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L’intelligenza artificiale al servizio della salute mentale: i chatbot in psicoterapia

L'utilizzo dei chatbot potrebbe assumere un ruolo fondamentale negli interventi psicologici di ultima generazione

Di Tiara Ailen Belloni Carreras, Rosita Borlimi

Pubblicato il 26 Set. 2023

Un’analisi delle potenzialità dei chatbot nella cura della salute mentale

I chatbot possono, in futuro, diventare uno strumento da implementare nella psicoterapia?

Negli ultimi decenni, una delle tecnologie che sta sempre di più crescendo e avanzando è l’intelligenza artificiale. Nel 2007, l’informatico e matematico John McCarthy diede una definizione di intelligenza artificiale, come: “La scienza di creare ed ingegnerizzare macchine intelligenti e in particolar modo programmi informatici intelligenti. È correlata alla capacità di utilizzare i computer per comprendere l’intelligenza umana, ma non deve limitarsi a metodi che sono biologicamente osservabili” (McCarthy, 2007).

Negli ultimi mesi, si è aperto un dibattito politico e pubblico sull’avanzamento così rapido di questa tecnologia portando poi nel mese di aprile 2023, in Italia, il blocco, da parte del garante della privacy, di ChatGPT (GPT; Generative Pre-trained Transformer). Tuttavia, ChatGPT è solamente uno degli ultimi sviluppi tecnologici delle nuove forme di intelligenza artificiale, in particolare degli ultimi Chatbot che sono stati sviluppati.

I Chatbot (denominati anche chatterbot o chat bot) sono dei software, programmi e algoritmi che in un sistema di risposta alle domande adoperano l’elaborazione del linguaggio naturale (NLP; Natural Language Processing). Questi software sono stati classificati come sistemi esperti, in quanto utilizzano il ragionamento basato sui casi (CBR; Case-based reasoning; Wallace, 2004). Per sistema esperto ci si riferisce ad un calcolatore il cui obiettivo è quello di cercare di riprodurre le prestazioni svolte da uno o più esperti in un determinata area di attività; mentre per ragionamento basato sui casi, esso può essere definito come un approccio che si basa sulla risoluzione di nuovi problemi mediante le soluzioni applicate precedentemente a dei problemi simili (Bernstein, 2019).

Evoluzione dei chatbot nel corso del tempo

L’idea alla base dello sviluppo dei chatbot risale agli anni 50, quando l’informatico Alan Turing fece una domanda, denominata test di Turing: l’obiettivo era quello di verificare se un programma per computer fosse in grado di interagire con un gruppo di soggetti senza che questi si accorgessero che il loro interlocutore fosse artificiale (Turing, 1950). Dopo sedici anni (1966), venne sviluppato ELIZA, il primo chatbot che simulava l’intervento di uno psicoterapeuta della scuola rogersiana (Adamopoulou e Moussiades, 2020). Successivamente, nel 1972, venne costruito PARRY, una chatbot che simulava il comportamento di un paziente schizofrenico (Colby et al., 1971).

Il termine “chatbot” venne coniato nel 1991 (Mauldin, 1994); successivamente, nel 1995 venne sviluppato ALICE (Artificial Linguistic Internet Computer Entity), il primo chatterbot online che si ispirava ad ELIZA (Wallace, 2009). ALICE vinse il premio Loebner come miglior programma informatico analogo ad un essere umano (Bradeško e Mladenić, 2012).

Nel 2001, con la creazione di SmarterChild, avvenne una vera e propria rivoluzione nel mondo delle chatbot in quanto era la prima chatbot in grado di supportare le attività quotidiane delle persone, fornendo ad esempio notizie, previsioni del tempo e altre informazioni utili (Adamopoulou e Moussiades, 2020). Da quella rivoluzione, nacquero gli assistenti vocali personali intelligenti come Apple Siri, Amazon Alexa e Google assistant (Adamopoulou e Moussiades, 2020).

Negli ultimi anni, la creazione di chatbot è in continua crescita, con una presenza ormai diffusa in diversi campi, come il marketing, l’assistenza sanitaria, l’intrattenimento, l’istruzione e i beni culturali. I dati del 2016 segnalavano infatti la presenza di 34.000 chatbot in diversi settori (Powton, 2018). In sintesi, la storia dei chatterbot rappresenta un interessante esempio di come l’evoluzione della tecnologia possa portare a soluzioni sempre più innovative ed efficaci per rispondere alle necessità delle persone.

Chatbot e psicoterapia: una sinergia possibile?

Il progresso rapido dell’Intelligenza Artificiale sta causando mutamenti e prospettive inedite nell’ambito della psicologia clinica e della psicoterapia (Juniper Research, 2018; World Economic Forum, 2018): l’utilizzo dei chatbot, ad esempio, potrebbe assumere un ruolo fondamentale negli interventi psicologici di ultima generazione (Bending et al., 2019).

Alcune ricerche (Andersson et al., 2014, 2016; Carlbring et al., 2018), hanno dimostrato che le psicoterapie online, che si basano su tecniche cognitivo-comportamentali, si sono dimostrate altrettanto efficaci, quanto la psicoterapia in presenza, per quanto riguarda la gestione dei disturbi d’ansia e depressivi (Bending et al., 2019).

Diversi studi (Bird et al., 2018; D’Alfonso et al., 2017; Huang et al., 2015), hanno dimostrato che i chatbot possono essere utilizzate efficacemente per consolidare gli effetti dell’intervento, per facilitare il trasferimento delle competenze terapeutiche nella vita quotidiana e per ridurre la probabilità di una ricaduta.

Secondo Fitzpatrick e colleghi (2017), i chatbot possono essere un supporto valido ai tradizionali interventi psicoterapeutici, poiché consentono di fornire microinterventi (ad esempio la condivisione degli obiettivi) che richiedono poco tempo e competenze terapeutiche meno complesse. Inoltre, l’implementazione di chatterbot nella psicoterapia può aumentare sia qualitativamente che quantitativamente le cure fornite ai pazienti, ad esempio attraverso l’anamnesi o la psicoeducazione, limitando la necessità di contatto con il terapeuta. Questo potrebbe consentire agli psicoterapeuti di assistere più pazienti e/o di fornire cure più approfondite (Feijt et al., 2018).

I chatbot, in questo caso, possono rappresentare una novità nella terapia online. Tuttavia, devono essere considerati i problemi legali, sociali ed etici che comportano, ad esempio: la protezione dei dati e la privacy, due concetti fondamentali nel campo della salute mentale (Bending et al., 2019). Un altro limite che si può presentare è sulla possibilità che i pazienti possano accettare consigli “terapeutici” dai chatbot, il cui funzionamento può essere poco chiaro. Inoltre, è importante non solo avere chatbot efficaci, ma anche con meno effetti collaterali, soprattutto quando si tratta di situazioni di crisi, come la comunicazione di ideazione suicidaria (Bending et al., 2019).

Secondo diversi studi (Becker, 2018; D’Alfonso et al., 2017; Dowling e Rickwood, 2013), per affrontare questioni clinico-psicologiche, i chatbot dovrebbero utilizzare script basati, per esempio, sulla terapia cognitivo-comportamentale, che permettono ai chatbot di tenere conversazioni analoghe ai colloqui terapeutici utilizzando la regola if-then. Un altro requisito importante per promuovere una base valida per l’interazione tra paziente e chatbot, è la capacità di manifestare empatia e di avere attributi sociali. In questo caso i chatbot relazionali, che simulano le capacità umane, possono utilizzare attributi mentali per aumentare la somiglianza con gli esseri umani (Bickmore et al., 2005a; Brixey e Novick, 2019; Krämer et al., 2018; Morris et al., 2018; Zanbaka et al., 2006).

Come già affrontato prima, il contesto della salute mentale richiede una maggiore attenzione per quanto riguarda la privacy dei dati e la sicurezza dei chatterbot. In futuro sarà necessario sviluppare dei criteri di qualità per identificare chatbot efficaci per la salute mentale e distinguere da quelli che non sono validati; perciò, sarà indispensabile l’implementazione di una nuova legislazione che regoli il loro utilizzo e protegga i dati privati (Stiefel, 2018). Una soluzione potrà essere quella che i chatbot ricevano il marchio CE (Conformité Européenne), in quanto potrebbe permettere di distinguere chatbot terapeutiche efficaci e sicure da quelle che non offrono alcun beneficio clinico o potrebbero recare dei danni al paziente (Rubeis e Steger, 2019).

In conclusione, nonostante i limiti, l’utilizzo dei chatbot potrebbe rappresentare un nuovo traguardo nell’assistenza psicologica, offrendo un nuovo approccio terapeutico che potrebbe portare benefici significativi per i pazienti. Sarà necessario, in futuro, sfruttare appieno il potenziale tenendo in considerazione le problematiche legate all’applicazione di questa tecnologia.

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