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Il peso della colpa e della vergogna

La vergogna e la colpa possono essere definite come due emozioni morali e secondarie, che si sviluppano attraverso l’educazione e il contatto con la società

Di Annalisa Ortolani

Pubblicato il 24 Giu. 2021

Tutto nasce da un quesito: che differenza c’è tra colpa e vergogna? E quindi, quale delle due pesa di più sull’individuo?

 

Partiamo dalla definizione secondo il dizionario. La colpa, dal latino cŭlpa (m), indica un “comportamento con conseguenze dannose”; la vergogna, dal latino verecŭndĭa (m), è invece il “senso di umiliazione per aver agito in modo indegno” (Nocentini, 2012).

Alla colpa si lega strettamente il senso di colpa, ovvero quel sentimento che si sviluppa nell’individuo nel momento in cui esso prende coscienza della propria responsabilità in un evento negativo, sia essa effettiva, presunta o prevista.

Pertanto, sia la vergogna che il senso di colpa possono essere definite come due emozioni morali e secondarie, cioè non innate come le primarie, ma emozioni che si sviluppano nella persona soltanto con il tempo, in questo caso a partire dai due anni di età, attraverso l’educazione e il contatto con la società. Per poter provare questi stati emotivi è infatti necessario che il bambino abbia sviluppato il proprio sé personale e che sia in grado di percepire il giudizio altrui rivolto verso la propria persona.

Proprio per queste caratteristiche, la vergogna è detta l’emozione dell’autoconsapevolezza, in quanto è l’individuo stesso che valuta il proprio Io, mettendolo a confronto con gli standard esibiti dalla società e con le norme che vengono imposte dall’esterno. Quando questa valutazione risulta negativa, si è portati a vedere le proprie competenze sociali in modo fallimentare e non ci si ritiene all’altezza dei livelli che si desiderava raggiungere o rispettare. Il senso di inadeguatezza che si sperimenta porta a mettere in discussione la validità dell’individuo stesso: la vergogna brucia dall’interno, si accanisce contro il “come siamo”, minandone le fondamenta e distruggendone l’integrità. Tutto ciò può condurre a forti sentimenti di rabbia e frustrazione verso se stessi e al desiderio di volersi isolare dagli altri. Infatti, nel momento in cui la vergogna si fa più pressante, si ritiene di aver perso la stima altrui e di non essere degni dell’affetto delle altre persone, fino a credere, in casi estremi, di non meritare la vita stessa. Proprio perché quest’emozione nasce dall’interno, non è necessaria la presenza di altre persone per poterla sperimentare. A differenza di altre sensazioni, come l’imbarazzo, provato esclusivamente di fronte ad altri individui, la vergogna ci può cogliere anche in solitudine in quanto i principali giudici siamo noi stessi. Lo sguardo severo e giudicante altrui è ugualmente percepito, anche quando non presente, perché i primi occhi puntati addosso sono proprio i nostri. Nel momento in cui la valutazione che diamo di noi stessi è negativa, risulta naturale che, almeno nel nostro immaginario, lo sia anche quella altrui.

Il senso di colpa, invece, travalica l’essenza individuale e si lega all’esterno, a un comportamento che abbiamo messo in atto e che ha danneggiato qualcun altro o a un’azione che potremmo compiere e che prevediamo potrebbe avere conseguenze negative. Il risvolto della colpa è la pena. Essa può essere concreta, nel momento in cui si viene effettivamente puniti per le proprie azioni, oppure può essere emotiva, mantenendosi al livello di sentimento di colpa, avvertito a causa del rimorso per cosa si è fatto. Non più, dunque, una critica verso il “chi”, ma piuttosto verso il “cosa”. Essendo il problema esterno all’individuo, si percepisce una maggiore possibilità di rimediare al danno fatto, magari con un comportamento che ne ribalti gli effetti. La ruminazione contribuisce a tenere vivo il passato nel presente o ad anticipare il futuro, con continue immagini di come potrebbe o sarebbe potuta andare. Anche se il giudizio negativo del proprio comportamento proviene dall’interno e nessuno ci attribuisce la colpa per l’accaduto, si tratta comunque di valutare negativamente una singola azione e non un intero modo di essere. Michael Lewis, parlando di emozioni autocoscienti, associa infatti a colpa e vergogna due differenti processi di attribuzione. Mentre la colpa è caratterizzata da un processo di attribuzione specifica, rivolto verso un unico comportamento, la vergogna prevede un’attribuzione globale, riguardante tutto l’Io nella sua interezza.

Giuseppe Ferraro fa una distinzione tra “cultura della vergogna”, relativa alla comunità e alla famiglia, e “cultura della colpa”, relativa alla società. La vergogna, quindi, è più intima e si lega al concetto di peccato, mentre la colpa a quello di punizione. L’anello di congiunzione tra le due, ci dice Ferraro, è il dispiacere, quel sentimento di pena che le accomuna entrambe.

Senso di colpa e vergogna non sono inscindibili, ci può essere l’uno senza l’altra e viceversa, ma spesso le due emozioni procedono affiancate. E se talvolta è senz’altro vero che qualcosa di sbagliato è stato commesso, occorre ricordare che la sentenza più severa la emettiamo troppo spesso da soli.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ferraro, G. (Dicembre 2018). L’Io altrui. La vergogna, la colpa, il dispiacere. Relazione presentata al convegno Dietro la maschera. Forme della Vergogna in Psicoanalisi, Napoli.
  • Lewis, M. (1998). Il sé a nudo. Alle origini della vergogna. Firenze: Giunti.
  • Nocentini, A. (2010). l’Etimologico. Dizionario della lingua italiana. Firenze: Le Monnier.
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