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Il concetto di salute mentale: tra definizioni e abuso

L'uso dell'espressione salute mentale in canali non specialistici porta il rischio di stabilire pericolose equivalenze tra esperienze psicopatologiche e non

Di Daniele Saccenti

Pubblicato il 28 Giu. 2023

Aggiornato il 20 Lug. 2023 09:29

Secondo la World Health Organization (WHO) la salute mentale è molto di più che l’assenza di disturbi mentali. Si tratta altresì di uno stato di benessere psichico che consente all’individuo di realizzare le proprie capacità, di far fronte agli ostacoli della vita quotidiana, di apprendere e di lavorare in maniera efficiente, nonché di apportare un contributo significativo alla comunità di cui egli è parte.

Definire la salute mentale

 A partire dallo scoppio della pandemia, se non prima, la salute mentale è divenuta oggetto di numerose discussioni che si sono sviluppate in contesti sempre meno specialistici, quali televisione, radio, quotidiani e social network. Nella maggioranza dei casi, l’obiettivo di questi discorsi era quello di sensibilizzare lettori e ascoltatori sui rischi associati alla psicopatologia. Questo fine veniva spesso perseguito ricorrendo a messaggi che incrementassero la consapevolezza riguardo ai fattori associati all’esordio o il mantenimento della malattia e che, al contempo, contrastassero una serie di pregiudizi culturali rivolti alla psicoterapia o alla farmacoterapia. Solo nel 2023, le campagne più cliccate sulla salute mentale sono svariate, tra cui If this speaks to you, speak to Mind (Mind); Britain, get talking (ITV); Suicidal doesn’t always look suicidal (CALM); My Cause, My Cleats x Kicking the Stigma (NFL); It feels good to share (Walkers). Pur avendo effettivamente reso alcuni argomenti appartenenti al campo della psicologia clinica e della psichiatria maggiormente accessibili al pubblico, questi interventi hanno contribuito alla diffusione di una definizione eccessivamente vaga e grossolana di “salute mentale” e generato così una serie di incertezze e di equivoci attorno a costrutti che in ambito clinico-specialistico non presentano ambiguità. In altre parole, ad esser stato favorito è stato un approccio estremamente superficiale alla psicopatologia, in quanto ad oggi si finisce per parlare abitualmente di salute mentale più o meno cagionevole riferendosi a qualsiasi non meglio specificata condizione soggettiva fonte di sofferenza per l’individuo. E allora, che cos’è la salute mentale? Secondo la World Health Organization (WHO) la salute mentale è molto di più che l’assenza di disturbi mentali. Si tratta altresì di uno stato di benessere psichico che consente all’individuo di realizzare le proprie capacità, di far fronte agli ostacoli della vita quotidiana, di apprendere e di lavorare in maniera efficiente, nonché di apportare un contributo significativo alla comunità di cui egli è parte. La salute mentale è alla base delle nostre capacità individuali e collettive di prendere decisioni, di costruire relazioni sociali e di plasmare il mondo in cui viviamo; caratteristiche che la rendono fondamentale non solo per lo sviluppo personale, ma anche per quello comunitario e socio-economico (WHO, 2022).

I rischi del misunderstanding

In un articolo pubblicato sul New York Times lo psicologo statunitense Huw Green (2022) ha sottolineato che la circolazione dell’espressione “salute mentale” in ambienti e canali non specialistici porta con sé il rischio di indurre molte persone a stabilire pericolose equivalenze tra esperienze psicopatologiche e altre che in realtà non lo sono. Green continua sostenendo che di questo passo si rischia di favorire sia la diffusione di inappropriate forme di autodiagnosi e di auto-aiuto, sia un eccessivo e immotivato ricorso agli specialisti del settore. Il punto chiave è che un impiego smodato e inappropriato del termine “salute mentale” rischi di patologizzare esperienze e condizioni che in realtà fanno parte della vita quotidiana delle persone e che non richiedono di essere necessariamente trattate attraverso dispositivi clinici. E allora, cos’è un disturbo mentale? L’American Psychological Association (APA) riporta che un disturbo mentale è qualsiasi condizione caratterizzata da significativi problemi cognitivi ed emotivi, comportamenti anomali, funzionamento compromesso o qualsiasi combinazione di questi. Per essere tali, i disturbi mentali devono associarsi a un disagio significativo o a una disabilità nelle attività lavorative, sociali o in altre attività ritenute importanti dall’individuo (APA, 2022).

Per diagnosticare un disturbo mentale è necessario che vengano soddisfatti una serie di criteri riportati nei manuali psicodiagnostici in seguito ad un esame specialistico che solitamente comprende il colloquio clinico e l’impiego di strumenti che consentano una valutazione, per quanto possibile, obiettiva. La diagnosi di un disturbo mentale non è fine a sé stessa, bensì ha un’utilità clinica, es. aiutare il clinico a determinare la prognosi, i piani di trattamento e i potenziali esiti di quest’ultimo per il paziente. Tuttavia, la diagnosi di un disturbo mentale non equivale alla necessità di un trattamento. La necessità di un trattamento è una decisione clinica complessa che prende in considerazione una serie di fattori, tra cui la gravità dei sintomi, la loro salienza (per esempio presenza/assenza di pensieri suicidari), i rischi e i benefici degli interventi disponibili (APA, 2022).

La psicoterapia come intervento universale per promuovere la salute mentale

 Non va neppure dato per scontato che la psicoterapia sia il miglior modo per preservare la propria salute mentale, dato che vi sono alcuni casi in cui quest’ultima non solo si è dimostrata inefficace, ma ha anche prodotto un peggioramento delle condizioni dei pazienti. Si tratta dei cosiddetti effetti iatrogeni (Bark & Parker, 2009). La psicoterapia non è neppure da considerarsi alla stregua di un intervento universalmente valido, come alcuni invece suggeriscono. Green, in proposito, cita il caso di Emily Anhalt, una psicoterapeuta statunitense popolare sui social network, la quale sostiene che chiunque dovrebbe intraprendere una psicoterapia e che quest’ultima dovrebbe diventare persino un prerequisito per diventare genitore. Pur condividendo la tesi che molti individui al momento non seguiti da uno psicoterapeuta probabilmente ne trarrebbero beneficio, lo stesso Green si è mostrato molto più cauto in merito all’ipotesi di una prescrizione universale della psicoterapia. Infatti, egli sottolinea che la psicoterapia ha dei costi che non sempre risultano sostenibili per il paziente, senza contare che essa potrebbe non adattarsi agli schemi culturali o religiosi della persona.

In conclusione, la continua crescita dell’attenzione verso la salute mentale sarebbe da accogliere positivamente secondo Green, ma a patto di intendere quest’ultima come una delle tante modalità con cui guardare alle nostre vite. Gli specialisti, al contempo, non dovrebbero perdere di vista l’obiettivo di permettere ai propri pazienti di condurre una vita felice e appagante senza passare troppo tempo in quella che Antonino Ferro (1996) chiama stanza d’analisi.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association. (2022). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed., text rev.).
  • Berk, M, & Parker, G. (2009). The Elephant on the Couch: Side-Effects of Psychotherapy. Australian & New Zealand Journal of Psychiatry, 43(9):787-794.
  • Ferro, A. (1998). Nella stanza d'analisi. Emozioni, racconti, trasformazioni. Milano. Raffaello Cortina Editore.
  • Green, H. “We Have Reached Peak ‘Mental Health’”. New York Times, 2022, September 20. Retrieved here.
  • World Health Organization. (2022, June 17). Mental Health. Retrieved here.
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