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Se chiudo gli occhi, non vedo nulla. Una panoramica sull’afantasia

L'afantasia è una condizione in cui le immagini sensoriali rappresentate mentalmente sono del tutto assenti e risulta riportata dal 2-3% della popolazione

Di Mary Agata Sangalli

Pubblicato il 06 Apr. 2023

I soggetti con afantasia, pur avendo una memoria intatta degli eventi occorsi nella propria vita, possono trovare difficile, se non addirittura impossibile, riviverli in prima persona.

Cosa si intende per afantasia?

 Il termine mental imagery indica la rappresentazione mentale di informazioni sensoriali in assenza di reali stimoli esterni (Pearson et al., 2015). Queste informazioni possono assumere la forma di immagini, suoni, odori, gusti o sensazioni tattili. La capacità di creare intenzionalmente una rappresentazione interna può variare notevolmente da una persona all’altra. Nel XIX secolo, Francis Galton (1880) fu il primo a notare la presenza di un’ampia differenza interindividuale nella vividezza soggettivamente percepita dell’immaginario visivo. Tuttavia, è solo nell’ultimo decennio che il panorama scientifico sembra essersi interessato profondamente a questo fenomeno.

Grazie ai dati raccolti da Zeman e collaboratori (Zeman et al., 2015), oggi sappiamo che è possibile individuare soggetti con afantasia (a-phantasia) e iperfantasia (hyper-phantasia). Per afantasia si intende una condizione in cui le immagini sensoriali rappresentate mentalmente sono del tutto assenti. Per questo motivo viene anche chiamata immaginazione cieca (blind immagination) o incapacità di vedere con l’occhio della mente. L’iperfantasia, al contrario, indica una condizione in cui l’immaginario mentale individuale è estremamente nitido, vivido e ricco. La maggior parte delle persone si colloca a metà di questo spettro, con leggere variazioni verso un polo piuttosto che l’altro. Le indagini epidemiologiche affermano che circa il 2-3% della popolazione riconosce di essere afantasica (Zeman et al., 2020). Molto spesso il soggetto diviene solo tardivamente e casualmente consapevole della propria condizione.

Uno degli strumenti più semplici ed efficaci per comprendere quanto vivido sia il proprio immaginario sensoriale è il Vividness of Visual Imagery Questionnaire (VVIQ; Marks, 1973). Un questionario che valuta la vividezza delle rappresentazioni mentali attraverso semplici indicazioni scritte che esortano il soggetto a immaginare oggetti, persone, situazioni, suoni, profumi, movimenti.

Trattandosi di un fenomeno che può coinvolgere aspetti eterogenei dell’esperienza umana, la letteratura suggerisce la presenza di sottocategorie differenti su base qualitativa (tipologia sensoriale coinvolta) e quantitativa (grado di alterazione rispetto alla norma). Ad esempio, una distinzione particolare merita di essere fatta tra condizioni in cui l’afantasia colpisce limitatamente i processi volontari (come immaginare attivamente un oggetto o il viso di una persona) e condizioni in cui vengono altresì compromessi i processi involontari, rendendo sterile persino l’attività del sognare (Zeman et al., 2020).

È importante sottolineare come la forma di afantasia studiata da Zeman e colleghi sia per definizione congenita, ovvero presente sin dalla nascita. Inoltre, essa si caratterizza per una vera e propria mancanza di immagini sensoriali e fenomenologiche differenziandosi dalle casistiche più prettamente temporanee o funzionali in cui le rappresentazioni mentali sono presenti ma il soggetto non è in grado di accedervi o manca di capacità introspettiva (Keogh & Pearson, 2018).

Afantasia e rievocazione dei ricordi

L’afantasia influisce su tutta una serie di processi cognitivi essenziali come la memoria episodica. I ricordi autobiografici vengono spogliati delle caratteristiche sensoriali (visive, uditive, olfattive) assumendo così la forma di una conoscenza piuttosto che di un’esperienza. Ciò può portare con sé inevitabili ripercussioni sul piano emotivo e identitario. La frase “I remember things, but I can’t picture them” ci permette di entrare in contatto con il vissuto dei soggetti afantasici. Quest’ultimi, pur avendo una memoria intatta degli eventi occorsi nella propria vita, possono infatti trovare difficile, se non addirittura impossibile, riviverli in prima persona (Ganczarek et al., 2020).

Il tono e il significato emotivo dei ricordi sono saldamente connessi agli aspetti fenomenologici dell’esperienza: un colore, una forma, un profumo o un suono specifici. Le memorie autobiografiche di individui con afantasia sono invece caratterizzate da uno stile narrativo logico, focalizzato sulle azioni dei singoli personaggi e organizzato secondo relazioni successive di causa-effetto. In questo modo, la valenza personale degli eventi risulta per lo più neutra ed emotivamente distante, con implicazioni per il senso del sé (Ganczarek et al., 2020).

In mancanza di rappresentazioni mentali anche la pianificazione futura può risultare compromessa (Watkins, 2017). La visualizzazione di obiettivi, traguardi e desideri è uno dei fattori che più alimentano la motivazione personale. La classica domanda “come ti vedi tra 5 anni?”, può suscitare difficoltà non indifferenti in un soggetto con afantasia. Non perché quest’ultimo non abbia chiare ambizioni o potenzialità, ma perché non potersi visualizzare nel futuro inibisce anche il significato personale delle proprie aspirazioni.

 Al tempo stesso, esistono delle capacità alternative che spontaneamente sembrano svilupparsi in individui con afantasia (Ganczarek et al., 2020). Il dominio verbale, matematico e logico sono spesso particolarmente evoluti in questi soggetti (Zeman et al., 2015), tanto da indirizzare verso occupazioni che hanno a che fare con la matematica, la fisica e la programmazione (Zeman et al., 2020). Sorprendentemente, grazie all’ampia rete online “Aphantasia Network” fondata da Tom Ebeyer (uno tra i primi casi riportati di afantasia congenita) apprendiamo inoltre che la creatività non è affatto preclusa a questi individui come invece ci si potrebbe aspettare. Se è vero che un’immaginazione vivida permette di accedere a un mondo di fantasia, è altrettanto vero che gli insight creativi possono essere contattati attraverso mezzi collaterali come la trasformazione di una forma esterna già presente o la creazione passo passo di forme esternalizzate e impresse su carta. È questo il caso di Glen Keane, uno dei migliori animatori Walt Disney.

Le cause dell’afantasia

Le ipotesi eziologiche che cercano di identificare le cause dell’afantasia si concentrano maggiormente su aspetti organico-biologici anziché su aspetti più prettamente psicologici, che pure possono concorrere e interagire (Zeman et al., 2016). Le neuroscienze si sono interessate alla struttura cerebrale e al funzionamento neurale collegati con la produzione di rappresentazioni mentali, soprattutto di tipo visivo (visual imagery), spinte dalla convinzione che tali aspetti potessero spiegare l’origine dell’afantasia. Una delle maggiori difficoltà incontrate dai ricercatori riguarda la parziale sovrapposizione e interconnessione fisiologicamente presente tra network cerebrali deputati alla percezione e all’immaginazione. Studi di neuroimaging hanno mostrato come entrambi questi processi coinvolgano la corteccia visiva, la corteccia parietale e la corteccia frontale, differenziandosi nei segnali ascendenti (bottom-up), prevalentemente di tipo percettivo, ma condividendo una simile connettività discendente (top-down) (Dijkstra et al., 2019). Ciò significa che le rappresentazioni sensoriali originate dall’esterno (percettive) e dall’interno (mentali) possiedono dei substrati neurali concomitanti e potenzialmente interagenti.

Un’indagine condotta nel 2020 (Keogh et al., 2020) ha individuato nei livelli di eccitabilità corticale il meccanismo potenzialmente responsabile delle differenze individuali nella forza delle rappresentazioni mentali. Un pattern di ridotta eccitabilità della corteccia visiva e di elevata eccitabilità delle aree prefrontali sembrerebbe associarsi alla presenza di immagini più vivide. Ciò significa che il segnale esterno di tipo percettivo potrebbe agire come fonte di rumore ostacolando la disponibilità e/o la sensibilità delle informazioni connesse con le rappresentazioni mentali interne. Al contrario, l’attività elaborativa della corteccia prefrontale, retaggio evolutivo tipicamente umano che permette l’integrazione e la sintesi di informazioni, sembrerebbe alimentare la creazione di un immaginario mentale più vivido (Keogh et al.2020).

Conclusioni

L’esistenza di fenomeni come questo sembra invitare gentilmente a interrogarsi su quali siano le funzioni evolutive delle rappresentazioni mentali. Ad oggi, sono diversi gli interrogativi aperti riguardanti l’afantasia. Le sue implicazioni sul piano emotivo e cognitivo sono state solo marginalmente affrontate e le possibili cause solo parzialmente comprese. Ulteriori studi sono quindi essenziali per comprenderne al meglio i meccanismi coinvolti e le conseguenze associate. Lo sviluppo di abilità collaterali e la tarda presa di consapevolezza da parte degli individui afantasici suggeriscono la non invasività di questa condizione nella vita quotidiana e il buon adattamento soggettivo.

 

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