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La terapia cognitivo comportamentale: tra pensieri ed emozioni

La terapia cognitiva e comportamentale spiega il disagio emotivo attraverso una complessa relazione di pensieri, emozioni e comportamenti

Di Linda Confalonieri

Pubblicato il 27 Mar. 2024

Le origini della CBT

Per usare le parole di David Burns che nel 1980 pubblicò uno dei primi e più famosi libri divulgativi sulla terapia cognitivo comportamentale rivolto al grande pubblico, la terapia cognitivo-comportamentale (in inglese Cognitive-Behavioural Therapy – CBT) è essenzialmente basata sull’assunto che “le tue emozioni derivano dai messaggi che dai a te stesso” (Burns, 1980), 

Questa non è un’idea nuova di per sé, se pensiamo alla filosofia, allo stoicismo che sottolinea come ci sia un legame tra pensiero ed emozione. 

Epitteto scriveva “Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti” (Epitteto, p. 7). 

La terapia cognitivo-comportamentale ha sistematizzato questi spunti filosofici e ne ha messo a punto un orientamento ben specifico finalizzato a identificare, riconoscere e regolare le emozioni problematiche attraverso la modifica dei relativi correlati di credenze e pensieri. Quindi i pensieri hanno molto a che fare con le emozioni, e la disputa, la ristrutturazione e la modificazione di questi pensieri aprono opportunità per regolare le emozioni e modificare i comportamenti. 

La terapia cognitivo comportamentale è un orientamento della psicoterapia che raggruppa al suo interno molteplici teorie, modelli di funzionamento psicopatologico, protocolli e tecniche di trattamento, che tuttavia presentano caratteristiche comuni. In termini generali, la psicoterapia cognitiva e comportamentale spiega il disagio emotivo attraverso una complessa relazione di pensieri, emozioni e comportamenti. 

L’orientamento psicoterapeutico cognitivo-comportamentale riflette la rivoluzione cognitiva e l’emergere del cognitivismo in ambito psicologico (Neisser, 1967): la mente è paragonata a un computer elaboratore di informazioni, e gli errori di processamento possono quindi impattare su emozioni e comportamenti e viceversa.

La CBT da Beck ed Ellis agli approcci evidence-based di terza onda

Riprendendo ad esempio il contributo di A. Beck, spesso definito il padre della terapia cognitivo-comportamentale e che tra la metà e la fine degli anni sessanta inizia ad autodefinirsi “psicoterapeuta cognitivo”, la nostra mente presenterebbe una serie di, per così dire, cattive abitudini cognitive che l’autore ha definito “distorsioni cognitive”:  modalità di pensiero disfunzionali, errori cognitivi che ci possono portare ad agire in modo disadattivo e problematico di fronte a situazioni difficili.

Le distorsioni cognitive sono quindi errori procedurali sistematici di pensiero, modalità disfunzionali di interpretare le esperienze. Alcune distorsioni cognitive sono il pensiero dicotomico, in cui le situazioni sono valutate in forma estrema e dicotomica, in una logica tutto o nulla/bianco o nero (ad esempio “ho fatto arrabbiare i miei genitori, sono un pessimo figlio”, “ho commesso un errore, sono stupida”), l’astrazione selettiva in cui si presta attenzione solo a un dettaglio o a un aspetto della situazione, ignorando spesso gli aspetti positivi, oppure la personalizzazione in cui vi è la tendenza a dare eccessivo peso alla propria responsabilità e a proprie caratteristiche personali in una data situazione. 

Albert Ellis è un altro esponente fondamentale che ha contribuito alla nascita e allo sviluppo dell’orientamento cognitivo comportamentale in terapia, attraverso quella che lui stesso definì R.E.B.T., la terapia razionale emotiva comportamentale, che si diffuse sempre di più in quegli anni negli Stati Uniti: Ellis iniziò a guidare i suoi pazienti analizzando e modificando le loro credenze, pensieri e comportamenti, evitando le catastofizzazioni, le doverizzazioni e promuovendo l’accettazione incondizionata di se stessi, in un’ottica di integrazione di risorse e vulnerabilità. 

Anche Beck non tratta solo di errori procedurali cognitivi, ma identifica nei suoi pazienti schemi cognitivi, pensieri automatici e credenze (ad esempio, pensieri di essere inutile, inadeguato, inferiore, etc) quali fattori che ingenerano e mantengono condizioni di malessere emotivo e sofferenza e che possono indurre circoli viziosi a livello comportamentale ed emotivo. In questo caso, l’approccio dell’empirismo collaborativo chiama in causa il paziente come parte attiva e coinvolta nella terapia, assumendo un ruolo nella revisione e ristrutturazione dei pensieri, e ad esempio in procedure comportamentali di esposizione per scalzare la ricorsività del circolo vizioso e l’autoconferma di pensieri disfunzionali. 

Nella seconda metà del XX secolo, la terapia cognitivo-comportamentale prende piede in ambito clinico e nell’ambito della ricerca scientifica. I terapeuti ne riconoscono alcuni punti di forza, tra cui una maggiore tendenza verso la sistematizzazione e la standardizzazione (esercizi, homework) con un coinvolgimento attivo dei pazienti nella loro quotidianità tra una seduta e l’altra, e veri e propri momenti di revisione degli esercizi. 

In uno studio del 2015, Paulo Knapp, Christian Kieling e lo stesso Aaron Beck hanno rilevato che la psicoterapia cognitivo-comportamentale era la forma di psicoterapia più utilizzata tra i terapisti intervistati nella survey. 

La psicoterapia cognitivo-comportamentale ha un posto centrale come intervento di prima scelta nelle linee guida internazionali dei trattamenti psicosociali di svariati disturbi psicopatologici (si vedano ad esempio le linee guida National Institute for Health and Care Excellence – NICE Guidelines).  

Vista da vicino, la terapia cognitivo-comportamentale, come anche sostengono i suoi esponenti, è meno esclusivamente cerebrale di quanto generalmente si creda. Anzitutto, perché si sottolinea come anche l’approccio razionalista della terapia cognitivo comportamentale debba essere sviluppato all’interno della relazione terapeutica, e, anche se il lato cognitivo rimane centrale, lo stesso Beck Institute sta integrando tecniche derivate da altri approcci evidence-based di terza onda. 

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Linda Confalonieri
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