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Vegetariani per scelta o… per genetica?

Uno studio recente ha identificato un "profilo genico vegetariano" che potrebbe influenzare la capacità di seguire una dieta vegetariana

Di Claudia Rossi

Pubblicato il 04 Dic. 2024

Storia e diffusione dell’alimentazione vegetariana

La scelta di adottare un’alimentazione vegetariana non è una novità per l’uomo: già a partire dal VI secolo a.C., alcuni movimenti religiosi diffusi soprattutto in Asia si associarono all’esclusione di alimenti di origine animale. Anche in Occidente, nonostante il consumo di carne fosse da sempre legato ai riti religiosi, si svilupparono diverse correnti filosofiche e religiose che rifiutavano l’uccisione di animali per questioni etiche: ad esempio, i filosofi Pitagora ed Epicuro e, più avanti, figure come Leonardo da Vinci furono vegetariani e sostenitori di tale scelta.

Nel Settecento si diffuse la scelta vegetariana anche nell’ambito della medicina e numerosi tra i più illustri medici e scienziati dell’epoca iniziarono a sostenere i benefici dell’esclusione della carne dall’alimentazione per la salute dell’uomo, andando così ad affiancare una motivazione salutistica a quella etica, più antica ma ancora molto rilevante.
La diffusione sempre maggiore di questa scelta e la rilevanza delle tematiche associate portarono, il 30 settembre 1847, alla costituzione della Vegetarian Society in Inghilterra e da allora il dibattito sui diritti degli animali, l’antispecismo e l’utilità della riduzione del consumo di alimenti di origine animale per la sostenibilità ambientale continua ad essere portato avanti da sempre più associazioni e sempre più sostenitori.

Ad oggi, il Paese che conta la percentuale maggiore di vegetariani è l’India, in cui l’incidenza è tra il 20% e il 42% della popolazione; in Italia, secondo il rapporto Eurispes 2024, il 9,5% della popolazione si definisce vegetariano o completamente vegano (in quest’ultimo caso, l’esclusione è non solo di carne e pesce, ma anche di uova, latticini e miele).

Alimentazione vegetariana: quali benefici?

I benefici in termini di salute sono ormai ben noti: è stato dimostrato che, se applicata correttamente, la dieta vegetariana sia il metodo più efficace per ridurre l’eccesso di peso, migliorare il profilo lipidico plasmatico e diminuire l’incidenza di ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari, ictus, arteriosclerosi e sindrome metabolica. Inoltre, è stata osservata una migliore sensibilità all’insulina e tassi inferiori di diabete tipo 2 e alcuni tipi di cancro (Pilis et al., 2014).
L’Academy of Nutrition and Dietetics sostiene che una dieta vegetariana o vegana, pianificata in modo appropriato, sia salutare, nutrizionalmente adeguata e possa offrire benefici sia in termini preventivi che per il trattamento di alcune patologie. Queste diete sono appropriate per gli sportivi e per tutte le fasi del ciclo di vita, comprese infanzia, adolescenza, età adulta, gravidanza e allattamento (Melina et al., 2016).
Inoltre, le diete a base vegetale sono più sostenibili dal punto di vista ambientale rispetto alle diete ricche di prodotti animali poiché utilizzano meno risorse naturali e sono associate a minori danni ambientali.

Perché i vegetariani sono ancora una minoranza?

Ma se ci sono così tanti benefici in termini di salute e, dal punto di vista etico, così tante persone prendano da sempre in considerazione tale scelta, perché i vegetariani nel mondo sono ancora una minoranza? È questa la domanda che si è posto il dott. Nabeel Yaseen, professore emerito di patologia presso la Feinberg School of Medicine della Northwestern University, e che ha approfondito in uno studio (2023).
Partendo dal presupposto che le scelte alimentari sono determinate da un’interazione tra gli effetti fisiologici degli alimenti, il loro metabolismo e la percezione del gusto e questi aspetti sono fortemente influenzati dalla genetica, lo studio ha voluto indagare se esistesse un profilo genetico legato alla capacità di mantenere la dieta vegetariana sul lungo termine.

Yaseen e colleghi, attraverso l’analisi dell’intero genoma di 334.779 partecipanti di etnia caucasica, di cui 5.324 vegetariani stretti e 329.455 controlli, hanno identificato 3 geni significativamente associati al vegetarianismo e altri 31 con un possibile ruolo nella scelta, confermando così che sì, esiste un “profilo genico vegetariano”.
Diversi di questi geni hanno funzioni importanti nel metabolismo lipidico e nella funzione cerebrale, suggerendo che differenze nel metabolismo lipidico e i loro effetti sul cervello possano influenzare la capacità di sostenere una dieta vegetariana.

Nella corsa contro il tempo che costituisce la sfida della sostenibilità ambientale, questi studi appaiono particolarmente importanti: identificare quali fattori facilitino o ostacolino la scelta vegetariana può aprire una finestra di ricerca che possa portare a produrre migliori sostituti della carne e forse riuscire ad agevolare le persone nella riduzione dei prodotti di origine animale e, con essi, il loro impatto ambientale.

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