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Verso una definizione di Mansplaining

Vi è mai capitato di assistere a una conversazione in cui un uomo corregge ripetutamente una donna? Potrebbe trattarsi di mansplaining 

Di Daniele Saccenti

Pubblicato il 30 Mag. 2023

Aggiornato il 20 Set. 2023 15:58

Cosa si intende con Mansplaining

Il termine mansplaining fa riferimento a una spiegazione fatta da un uomo a una donna, che non tiene conto della possibilità che l’ascoltatore sia più informato rispetto al parlante.

Nel corso degli anni, la letteratura scientifica si è cimentata nella descrizione e nell’individuazione delle componenti di questo fenomeno. Queste ricerche si sono concentrate tuttavia sugli aspetti quantificabili del discorso, tralasciando spesso e volentieri il suo contenuto. Sono necessari pertanto ulteriori studi che accertino fino a che punto il fenomeno del mansplaining sia comune nella popolazione generale e se esso sia diretto univocamente dagli uomini verso le donne. Al di là delle sue specificità, il mansplaining rimane un fenomeno problematico, in quanto rafforza la disuguaglianza di genere e contribuisce alla costruzione di ipotesi stereotipate che riguardano non solo il genere femminile, ma anche quello maschile (Cookman, 2015).

Vi è mai capitato di assistere a una conversazione in cui un uomo corregge ripetutamente una donna malgrado i due stiano esprimendo lo stesso concetto ma impiegando parole diverse?

Per esempio, immaginiamo un uomo che chiede a una donna quale sia una modalità per calcolare l’area di un rettangolo. Quest’ultima risponde dicendo che è sufficiente moltiplicare la lunghezza per la larghezza del quadrilatero. Nonostante la risposta sia corretta, l’uomo puntualizza che a essere moltiplicati devono essere invece la base e l’altezza del poligono.

Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, non si tratta solamente di pignoleria, bensì di un processo più subdolo e svilente. Se reiterato, questo comportamento sfocia infatti nel fenomeno del mansplaining.

Introdotta nel 2008 (Rothman, 2012), la parola in questione ha riscontrato un’elevata popolarità, entrando nella lunga lista dei candidati per la Oxford’s word of the year (Steinmetz, 2014) e nella short list della categoria Most Creative dell’American Dialect Society (Zimmer, 2013). Stando a quanto riportato dall’Oxford English Dictionary, praticare del mansplaining significa spiegare qualcosa a qualcuno, in genere un uomo a una donna, in maniera accondiscendente o paternalistica (Steinmetz, 2014). Parimenti, l’American Dialect Society fa riferimento a quando un uomo spiega in modo accondiscendente qualcosa ad ascoltatori di sesso femminile (Zimmer, 2013). Degna di nota è infine la definizione che Lily Rothman (2012) fornisce in “Cultural History of Mansplaining”, dove questo fenomeno viene inteso come una spiegazione, spesso fatta da un uomo a una donna, che non tiene conto del fatto che l’ascoltatore possa saperne di più rispetto al parlante.

Il Mansplaining nella Letteratura Scientifica

Nonostante il termine mansplaining sia stato coniato di recente, i comportamenti che lo caratterizzano vengono emessi dall’essere umano sin dall’antichità. Si pensi, ad esempio, al fatto che nell’Antica Grecia discorsi in materia di leggi, politica e cultura erano appannaggio dei soli uomini; al contrario, le donne erano relegate a un ruolo passivo e domestico che prevedeva la totale obbedienza alla figura maschile.

Ai giorni nostri, la letteratura scientifica si è cimentata nella descrizione delle componenti peculiari del mansplaining. Molto studiate sono le differenze di potere tra i generi nel corso dell’interazione verbale. Rispetto alle donne, gli uomini sarebbero più propensi a interrompere l’interlocutore, soprattutto ricorrendo a modalità intrusive (Anderson & Leaper, 1998). Rispetto agli uomini, le donne avrebbero invece maggiori probabilità di essere interrotte, sia da interlocutori uomini che da altre donne (Hancock & Rubin, 2015).

Una possibile spiegazione di questi risultati è che le donne mostrino questa tendenza comportamentale perché, in parte, sono abituate a essere interrotte (Farley et al., 2010). Le interruzioni sono legate inoltre al potere sociale. Nelle interazioni tra due individui, il partner più potente è considerato quello maggiormente propenso a interrompere l’interlocutore (Kollock et al., 1985). I ricercatori tendono tuttavia a concentrarsi sugli aspetti quantificabili del discorso, piuttosto che sul suo contenuto.

Sono dunque necessarie ulteriori ricerche che accertino fino a che punto il fenomeno del mansplaining sia diffuso nella popolazione e, soprattutto, gender-based, ovvero principalmente diretto dagli uomini verso le donne.

Le problematicità del Mansplaining

Il mansplaining è problematico perché rafforza la disuguaglianza di genere. In altre parole, quando un uomo spiega qualcosa a una donna in maniera paternalistica o condiscendente, finisce per rafforzare gli stereotipi di genere sulla presunta minor conoscenza e capacità intellettuale delle donne, anche nei casi in cui queste ultime sono probabilmente più preparate sull’argomento. A tal proposito, Rebecca Solnit (2008) parla di un uomo che cercava di spiegarle il suo stesso libro, pur non avendolo letto. Si trattava del saggio “Men Who Explain Things To Me”, a cui molti attribuiscono il merito di aver innescato il dialogo che ha portato alla generazione del termine mansplaining.

Inoltre, il mansplaining è problematico per le ipotesi stereotipate che costruisce parallelamente sul genere maschile (Cookman, 2015). L’impiego di questo vocabolo non è corretto infatti nei confronti di uomini che sostengono l’uguaglianza di genere e che non praticano il mansplaining. In aggiunta, è difficilmente dimostrabile che gli uomini abbiano il monopolio assoluto dell’arroganza o della condiscendenza, visto che anche le donne sono capaci di dimostrarsi altrettanto condiscendenti.

Per concludere, il mansplaining ha catturato l’opinione pubblica in quanto fornisce un’etichetta chiara e facilmente memorizzabile al luogo comune che le donne siano spesso considerate ignoranti e poco intelligenti, almeno rispetto agli uomini. Da una parte, l’impiego di questa etichetta è utile poiché rende visibile un fenomeno controverso, contribuendo così a erodere i comportamenti e i presupposti sessisti che lo guidano. Dall’altra, ciò rischia di diventare un mezzo per banalizzare il fenomeno e per degradare sia il genere maschile che quello femminile (Cookman, 2015).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Anderson, K. J. & Leaper, L. (1998). Meta-Analysis of Gender Effects on Conversational Interruption: Who, What, When, Where, and Why. Sex Roles, 39(3-4), 225-252.
  • Cookman, L. (2015). Allow me to explain why we don’t need words like ‘mansplain’. The Guardian.
  • Farley, S. D., Ashcroft, A. M., Stasson, M. F., & Nusbaum, R. L. (2010). Nonverbal Reactions to Conversational Interruptions: A Test of Complementary Theory and Status/Gender Parallel. Journal of Nonverbal Behavior, 34(4), 193-206.
  • Hancock, A. B. & Rubin, B. A. (2015). Influence of Communication Partner’s Gender on Language. Journal of Language and Social Psychology, 34(1), 46-64.
  • Kollock, P., Blumstein, P., & Schwartz, P. (1985). Sex and Power in Interaction: Conversational privileges and Duties. American Sociological Review, 50(1), 34-46.
  • Rothman, L. (2012). A Cultural History of Mansplaining. The Atlantic.
  • Solnit, R. (2008). Men Who Explain Things To Me. LA Times.
  • Steinmetz, K. (2014). Clickbait, Normcore, Mansplain: Runners-Up for Oxford’s Word of the Year. Time.
  • Zimmer, B. (2013). Tag, You’re It! “Hashtag” Wins as 2012 Word of the Year. Visual Thesaurus.
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