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The Whale: il trauma della perdita dell’Altro come condanna a vita – Recensione

Una recensione del film premio Oscar "The Whale" con una chiave di lettura centrata sui contributi di autori psicoanalitici come Freud e Lacan

Di Teresa Colaiacovo

Pubblicato il 05 Giu. 2023

Charlie (il protagonista di “The Whale”, il padre ed il “colpevole”) mangia per la moglie che dopo la separazione è diventata un’alcolista, mangia per la figlia che sente di aver perso, mangia per la perdita del compagno a causa e grazie al quale ha perso il nucleo centrale della sua vita: la famiglia che aveva costruito.

Attenzione! L’articolo può contenere spoiler

… la colpa è il fardello che il passato fa pesare sul futuro. È questo fardello che il perdono vorrebbe alleggerire, ma all’inizio questo fardello pesa: ed è il futuro che pesa… (Ricoeur, 2004).

 Un uomo, l’obesità, l’omosessualità e una storia che si dipana tra la fame d’amore sostituita dal cibo e la fragilità umana di fronte al vuoto: un abisso vorace che fagocita i protagonisti, che quasi senza voce per domandare ed orecchie che ascoltano non riescono a comunicare dell’Altro e con l’Altro.

Di questo film si è parlato molto: gli attori, la trama, le increspature della vita e l’urlo del regista che sembra parafrasare le parole di Lacan: “l’urlo è l’abisso in cui il silenzio precipita” (Lacan, 1965).

La scena che apre i rapporti tra i protagonisti è quella dell’incontro tra un padre e una figlia.

Gli occhi di questa figlia guardano il padre obeso, quell’uomo che a fatica si era lavato e sbarbato per l’incontro con il perturbante: lei.

“Freud con la parola tedesca unheimlich [perturbante] designa l’antitesi di heimlich [da Heim, casa}, heimirch [patrio, nativo], e quindi familiare, abituale, e sembra plausibile dedurre che se qualcosa suscita spavento è proprio perché non è noto e familiare” (Jentsch, 1900).

Che un padre nell’attesa di una figlia sia divorato dall’incertezza e ne sia turbato, che una figlia vada all’incontro con il padre corazzata e pronta a difendersi mostra che, affinché questo incontro sia perturbante per entrambi, con probabilità si arriva a pensare che sia un avvenimento in cui non ci si “raccapezza”.

Entrambi non sanno raccapezzarsi e non sanno cosa dire. Il padre inizia con i suoi “mi dispiace”, che ricorrono più volte durante il film e che appaiono sinonimo di un uomo che ha detto troppi sì agli altri e grandi no a sé stesso, ed una figlia che lo guarda e chiede: “un giorno diventerò obesa come te?”. Ed è proprio in quel momento che il padre ri-trova la sua funzione paterna: nel rassicurare la ragazza dicendole che lui è stato sempre “grosso” e che lei è meravigliosa.

Charlie (il protagonista, il padre ed il “colpevole”) mangia per la moglie che dopo la separazione è diventata un’alcolista, mangia per la figlia che sente di aver perso, mangia per la perdita del compagno a causa e grazie al quale ha perso il nucleo centrale della sua vita: la famiglia che aveva costruito.

La figlia, Ellie, dopo poche parole ringrazia il padre per averla abbandonata ad 8 anni perché le ha insegnato una grande lezione: che le persone fanno “schifo” e l’ha preparata al futuro.

Il padre vende un po’ di sé stesso proponendo alla figlia di aiutarla nei temi e di pagarla, pagare la sua compagnia; questo sembra essere il patto, il compromesso, questa sembra essere l’eredità.

Il vero erede, però, è colui che ri-conquista ciò che è già suo.

Probabilmente l’eredità di Charlie è lasciare alla figlia la possibilità di ri-conquistarsi, smettendo di odiare gli Altri perché odia lui, e i soldi rappresentano una base sicura, l’unica base sicura che lui è riuscito a lasciarle insieme alla parole che ri-suonano più volte durante il film: “Tu, Ellie, sei meravigliosa ed intelligente”.

Alla fine del film, alla fine della vita di Charlie, la famiglia si ri-compone per qualche minuto e Charlie esclama “è la prima volta dopo anni che siamo stati di nuovo insieme..”;  una scena, quasi pirandelliana, inquadra la moglie che ascolta il suo sibilo, accoccolata tra le sue braccia.

In quel momento gli edemi, causati dall’obesità, il peso ponderale di Charlie, scompaiono, perché la scena che si pone e si impone è quella della tenerezza tra due persone, una tenerezza che sa guardare oltre.

La moglie chiude la scena parlandogli di Ospedale e lui sorride dicendo ancora “Mi dispiace”.

L’uomo non è soltanto la somma delle sue esperienze o relazioni che instaura, è ancor più la somma delle sue storie (Pittman, 1998), ed in questa storia i chilogrammi in più di Charlie, gli psicofarmaci e l’alcool della ex-moglie e la maschera di Ellie mostrano come la persona sia anche la sommatoria degli errori nella sua storia.

 In questo film la trama sembra soggetta a copione, mentre gli attori avrebbero avuto una possibilità di cambiare (Byng-Hall 1998): se Charlie, anziché chiedere alla figlia “chi mi vorrebbe nella sua vita?” alla fine della sua vita, lo avesse chiesto alla ragazza anni prima? Magari un dialogo si sarebbe aperto.. e se la ex moglie anziché anestetizzarsi avesse messo da parte sé stessa ed il rancore per il marito affinché la figlia riprendesse a comunicare con il famigliare? E se l’infermiera si fosse presa cura di Charlie affidandolo ai servizi?

In Charlie probabilmente la diagnosi sarebbe potuta giungere come una realtà dolorosa, ma conciliante, perché la malattia del singolo spiega le difficoltà del gruppo senza chiamare in causa quest’ultimo (Haley, 1963).

La storia, però, non si fa con i se e con i ma, ma con l’agito e questo film mostra duramente che il non agire è pur sempre una scelta.

I sintomi di questa storia appaiono sempre più come un segnale di disagio relazionale dell’intera famiglia, che sembra comunicare in questo modo l’esistenza di un conflitto tra continuità e cambiamento, tra legami di appartenenza e bisogni di individuazioni dei suoi singoli componenti. (Andolfi 2003)

Alla fine del film ciò che rimane impresso sono gli occhi di Charlie che si alza e cerca di andare verso la figlia, Ellie che lo cura leggendo un tema fatto da lei su “Moby Dick”, quella balena che ha accompagnato il padre durante i suoi vuoti, ed una luce che sembra fare un po’ di luce al buio di questa storia, svelando il ricordo della famiglia al mare, durante l’ultima vacanza insieme, i piedi di Charlie che si bagnano in quell’acqua che gli ricorda che è stato felice.

Gli occhi di Ellie che ascolta le parole del padre: “sei una meraviglia” si bagnano ed il film si chiude forse lasciandoci con la speranza che un giorno tutte le Ellie abbandonate da un genitore comprenderanno che “il padre non può essere pensato come ciò che riempie il vuoto centrale dell’Altro” (cfr. M. Recalcati, Jacques Lacan, 2012, p. 199).

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Teresa Colaiacovo
Teresa Colaiacovo

Psicologa clinica e della riabilitazione

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • ANDOLFI M. (2003). Manuale di psicologia relazionale-  Una dimensione familiare, Accademia di Psicoterapia della famiglia, Roma.
  • BYNG-HALL J. (1998). Le trame della famiglia, Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • HALEY J. (1963). Le strategie della psicoterapia, Sansoni, Firenze, 1974
  • JENTSCH E (1900). Zur Psycbologit det Unbtimlicbtn, Psychiat.-neurol. Wschr., yol. 8, 191".
  • LACAN J, Il Seminario. Libro XII. Lezione del 17 Marzo 1965, inedito.
  • PITTMAN F.S. (1998). Premessa, In: Byng-Hall J., Le trame della famiglia, Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • RECALCATI M. (2012). Cosa resta del padre?, J. Lacan, p. 199.
  • RICOEUR P. (2004), Percorsi del riconoscimento, Raffaello Cortina, Milano, 2005
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