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Perché il concetto di autenticità è sopravvalutato? Risponde la psicologia sociale

Essere se stessi è davvero un consiglio utile? Un recente studio Mignault et al. (2022) prova a rispondere a questa domanda

Di Daniele Saccenti

Pubblicato il 01 Set. 2023

Autenticità e ricerca

È una condizione comune quella di provare ansia prima di esporsi a una situazione sociale in cui verremo potenzialmente valutati, ad esempio un primo appuntamento, l’incontro con i genitori del partner, un esame all’università, un colloquio di lavoro e così via. Un’ipotesi è che ad alimentare questi stati ansiosi sia, da un lato, il desiderio di fare una buona impressione ai nostri interlocutori, e, dall’altro, la credenza di avere un controllo limitato sul modo in cui verremo percepiti o valutati da quest’ultimi (Clark & Wells, 1995). Una frase che spesso ci diciamo o ci sentiamo dire da coloro che ci stanno attorno in queste situazioni è la seguente: “Sii te stesso”. Ma è davvero un buon consiglio? Uno studio pubblicato su Social Psychological and Personality Science da Mignault et al. (2022) ha provato a rispondere a questa domanda.

I dettagli dello studio di Mignault et al. (2022)

In particolare, i ricercatori hanno condotto un’indagine sperimentale sulle prime impressioni (first impressions) di un gruppo di studenti universitari verificando se l’istruzione a “essere se stessi” (rispetto a nessuna istruzione esplicita) portasse i soggetti a percepire più accuratamente il proprio profilo di personalità e a far esperienza di maggiori benefici personali o sociali. Il campione è stato casualmente suddiviso in due gruppi: un gruppo target e un gruppo degli osservatori. Al primo di essi, composto da 204 studenti aventi un’età media di 21 anni, è stato chiesto compilare un questionario sui tratti di personalità, i.e. il Big Five Inventory (BFI; McCrae & Costa, 1987), e, successivamente, di partecipare a una breve intervista videoregistrata in cui veniva chiesto loro quali fossero le proprie passioni e come impiegassero il proprio tempo libero. In principio, i partecipanti sono stati informati del fatto che l’indagine si sarebbe concentrata sull’accuratezza delle prime impressioni e che le videoregistrazioni sarebbero state valutate in un secondo momento da un gruppo di osservatori. A coloro che appartenevano al gruppo sperimentale è stato inoltre suggerito di “cercare di essere se stessi il più possibile” durante l’intervista. Al contrario, a coloro che appartenevano al gruppo di controllo non è stata fornita alcuna consegna particolare. Al termine dell’intervista, è stato misurato il livello di benessere dei soggetti concentrandosi sui livelli di autostima e di soddisfazione riportati da quest’ultimi.

Una volta prodotti, i video delle interviste sono stati esaminati dal gruppo degli osservatori, i.e. 373 studenti universitari aventi un’età media pari a 22 anni. Ciascun osservatore ha ispezionato molteplici videoregistrazioni, il che ha permesso la generazione di oltre 4.000 coppie uniche target-osservatore. Il compito degli osservatori era quello di valutare la personalità e la simpatia (likability) dei soggetti target, i.e. dei singoli intervistati presenti nei video. In questo caso, la personalità del target è stata misurata utilizzando una versione ridotta del BFI (John & Srivastava, 1999), mentre la likability è stata stimata sulla base delle risposte degli osservatori a un singolo item, i.e. “[il target] È molto simpatico” (“Is very likable”), da collocarsi su di una scala che spaziava da 1 (fortemente in disaccordo) a 7 punti (fortemente d’accordo).

L’analisi dei dati raccolti ha mostrato che i soggetti istruiti a “essere se stessi” durante l’intervista sono stati percepiti dagli osservatori come significativamente più in linea con il loro profilo di personalità rispetto a coloro che non avevano ricevuto tale istruzione. Inoltre, l’espressione da parte dei target dei propri aspetti socialmente valutativi, es. quanto fossero persone affidabili, ha permesso agli osservatori di cogliere quali caratteristiche della propria persona venissero particolarmente apprezzate dagli intervistati stessi. Tuttavia, i risultati hanno anche mostrato che gli individui target a cui era stato chiesto di “essere se stessi” non venivano percepiti come più simpatici rispetto ai controlli. In aggiunta, i soggetti appartenenti al gruppo sperimentale non hanno fatto esperienza di alcun cambiamento significativo nei propri livelli di benessere misurati al termine dell’intervista.

Dunque, Mignault et al. (2022) suggeriscono che, sebbene impegnarsi ad essere se stessi contribuisca alla formazione di prime impressioni più accurate da parte di terzi, ciò non comporta conseguenze personali o sociali rilevanti per l’individuo. In altre parole, sebbene il consiglio di “essere se stessi” possa incoraggiare un’espressione autentica della nostra personalità, ciò non sembra avere particolari effetti sul piano psicologico o sociale.

Una breve discussione

Il consiglio di essere autentici nelle situazioni che incutono timore motiverebbe pertanto le persone a rivelare più informazioni circa la propria persona e a comportarsi in modi che corrispondono ad aspetti di sé osservabili e socialmente valutabili. Allo stesso tempo, il suggerimento di essere se stessi non sembra avere un impatto positivo sui risultati personali o sociali. Nello studio appena discusso, l’autenticità non è stata infatti associata a un maggiore benessere, simpatia o ad altre conseguenze positive a livello personale, psicologico o sociale. Questo risultato è in disaccordo con alcune ricerche precedenti che suggeriscono invece che l’autenticità si associ a risultati positivi, e.g. felicità e successo (Moore et al., 2017). Una possibile spiegazione è dunque che l’associazione tra autenticità e conseguenze positive sia valida solamente per coloro che mostrano delle caratteristiche socialmente desiderabili. Alcuni esempi possono essere espressioni genuine di coscienziosità, onestà, affidabilità, ambizione, fiducia in se stessi, lealtà e senso dell’umorismo. A tal proposito, è stato osservato che l’espressione di questi tratti personologici viene molto apprezzata sia da un intervistatore sul posto di lavoro che da un potenziale partner romantico (Moore et al., 2017; Kerr et al., 2020). Al contrario, individui con tratti di personalità meno desiderabili, e.g. tendenze antisociali, evitanti, schizoidi o paranoiche, avrebbero meno probabilità di fare una buona prima impressione a un terzo qualora si esprimessero in maniera autentica.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Clark, D. M., & Wells, A. (1995). A cognitive model of social phobia. In R. G. Heimberg, M. R. Liebowitz, D. A. Hope, & F. R. Schneier (Eds.), Social phobia: Diagnosis, assessment, and treatment (pp. 69–93). The Guilford Press.
  • John O. P., & Srivastava S. (1999). The Big Five trait taxonomy: History, measurement, and theoretical perspectives. In Pervin L. A., John P. O. (Eds.), Handbook of personality: Theory and research (Vol. 2, pp. 102–138). The Guilford Press.
  • Kerr L. G., Tissera H., McClure M. J., Lydon J. E., Back M. D., Human L. J. (2020). Blind at first sight: The role of distinctively accurate and positive first impressions in romantic interest. Psychological Science, 31(6), 715–728.
  • McCrae, R. R., & Costa, P. T. (1987). Validation of the five-factor model of personality across instruments and observers. Journal of Personality and Social Psychology, 52(1), 81–90.
  • Mignault, M.-C., Kerr, L. G., & Human, L. J. (2023). Just Be Yourself? Effects of an Authenticity Manipulation on Expressive Accuracy in First Impressions. Social Psychological and Personality Science, 14(5), 562–571.
  • Moore C., Lee S. Y., Kim K., & Cable D. M. (2017). The advantage of being oneself: The role of applicant self-verification in organizational hiring decisions. Journal of Applied Psychology, 102(11), 1493–1513.
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