expand_lessAPRI WIDGET

Metà della gente mente, l’altra metà non dice nulla. Le trappole nascoste nel dibattito televisivo

L’intenzione dell’articolo è quella di osservare e misurare cosa accade se in un dibattito televisivo uno o più partecipanti utilizzano una fallacia

Di Stefano Palmieri

Pubblicato il 23 Feb. 2022

La modalità di discussione più diffusa nei programmi televisivi di informazione è il dibattito, che si svolge attraverso il confronto tra diversi ospiti che intervengono esprimendo il proprio pensiero relativamente ad un tema proposto dal conduttore.

 

I dibattiti e le regole

Come per qualsiasi tipo di gioco, di sport o di attività condivisa, anche i dibattiti linguistici hanno delle regole e come in tutti i giochi, anche in un dibattito, è possibile barare.

Questo può avvenire per il tentativo dei contendenti di avere la meglio con mezzi scorretti, oppure può verificarsi in modo non consapevole in seguito a ragionamenti che, pur apparendo ben condotti, nascondono da qualche parte un errore.

Nello specifico, non ci riferiamo a quelle regole di forma che prevedono il rispetto di tempi e turni di intervento o a quelle regole di comportamento che invitano ad adoperare un linguaggio educato e rispettoso, le regole di cui tratteremo sono quelle che garantiscono che i partecipanti al dibattito, nel presentare la propria idea, non ricorrano all’uso di trappole linguistiche, logiche, psicologiche, ecc… tali da falsare l’argomentazione proposta.

Tali trappole sono chiamate fallacie.

Le fallacie nei dibattiti

Le fallacie sono errori nascosti nel ragionamento che comportano la violazione delle regole di un confronto argomentativo corretto. I ragionamenti fallaci appaiono come rigorosi e logici, ma in realtà non sono validi perché le premesse illustrate non implicano le conclusioni a cui giunge il ragionamento (Irving M. Copi e Carl Cohen, 1999).

In questa analisi considereremo il dibattito come atto linguistico che si manifesta nell’uso contestuale della lingua come azione reale e concreta. Osserveremo la strategia di comunicazione dei partecipanti al dibattito tentando di individuare la frequenza con cui le fallacie si presentano.

Più nello specifico, ci occuperemo di come un dibattito che presenta fallacie non segnalate distorca la codifica, e quindi la comprensione, del messaggio da parte dello spettatore.

L’intenzione dell’articolo è dunque quella di osservare e misurare cosa accade se in un dibattito televisivo uno o più partecipanti utilizzano una fallacia.

Le fallacie nei dibattiti televisivi

Lo studio ha avuto inizio con l’individuazione dei principali programmi televisivi di informazione, andati in onda nel 2021 sulle principali reti generaliste della televisione italiana, che utilizzano il dibattito come strumento principale del format.

Tra queste abbiamo selezionato le venti trasmissioni con i livelli di audience più elevati e per ognuna abbiamo seguito interamente 10 puntate, per un totale di 200 puntate complessive.

I programmi monitorati presentavano una durata variabile che andava da un minimo di 30 minuti ad un massimo di 3 ore per le trasmissioni di prima serata. Le ore di programmazione complessivamente visionate sono state 225.

L’osservazione ha prodotto i seguenti risultati:

  • In tutti i format osservati è presente la figura del moderatore che è quasi esclusivamente svolta dal conduttore, spesso supportato da un gruppo di collaboratori, autori, redattori, ecc…
  • Il conduttore, nella quasi totalità dei casi, si limita a garantire (con più o meno efficacia) le regole di forma, cioè quelle che prevedono il rispetto di tempi e turni di intervento o di quelle regole di comportamento che invitano ad adoperare un linguaggio educato e rispettoso. Allo stesso modo è il conduttore che regola il confronto tra le parti: gestisce i conflitti troppo violenti, evita che ci si accavalli in modo eccessivo, ecc…In questo caso dunque il conduttore non interviene mai nel merito dell’argomentazione.
  • In rari casi, il conduttore interviene nel correggere le informazioni palesemente errate riportate dal partecipante al dibattito, segnalando allo spettatore il dato ritenuto corretto. Tale intervento però presenta una distorsione, poiché l’intervento del conduttore (arbitro) sembra essere espressione dell’opinione personale del conduttore stesso, un’opinione tra le opinioni presenti nel dibattito. L’impressione è confermata dal fatto che il partecipante che è stato corretto dall’arbitro non accetta il nuovo dato (in nessuna circostanza vi è un confronto tra le fonti) ma continua nella sua argomentazione contestando lo stesso arbitro come fosse uno dei tanti giocatori in campo. L’insieme di questi elementi mostra come il ruolo dell’arbitro non è di fatto riconosciuto dalle parti.
  • In nessun caso osservato il moderatore/conduttore interviene nella segnalazione di scorrettezze argomentative seppur palesemente presenti.
    Le fallacie vengono accolte come un qualsiasi ragionamento, e cosa ancor più grave, vengono spesso riprese dallo stesso conduttore (arbitro) e utilizzate come tema su cui concentrare il resto del dibattito. Rispondere ad una fallacia argomentativa senza denunciarla di fatto ne autorizza l’utilizzo e ne rafforza la capacità persuasiva. La fallacia, da errore di ragionamento di una delle parti, si trasforma in tema stesso del dibattere.
  • Solo in 2 casi l’utilizzo di fallacie è stato evidenziato, ma non dal conduttore del programma, da uno degli stessi partecipanti al dibattito. In questo caso, l’ospite ha riconosciuto l’utilizzo della fallacia, ha identificato e illustrato quale tipologia di errore argomentativo fosse emerso, segnalando l’invalidità di tale affermazione. In queste circostanze il conduttore (arbitro) si è limitato a registrare tale segnalazione come fosse anch’essa una tra le opinioni in gioco e non una irregolarità come di fatto è stata.

Conclusioni

Alla luce di tali dati, ci chiediamo:

Se lo spettatore medio nella gran parte dei casi non dispone degli strumenti e delle conoscenze sufficienti neppure per riconoscere che il fallo è stato commesso, che senso ha assistere ad un confronto in cui i partecipanti possono barare senza che l’arbitro segnali il fallo?

Immaginate di assistere ad una partita di calcio in cui il fuorigioco, pur essendo una importante regola della competizione, sia sconosciuto a parte dei giocatori e alla quasi totalità del pubblico. Lo stesso arbitro, che conosce perfettamente questa regola, pur riconoscendo l’avvenuto fallo, non segnala mai tale infrazione, permettendo sempre al gioco di continuare. Il pubblico che assiste alla partita, ignorando tale regola ed incapace di riconoscere il fallo, non protesta, anche qualora la squadra avversaria se ne serva per aggiudicarsi un vantaggio illecito.

Non ricevendo penalità da parte dell’arbitro, e non essendoci proteste da parte del pubblico, i giocatori sono dunque lasciati liberi di commettere falli, ognuno in base alla propria coscienza individuale, invalidando di fatto il risultato.

In questa competizione ‘falsata’ non è una delle due squadre a perdere ma lo spettatore, poiché crede di assistere ad un partita di calcio, ma sta osservando altro, perché un gioco senza regole non è più lo stesso gioco.

 

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Irving M. Copi e Carl Cohen (1999). Introduzione alla logica (nuova edizione). Il Mulino.
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Predatory Journals: cosa sono e come riconoscerli
Predatory Journals: cosa sono e come riconoscerli

Molte riviste possono offrire dati attendibili, ma non tutti i giornali sono considerabili fonti sicure: tali testate sono definibili predatory journals

ARTICOLI CORRELATI
Chi ha paura degli psicofarmaci?

Gli psicofarmaci possono essere necessari del trattamento nel caso di patologie che riguardano la salute mentale, come funzionano?

Dear Man: l’arte della comunicazione efficace

Con 'Dear Man' si indica una tecnica di comunicazione che insegna a gestire situazioni emotive e conflittuali in modo assertivo ed efficace

WordPress Ads
cancel