sviluppo di queste abilità.

Rispetto al secondo interrogativo, Butterworth spiega che le differenze interindividuali riscontrabili nei compiti matematici siano da attribuire agli effetti dell’apprendimento e della cultura in quanto sia la presenza di strutture cerebrali specializzate sia la predisposizione innata ad interpretare matematicamente la realtà sono comuni a tutti gli individui. Sicuramente, però, va tenuto conto della presenza di numerose altre variabili (l’ansia, la memoria a breve termine, la difficoltà del compito, l’esercizio continuo, ecc…) che insieme determinano differenze prestazionali.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Antell, S.E. & Keating, D.P. (1983). Perception of numerical invariance in neonates. Child development, 54, 695-701.
  • Atkinson, J., Campbell, F.W., & Francis, M.R. (1976). The Magic number4+0: A new look at visual numerosity judgements. Perception, 5(3), 327-334.
  • Butterworth, B., (1999). The Mathematical Brain, Macmillan, London (trad.it. L’intelligenza matematica, Milano, Rizzoli, 1999).
  • Butterworth, B., (2005). The developmental of arithmetical abilities. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 46(1), 3-18.
  • Lucangeli, D., Iannitti, A., & Vettore, M. (2007). Lo sviluppo dell’intelligenza numerica. Roma: Carocci.
  • Lucangeli, D., & Tressoldi, P.E. (2002). Lo sviluppo della conoscenza numerica: alle origini del “capire i numeri”. Giornale Italiano di Psicologia, 4, 701-723.
  • Wynn, K. (1992). Children’s acquisition of the number words and counting system. Cognitive Psychology, 24(2), 220-251.
  • Wynn, K. (1990). Children’s understanding of counting. Cognition, 36, 155-193.
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