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La vergogna del terapeuta (2023) di Gianpaolo Salvatore – Recensione

Il libro “La vergogna del terapeuta” esplora in modo originale un tema in cui terapeuta e paziente condividono fattori di vulnerabilità

Di Laura Baldrati

Pubblicato il 26 Gen. 2024

Il tema della vergogna

Il tema della vergogna appare spesso centrale nella genesi della sofferenza emotiva, vergogna dalla quale il terapeuta così come il paziente non è immune. 

Nel libro “La vergogna del terapeuta. Da nucleo di sofferenza a fattore di cura” l’autore Gianpaolo Salvatore esplora in modo originale un tema in cui terapeuta e paziente condividono fattori di vulnerabilità.

Il nucleo di sofferenza interna legata al sentimento di vergogna nasce secondo l’autore da un’esperienza primaria di tipo traumatico (comune a paziente e terapeuta) in cui non vi è stata una sintonizzazione adeguata da parte del contesto affettivo di riferimento nei confronti del soggetto. Da qui una mancanza di sintonizzazione intersoggettiva che esita in un’esperienza dolorosa di ontologica difettosità dell’identità, ossia la vergogna

Il tema della vergogna si lega inoltre a quello della vergogna della vergogna stessa: al senso di inadeguatezza ed estrema vulnerabilità si somma la vergogna di non riuscire a celare questa fragilità. 

Ma che cos’è il sentimento della vergogna?

Secondo il cognitivismo clinico la vergogna si manifesta nel momento in cui percepiamo che nel mondo esterno non siamo percepiti come vorremmo o come avremmo dovuto essere. 

Il mancato allineamento, fra la nostra immagine ideale e quella reale, che il mondo esterno rimanda di noi stessi, sarebbe alla base della vergogna. 

La funzione sociale della vergogna è, in questa ottica, quella di favorire un adeguamento del soggetto alle norme condivise dal contesto sociale di riferimento. 

Secondo questo approccio, tuttavia, la genesi della vergogna è in riferimento al solo giudizio sociale: essa compare nella misura in cui l’immagine che noi diamo è riprovevole dal punto di vista sociale. 

L’autore sottolinea che questa lettura antropologica della vergogna non rende però conto della sofferenza intima del paziente, spesso slegata da un effettivo giudizio esterno. 

La genesi della vergogna potrebbe allora porsi a un livello più ancestrale e profondo della vita psichica individuale: la vergogna si manifesta nel momento in cui si ha la percezione della perdita di legame con l’altro, ovvero della propria assenza nella mente dell’altro.

In questa accezione la vergogna diventa la percezione dolorosa della svalutazione che un altro significativo opera nei nostri confronti.

Ne consegue il sentirsi indegni perché si è perso valore agli occhi di chi è per noi importante dal punto di vista relazionale. La vergogna è il sentimento che nasce dalla perdita della possibilità di legame con l’altro (significativo).

Il sentimento della vergogna, non solo segnala la mancata accettazione da parte dell’altro, ma si fonde anche con la percezione di un sé indegno dell’amore dell’altro. 

Ciò che nasce come un movimento svalutativo che parte dall’esterno, si trasforma poi in una percezione di tipo identitario: la svalutazione di sé operata dal paziente nei propri confronti. 

A livello evolutivo il bambino percepisce molto presto quali sono le parti dei sé ben accolte dal caregiver e quali invece è utile mascherare poiché mettono a rischio il legame affettivo. 

Il bambino è così indotto a un adeguamento alle aspettative del caregiver; ciò a scapito di parti più fragili di sé, che non solo debbono essere celate, ma la cui esistenza (come, ad esempio, il bisogno di accudimento) diventa motivo di vergogna

Più frequentemente esperienze di abbandono, svalutazione o assenza di apprezzamento in età infantile si correlano con vissuti pervasivi di vergogna in adulti. 

La vergogna come esperienza condivisa

Nell’ottica di un’esperienza condivisa di sofferenza, legata al tema della vergogna, la dimensione di intersoggettività diventa allora fondamentale nello spazio terapeutico. L’autore suggerisce l’abbandono di una prospettiva prettamente intra-soggettiva nella quale il terapeuta osserva dall’esterno e come mente isolata quella del paziente, in cui nasce e vive il sentimento di vergogna. 

Alla prospettiva intra-soggettiva sostituisce quella inter-soggettiva: il terapeuta è consapevole del contributo sostanziale che la propria soggettività (…) sta dando all’accadere cinico. 

Il terapeuta, consapevole che anche in lui esiste una parte traumatizzata legata al sentimento di vergogna, e consapevole del dolore che deriva da un mancato riconoscimento valoriale, riesce a creare una sintonizzazione immediata con i nuclei di sofferenza del paziente. 

Il paziente manifesta, seppur con strategie protettive personali e peculiari, lo stesso tipo di nucleo traumatico che il terapeuta riconosce essere a lui stesso familiare. Pertanto, il campo terapeutico si crea dall’incontro di due nuclei traumatici (quello del paziente e quello del terapeuta).

Ciascuno dei coprotagonisti della relazione terapeutica è portatore di strategie protettive dal dolore generato dal senso di vergogna

Tuttavia, le strategie di gestione del dolore potranno essere più evolute nel terapeuta, grazie al suo percorso formativo. In esso la consuetudine alla supervisione aiuta il terapeuta a integrare il proprio nucleo traumatico, simbolizzarlo e condividerlo.  

Il terapeuta capace di elaborare il proprio nucleo traumatico sostiene durante il processo terapeutico l’acquisizione, da parte del paziente, di strategie più efficaci di elaborazione del suo nucleo di sofferenza.

Secondo l’autore l’essenza della funzione terapeutica sarebbe pertanto questa: il terapeuta è capace di sintonizzarsi sul nucleo di sofferenza del paziente e la danza fra le rispettive parti protettive diventa dialogo tra nuclei traumatici capaci di sintonizzarsi e regolarsi reciprocamente

Vittorio Lingiardi nella prefazione pone l’attenzione sul tema centrale del libro: l’umanità del terapeuta. La padronanza teorica e tecnica del professionista del benessere psicologico si àncora a una sua dimensione privata e nascosta: egli ancor prima di essere terapeuta è stato o è un “mentore sofferente”. 

Per contenere e accogliere la sofferenza altrui occorre conoscerne la cifra, conoscere le ferite che la sofferenza psichica determina, da qui l’idea del terapeuta come un “guaritore ferito” alla base del testo, ricco di argomentazioni teoriche convincenti e di ampie sezioni dedicate a casi clinici. 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Salvatore, G. (2023). La vergogna del terapeuta. Ed. Raffaello Cortina.
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