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L’anima non ha bisogno di essere rianimata

L’anima, nella maggior parte delle culture, era ritenuta qualcosa di esclusivo dell'essere umano, è davvero così?

Di Lorenzo Rodella

Pubblicato il 27 Ott. 2023

L’anima umana

Noli foras ire, in te ipsum redi […] (Sant’Agostino, 2012, XXXIX, 72).

[…] non c’è nulla dell’uomo che l’anima non contenga, non tocchi, non influenzi, non definisca. L’anima penetra in tutto l’uomo ed è presente in tutto ciò che è umano. L’esistenza umana, prima di essere qualunque altra cosa – economica, sociale, religiosa, fisica – è psicologica”(Hillman, 1983, pp. 294-295; corsivo mio).

[…] l’anima arretra, senza arrendersi mai. / È un’idea che non vuole morire, in questo ci assomiglia. / […]. Non c’è nulla da fare. / Lo dimostra da se stessa: l’anima è immortale (Milone, 2023, p. 77).

L’anima umana è stata oggetto, nei secoli, delle speculazioni più disparate. La prova della sua esistenza avrebbe fatto da collante fra la natura terrena e mortale dell’uomo e la sua pretesa di immortalità – di continuazione della vita sotto forma di spirito, o di altre fattezze (ad esempio, la reincarnazione), pur sempre abitate dall’anima originaria. Qualcuno ha provato addirittura a pesarla: Duncan MacDougall, nel suo celeberrimo esperimento. Nonostante gli sforzi ammirevoli però, l’anima o, meglio, cosa essa sia e se essa è – se esiste – rimane un mistero. La scienza moderna ci suggerisce, dal canto suo, che il problema “anima” non si pone, perché essa, semplicemente, non esiste. Per lo meno non come è stata intesa nel passato – eterea, immateriale, imperitura. Se vogliamo trovare un’anima dobbiamo rifarci ai circuiti cerebrali da cui scaturisce la coscienza. Oggi, l’anima è neurobiologica (Orbecchi, 2015; Panksepp & Biven, 2014; Damasio, 2022), e muore con il corpo, con il substrato fisico. Tutto il resto sono favole. L’anima biologicamente fondata è un’idea affascinante. E, in realtà, è anche più di un’idea visto che le evidenze empiriche vanno accumulandosi (Ibidem). Sembra scattare nelle profondità del nostro organo pensante, nelle oscure regioni sottocorticali, la scintilla, cosciente, della vita. Cosciente sì. E qui la questione si complica. Perché anima e coscienza vanno di pari passo: l’anima può esistere in un oggetto inanimato, come una pietra? O in un’ameba? La risposta della maggior parte delle persone – e, quindi, anche la tua, lettore/ttrice – è, con molta probabilità, no. Lasciamo stare il panpsichismo. L’anima, nella maggior parte delle culture, era esclusiva dell’uomo, l’unico ad avere la possibilità di trascendere, di contenere in sé qualcosa di ultraterreno. Oggi, la neurobiologia ci comunica che il nostro nucleo identitario – il nostro Sé Nucleare, direbbe Panksepp (& Biven, 2012) – per struttura, chimica, e fenomenologia, è comparabile, e quasi del tutto sovrapponibile, a quello di tutti i mammiferi e gran parte dei vertebrati. Dopo tutto, siamo animali anche noi. E, non so a voi, ma a me questa condivisione di percorso fa sentire meglio.

Un antenato comune: LUCA

Abbiamo – tutti gli esseri viventi – un antenato comune: LUCA (Last Universal Common Ancestor) (Forterre et al., 2005), probabilmente un archeobatterio, la cui esistenza è cominciata tra i 3 e 4 miliardi di anni fa. Quindi la questione si riduce a: se LUCA aveva un’anima – da intendere, in questo passaggio specifico, all’antica: spirituale, ineffabile, astratta –, potremmo averla anche noi, ma non saremmo i soli: tutti gli altri animali – e anche le piante, i funghi –, provenendo anch’essi da LUCA, a rigor di logica, avrebbero un’anima. Neanche a dirlo, se non possiamo concepire che un organismo come LUCA, un microscopico esserino, possa avere un’anima, beh, nemmeno noi ne abbiamo una. E qui, le speranze di immortalità iperuraniali vacillano. Siamo condannati? In un certo senso sì: come tutti gli altri ammassi di cellule a cui è stato dato il dono della vita, nasciamo, ci riproduciamo e, infine, moriamo – “S’ha un bel dire. / Di tutto uno può scordarsi. / Fuorché di morire” (Caproni, 1983/2016, p. 739). Un giorno, l’intera nostra specie, come molte altre prima di noi, si estinguerà (Pievani, 2012). Niente di più semplice. E questo ci turba, ci tormenta, ci fa dire: si, ok, ma… Forse ci sfugge qualcosa, forse “[…] mentre il pensiero umano si dice queste parole, tenta di conoscerla ignorandola, o d’ignorarla conoscendola?” (Sant’Agostino, 2015, XII, 5; corsivo mio). Le citazioni che aprono questo scritto sono state da me scelte perché credo possano rappresentare bene l’evoluzione del pensiero sull’anima, della sua ermeneutica; si potrebbe dire, i tre tempi dell’anima, e un piccolo vuoto. Un primo tempo – Sant’Agostino, il grande teologo –, classico, in cui l’anima è quella a cui tutti pensiamo: il soffio vitale, il divino che è in noi e che un giorno tornerà ad essere, liberato dalle spoglie mortali, di nuovo, esclusivamente, divino. Un secondo tempo – Hillman, un noto psicoanalista –, in cui l’anima si lega con più tenacia alla dimensione psicologica, e acquisisce una dimensione più singolare, se vogliamo più umana, forse meno trascendentale, ma pur sempre appannaggio dell’umanità e di quest’ultima segno distintivo. Uno scotoma: l’indagine scientifica colloca l’anima nel fisico, nel tangibile. L’anima, se così vogliamo continuare a chiamarla, è derivante dall’operare di meccanismi cerebrali – gli stessi, per la maggior parte dei viventi. Potrebbe andare bene così. Le prove, anche per chi, come San Tommaso, vorrebbe toccare con mano, sono abbastanza. Eppure, rimane – e, ne sono abbastanza sicuro, rimarrà sempre –, quel senso di vuoto che necessita di essere riempito da un altro vuoto, da un astratto che non vuole essere reificato. L’idea dell’anima non vuole morire e, forse, in questo senso, l’anima esiste. Lo psichiatra Paolo Milone (2023, p. 77) centra il punto “[…]. Non c’è nulla da fare. / Lo dimostra da sé stessa: l’anima è immortale”. Va bene così. Lasciamoci il beneficio del dubbio. La scommessa di Pascal era poi così sbagliata? A voi l’opinione. Ai defunti, la risposta.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Agostino, Sant’ (2012). La vera religione. Mursia, Milano. (Edizione originale in lingua latina. Prima pubblicazione: 390 circa).
  • Agostino, Sant’ (2015). Confessioni. Oscar Mondadori, Milano. (Edizione originale in lingua latina. Prima pubblicazione: 400 circa).
  • Caproni, G. (1983/2016). Tutte le poesie. Garzanti, Milano.
  • Damasio, A. (2022). Sentire e conoscere. Adelphi, Milano. (Edizione originale in lingua inglese. Prima pubblicazione: 2021).
  • Forterre, P., Gribaldo, S., &, Brochier, C. (2005). Luca: à la recherche du plus proche ancêtre commun universel [Luca: the last universal common ancestor]. Medecine sciences: M/S, 21(10), 860–865.
  • Hillman, J. (1983). Re-visione della psicologia. Adelphi, Milano. (Edizione originale in lingua inglese. Prima pubblicazione: 1975).
  • Milone, P. (2023). Astenersi principianti. Einaudi, Torino.
  • Orbecchi, M. (2015). Biologia dell’anima: Teoria dell’evoluzione e psicoterapia. Bollati Boringhieri, Torino.
  • Panksepp, J., & Biven, L. (2014). Archeologia della mente: Origini neuroevolutive delle emozioni umane. Raffaello Cortina, Milano. (Volume originale in lingua inglese. Prima pubblicazione: 2012).
  • Pievani, T. (2012). La fine del mondo: Guida per apocalittici perplessi. Il Mulino, Bologna.
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