Rivolte e rinascite: la “battaglia” giovanile in un’epoca di crisi
Gruppo Scuola – Sportello Ti Ascolto! (Dario Firenze, Giorgia Mummolo, Alice Brichetto, Federica Casari)
Sono il futuro, ma senza un futuro (7 miliardi – Massimo Pericolo)
L’adolescenza e la giovinezza sono sempre più attraversate da un’atmosfera di incertezza e disorientamento. L’etichetta “età della crisi” cattura questa complessità, ma cosa significa realmente?
È l’età della crisi a metterci in crisi o le variazioni rapide e profonde del tessuto sociale forniscono uno sfondo disgregante per un’età “fisiologicamente entropica”?
In un contesto di società in crisi permanente multifattoriale e in un’atmosfera da fine del mondo (Fisher, 2017), emergono dinamiche che intrecciano sofferenza e resistenza nell’esperienza di adolescenti e giovani adulte.
Recentemente, le ragazze appaiono maggiormente propense a parlare di benessere psicologico, probabilmente incoraggiate dal crescente dibattito pubblico sulla salute mentale. Tuttavia, tale attenzione ha portato ad una patologizzazione eccessiva della sofferenza emotiva delle giovani, relegandole ad una posizione di vittime totali. Pertanto, la maggior disinvoltura andrebbe considerata come un aspetto sintomatico di una più ampia e complessa cornice.
In diverse fasce giovanili emergono espressioni di sofferenza definita come “eco-ansia”, su cui stanno fiorendo diversi studi, e che provano a racchiudere la profonda angoscia delle giovani rispetto al futuro del pianeta (2). Questa preoccupazione produce spesso, a livello di opinione pubblica, pietà e compassione, ma questa “empatia” non fa i conti con il problema alla radice. Non si tratta di una particolare sensibilità e vulnerabilità della Z generation (3), ma della capacità di sentire profondamente una trasformazione epocale per gli esseri viventi sulla terra che travolgerà con certezza la vita di tutte. Questa interpretazione “clinica” di eco-ansia rischia di invisibilizzare le politiche che determinano la catastrofe climatica e che potrebbero essere una valida e terapeutica soluzione per queste diffuse angosce, oltre che per la vita degli esseri umani sul pianeta.
Esiste anche l’altra faccia della medaglia: questa angoscia ha preso anche la forma dell’attivazione sociale e politica, e della rabbia verso chi non sta impedendo la catastrofe climatica. Movimenti come Fridays for Future, Extinction Rebellion, Ultima Generazione (4) nascono esattamente tra adolescenti e giovani adulte che non accettano di tenersi questa angoscia solo per sé. “I want you to panic” esclamava Greta Thunberg nel suo discorso al World Economic Forum (5) e accoglierne la richiesta sembra essere più complesso della compassione e patologizzazione. E la reazione di società e istituzioni a queste forme di attivazioni è sempre più dura e repressiva: multe amministrative salatissime, fogli di via, processi penali con accuse molto pesanti come associazione a delinquere, spesso per azioni pienamente simboliche. (6)
Le forme stesse del disagio giovanile sembrano essersi modificate. Il conflitto generazionale basato su contrapposizioni nette non pare essere più attuabile. Anche le più diffuse forme di ritiro e di isolamento non sono esenti da critiche adulte, specialmente se correlate a situazioni di drop-out scolastico o di blocco sul piano del percorso di studi o di lavoro. Lo spettro del fallimento e le angosce ad esso associate appaiono temi cruciali, che talvolta rischiano di essere banalizzati dalla retorica del “volere è potere” oppure disconfermati da quella del “fallimento buono”.
Viviamo in un’epoca segnata da un diffuso senso di malessere e tristezza, descritto da Spinoza con l’espressione “passioni tristi” (7), che alimenta sentimenti di impotenza e incertezza. I problemi delle persone nella fascia di età 14-25 anni sono un chiaro segnale della crisi della cultura e della società occidentale moderna, che ha basato le sue speranze su un futuro progressista.
(2) La letteratura sull’argomento è ormai molto ampia, rimandiamo per approfondire ad alcune literature review globali come Coffey, Y., et al., Understanding Eco-anxiety: A Systematic Scoping Review of Current Literature and Identified Knowledge Gaps, The Journal of Climate Change and Health, Volume 3, 2021, e in particolare ad analisi critiche del concetto come argomentate in Molinari, L., Dall’ecoansia all’ecorabbia, Jacobin Italia, Online, 28/08/2023, Url: https://jacobinitalia.it/dallecoansia-allecorabbia/, consultato il 12/05/2024.
(3) Con Z generation intendiamo la generazione delle persone nate tra i medio-tardi anni ‘90 del XX secolo e i primi anni 2010.
(4) Oltre ai siti degli specifici movimenti, rimandiamo, per un approfondimento sullo sviluppo dei movimenti ambientalisti della storia recente in Italia, a Imperatore, P., Leonardi, E., L’era della giustizia climatica. Prospettive per una transizione ecologica dal basso, Orthotes Editrice, 2023
(5) “Adults keep saying: ‘We owe it to the young people to give them hope’. But I don’t want your hope. I don’t want you to be hopeful. I want you to panic. I want you to feel the fear I feel every day”, Thunberg, Greta (25 Gennaio 2019).
(6) Lo sguardo penale e disciplinare verso la gioventù non è certo una novità, ma sembra esserci un più complessivo allargamento degli strumenti repressivi mirati verso le giovani generazioni. Emblematico è il decreto Caivano: in seguito allo stupro subito da una ragazza da parte di un gruppo di adolescenti, il governo Meloni ha approvato un decreto incentrato su misure fortemente repressive che sta producendo un aumento impressionante di arresti nei penitenziari minorili, che non corrispondono a un aumento effettivo dei reati, e in condizioni carcerarie che andranno sempre più peggiorando e con episodi gravi e inquietanti come il recente caso dei pestaggi e delle torture all’Istituto Penale per Minorenni di Milano “Cesare Beccaria”. Questi elementi permettono di comprendere come le in-sofferenze giovanili si scontrano spesso con strutture sociali e istituzionali che oscillano tra la vittimizzazione-vulnerabilizzazione e la violenza istituzionale repressiva. Rimandiamo per un approfondimento a “Prospettive Minori”, il 7° rapporto dell’associazione Antigone sulla giustizia minorile, consultabile online su: https://www.ragazzidentro.it/ .
(7) Come sottolineato dagli psichiatri Benasayag e Schmit in L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2003, emergono richieste nuove e complesse, che sfidano le tradizionali pratiche terapeutiche. Questo nuovo malessere, pervasivo e in rapida crescita, richiede un’analisi approfondita e una risposta adeguata da parte della società.
Dove incontrare le crisi: il lavoro psicologico nei contesti scolastici e familiari
Come psicologhe e cliniche abbiamo la possibilità di incontrare le giovani in contesti di vita diversi, dalla scuola all’ambito familiare, o in transizione tra la chiusura del ciclo scolastico e l’inizio di un percorso successivo.
La scuola, soverchiata da bisogni sempre più complessi e dal malessere di chi la vive e ci lavora, fatica a cogliere l’aspetto trasformativo ed evolutivo delle crisi. Anzi, la tendenza sembra essere quella di un irrigidimento e di una burocratizzazione progressiva: da luogo di apprendimento fondamentale per la persona ad azienda che fatica a stare al passo di chi presenta esigenze particolari e che al contrario si specializza nel premiare le studentesse più promettenti. (8) Le famiglie, al contempo, spesso non paiono in grado di trasformare in risorsa la maggiore vicinanza affettiva creatasi tra le generazioni: genitori più paritetici e dialoganti possono comprendere meglio difficoltà e richieste delle più giovani, ma spesso rischiano di colludere e di identificarsi con le loro fragilità, privandoli della possibilità di sperimentare situazioni di frustrazione. Ciò rischia di contribuire a costruire l’immagine della ragazza di cristallo intrappolata nel ruolo di vittima, in un gioco a più attori che transita sempre più frequentemente nelle stanze delle psicologhe, ulteriori figure a cui viene attribuito un ruolo magico-salvifico, “strattonate” tra richieste ed esigenze spesso in contrasto.
Tornando alle giovani, diviene quindi arduo fuggire da tali rappresentazioni, se ogni atteggiamento diventa o punibile o patologico. Anzi, spesso il disagio appare come l’unica via: non più o nemmeno tanto per comunicare un messaggio di malessere o un bisogno di cambiamento, ma per affermare il proprio diritto all’esistenza e prendere una posizione nel mondo e sulle cose. Il pedagogista ed educatore Davide Fant (2015) suggerisce, ad esempio, di considerare il ritiro sociale di giovani e adolescenti come forme di protesta contro una società adulto-centrica che non ha nulla di buono da offrire e che non permette di far emergere risorse e potere delle più giovani.
In quest’ottica, le giovani dell’età della crisi più che in ogni altra fascia di età si fanno carico del disagio socio-culturale attuale, diventano le “pazienti designate” di una società in crisi. Abbiamo visto come questa sensibilità tende ad essere patologizzata e repressa invece che essere ascoltata e considerata come un segnale chiaro di una profonda crisi dei contesti: le risposte adulte risultano incapaci di riconoscere la necessità di un intervento più ampio, capace di muovere diverse attrici del contesto.
Al termine del percorso scolastico, il confronto con il mondo e la realtà fuori dal contesto scolastico mette in seria difficoltà le giovani adulte, che si sentono sprovviste di fronte ad un sistema in crisi. Psicoterapia Aperta e altri servizi psicologici accessibili rendono possibile la presa in carico della sofferenza delle giovani adulte che sempre più spesso hanno lavori precari e vivono condizioni di classe che non permettono l’accesso ai costi di mercato delle terapie private o che non riescono ad essere prese in carico dal servizio pubblico. Tuttavia, tali risorse non sembrano essere sufficienti a far fronte al grande disagio emerso negli ultimi anni. Attualmente né i servizi privati né tanto meno quelli pubblici sono riusciti ad investire in progettualità in grado di porre un’attenzione adeguata alla dimensione della prevenzione e della promozione del benessere dell’individuo nella collettività.
(8) Ad esempio, i Gruppi di Lavoro Operativi (GLO), incontri indetti periodicamente solitamente da una case manager, per far fronte ai bisogni educativi speciali di ragazze con diagnosi, per i quali è previsto il coinvolgimento delle diverse figure che operano intorno ad esse (famiglie, terapeute, insegnanti, assistenti sociali, ecc.) che da potenziale spazio di confronto e dialogo collettivo divengono luogo di sintesi delle mancanze e difficoltà della ragazza. Emerge anche quanto sia difficile ingaggiare le diverse attrici coinvolte e noi cliniche siamo chiamate unicamente ad un ruolo risolutore. Tuttavia, vi è la necessità di figure in grado di dare un valore diverso alla rete e capace di promuovere l’incontro e la cooperazione tra i diversi contesti.
Dalle risorse comunitarie a percorsi di accompagnamento: il progetto Panikit come esempio di nuova pratica per i bisogni di salute collettiva delle giovani
Nonostante le sfide, esistono approcci validati promettenti per affrontare l’età delle crisi, come riportato in un recente rapporto WHO. (9) Creare spazi di confronto collettivo e strumenti co-costruiti può offrire un’opportunità, alle giovani, per sentirsi ascoltate e supportate.
Alla luce di quanto fino a qui considerato, la nostra proposta mira:
- a ridefinire le psicologhe e le psicoterapeute come potenziali operatrici di advocacy, impegnate in percorsi di accompagnamento che aiutino le giovani a trovare la loro voce e sostenerla, a trovare le parole per dire e comunicare desideri con-fusi con quelli della famiglia o della società;
- a sottolineare la centralità di spazi di incontro-ascolto;
- a promuovere l’investimento in processi sufficientemente prevedibili, evitando di nutrire speranze infruttuose o progetti non realizzabili.
A questo proposito, riteniamo che iniziative come il progetto Panikit rappresentino un esempio di come le discipline psicologiche possano contribuire alla costruzione di una società capace di nuove relazioni con le giovani.
Si tratta di un percorso sperimentale avviato come Sportello Ti Ascolto in alcuni territori del paese, a partire da uno specifico lavoro nella città di Torino. Nell’ambito di una co-progettazione tra servizi comunali e del terzo settore, è stato dato avvio ad un ciclo di incontri tematico. Attraverso una sinergia partecipativa con un gruppo di adolescenti frequentanti le scuole secondarie, Panikit si configura quale strumento di health literacy, concepito come una risorsa destinata ad alunne, docenti ed istituzioni scolastiche, allo scopo di affrontare gli attacchi di panico e promuovere una discussione sulla salute mentale nell’ambito educativo, adottando un approccio non medicalizzante o patologizzante. Attualmente è fruibile in due versioni, cartacea e digitale, la sua efficacia viene sottoposta a scrutinio attraverso un processo valutativo, supervisionato dall’Azienda Sanitaria Locale TO3, mediante un questionario rivolto alle adolescenti destinatarie dello strumento. L’obiettivo è quello di ottenere un feedback diretto dalle destinatarie per adattare e migliorare il Panikit, plasmando una seconda edizione basata sull’esperienza delle parti interessate e sulla loro partecipazione attiva (10).
Il Panikit è una prima esperienza che apre a una strada con grandi potenzialità: la co-costruzione di strumenti che emergono a partire dai vissuti delle persone direttamente interessate, che partecipano alla definizione di cosa vivono e cosa sentono che li possa far star meglio, andando così ad aumentare la capacità di agire su di sé e sul mondo, in dialogo con competenze di operatrici, psicologhe, educatrici.
Si viene così a delineare la possibilità di co-costruire spazi e strumenti nuovi, in cui le competenze psicologiche e psicoterapeutiche possono essere messe al servizio e in condivisione dei bisogni sociali: in un intreccio con il riconoscimento e il sostegno alle competenze per esperienza che adolescenti e giovani adulte portano con sé e che spesso vengono annichilite dal mandato istituzionale e sociale che anche loro subiscono.
Spazi, si diceva, in cui “come stai?” non sia la domanda che un adulto con tutte le soluzioni in tasca pone a una ragazza sperduta e in crisi, ma una domanda collettiva in cui sentirci tutte coinvolte, provando a capire che cosa dei luoghi, lavori, servizi, quartieri che attraversiamo ci fa stare bene o male, e come insieme possiamo cambiarlo.
Potremmo collocare queste traiettorie in quello che si definisce anche prescrizione sociale (11): le giovani portano con sé una spinta, sia attiva che di ritiro, che mette in moto trasformazioni che possono permetterci di mettere in discussione i nostri mondi in crisi e anche le crisi della nostra funzione come psicologhe e psicoterapeute.
Andare loro incontro con rispetto, ascolto, umiltà, mettendo al centro reciprocità e dignità, può permetterci di fare un salto verso una pratica e cultura terapeutica più aperta, socialmente diffusa, libera e politicamente consapevole, che si ponga l’obiettivo di trasformare le disuguaglianze sociali e le violenze strutturali e non riprodurle.
Un incontro che può riportarci alla radice di un prendersi cura che ponga al centro del suo pensiero e della sua prassi la libertà e la liberazione della vita. Un incontro che solo chi sa stare nelle crisi può cogliere.
Questo articolo ha vinto la seconda edizione del Premio “Un contributo per il diritto alla salute psicologica”, promosso da Psicoterapia Aperta.
(9) WHO, Youth engaged for mental health. A framework for youth participation under the WHO Pan-European Mental Health Coalition, 02/11/2023, URL: https://www.who.int/andorra/publications/m/item/youth-engaged-for-mental-health , consultato il 12/05/2024.
(10) I risultati preliminari sono in fase valutativa ma paiono incoraggianti; una loro prima lettura mette infatti in evidenza feedback positivi, suggerendo l’efficacia e la rilevanza del Panikit nell’ambito della promozione della salute mentale e della discussione aperta su tali tematiche nelle istituzioni scolastiche. Inoltre, alla luce della finalità intrinseca dello strumento, che non si limita alla prevenzione degli attacchi di panico, ma promuove un dialogo proficuo sulla salute mentale in un’ottica che mira a contrastare l’eccessiva medicalizzazione e patologizzazione delle esperienze di difficoltà giovanili, non si esclude la possibilità di sviluppare in futuro una versione del Panikit dedicata alle insegnanti, per agevolare la conduzione di discussioni sul tema in classe.