Un paziente apparentemente “facile” con disturbo dipendente di personalità può in realtà essere molto difficile da trattare in psicoterapia, comportando manovre di interazione specifiche già nelle prime fasi del processo terapeutico.
Il disturbo di personalità dipendente (DPD; dependent personality disorder) ha una prevalenza che oscilla tra l’1% e il 5% della popolazione generale (APA, 2014; Dimaggio, 2015; Loranger, 1996). Il disturbo dipendente di personalità è frequente nei pazienti psichiatrici ricoverati (Jackson et al., 1991; Mezzich et al., 1987; Oldham et al., 1995) e nelle donne, che sono più frequentemente diagnosticate con un tale disturbo rispetto agli uomini (Bornstein, 1993, 1998; Bornstein et al., 1996; Loranger, 1996). Questi pazienti sono più soggetti a depressione, disturbi alimentari, somatizzazione e panico, rispetto a persone che presentano altri disturbi di personalità (Barzega et al., 2001; Bienvenu et al., 2009; Coyne & Whiffen, 1995; Overholser, 1996; Tisdale et al., 1990). Il disturbo dipendente di personalità, inoltre, può essere associato al disturbo d’ansia da separazione in pazienti che presentano abuso di alcol e droghe (Loas et al., 2002). Le malattie fisiologiche croniche (problemi gastrointestinali, disturbi del sonno) possono essere osservate come problemi coesistenti e potrebbero predisporre o essere la conseguenza del disturbo (Fasbender et al., 2014).
Le caratteristiche del disturbo dipendente di personalità
È stato riportato che i pazienti con disturbo dipendente di personalità presentano un modello ripetitivo di espressione di bisogni specifici, in particolare il bisogno di essere accuditi, insieme a un modello sistematico di sottomissione, mancanza di assertività e una difficoltà a prendere decisioni di routine. Questi pazienti possono sembrare accondiscendenti, ma in realtà spesso si ribellano silenziosamente alle opinioni altrui (con possibili scoppi di rabbia; Bornstein, 1998). Questo modello può avere una funzione di autoprotezione (così facendo, il paziente evita di perdere il contatto con l’altro e non deve mettersi nei panni dell’altro). Clinicamente, questo modello può assumere la forma di una tipica relazione “dipendente” – non autonoma – caratterizzata da comportamenti cosiddetti “appiccicosi” (Millon, 2011; Millon & Davis, 1996). Le difficoltà di base possono riguardare la paura del paziente di essere abbandonato o di essere separato a livello interpersonale, che porta, ad esempio, all’incapacità di prendere decisioni di routine senza il consiglio di altri, alla convinzione di non essere in grado di funzionare senza un supporto, alla paura di esprimere il disaccordo con gli altri, alla sensazione di vulnerabilità e impotenza quando si è soli e alla ricerca disperata di un’altra relazione quando questa finisce (APA, 2014; Bornstein, 1998; Bornstein et al., 1996; Shilkret & Masling, 1981; Simpson & Gangestad, 1991; Sroufe et al., 1983).
I modelli specifici di funzionamento interpersonale (Bornstein, 2012; Carcione et al., 2001; Dimaggio, 2015) includono: scarsa autostima (ad esempio, “Se il mio ragazzo ride con i suoi amici, non ha bisogno di me e io mi sento inadeguata”); scarsa autoefficacia (ad esempio, “Senza mia madre non sono niente! Da sola sono paralizzata”); stato di disorganizzazione (ad esempio, “Voglio accontentare tutti, ma alla fine perdo la capacità di stabilire le priorità”) e scarsa metacognizione (al livello di un disturbo di personalità completo; Carcione et al., 2011; Semerari et al., 2014). Quando una persona con disturbo dipendente di personalità non è d’accordo con gli obiettivi di un’altra persona, può ribellarsi a ciò che percepisce come una costrizione interpersonale della propria identità. Di conseguenza, invece di affermare la propria identità e i propri confini, questi pazienti, nutrendo il timore di essere rifiutati e separati dall’altro, possono sviluppare sensi di colpa, vergogna, rimpianto, autocommiserazione e paura della punizione.
Il trattamento del disturbo dipendente di personalità: uno studio sulla Clarification-Oriented Psychotherapy
Un paziente apparentemente “facile” con disturbo dipendente di personalità può in realtà essere molto difficile da trattare in psicoterapia, comportando manovre di interazione specifiche già nelle prime fasi del processo terapeutico (Bornstein et al., 1996; Sachse, 2013; Sachse et al., 2015; Sachse & Kramer, 2019). Una terapia pensata per questi pazienti è la Clarification-Oriented Psychotherapy (COP), una forma di trattamento integrativo che affonda le sue radici nella psicoterapia umanistica. Questa si concentra sui fattori interni che sono alla base delle manovre di interazione (cioè schemi, emozioni, cognizioni, modelli). È così che lo studio condotto da Sachse e Kramer (2019) si propone di valutare se la qualità dei processi di interazione (cioè i contributi del paziente e del terapeuta in seduta) aumenta durante la Clarification-Oriented Psychotherapy e se questi cambiamenti nei processi di interazione in seduta sono correlati all’esito terapeutico (cioè ai cambiamenti pre-post in depressione, autoefficacia, problemi interpersonali e dipendenza) alla fine del trattamento.
Allo studio hanno partecipato un totale di 74 pazienti di lingua tedesca con disturbo dipendente di personalità, che sono stati seguiti presso un centro di consulenza specializzato nel trattamento dei disturbi della personalità.
Dai risultati è emerso che la Clarification-Oriented Psychotherapy può essere efficace per il trattamento del disturbo dipendente di personalità. Durante la fase di lavoro, infatti, la qualità dell’interazione terapeutica è aumentata e il cambiamento dei comportamenti del terapeuta in seduta sembra predire la diminuzione dei problemi di dipendenza, ma non il cambiamento dei comportamenti del paziente in seduta. Si è notato un miglioramento nei sintomi e nei problemi specifici, tra cui la diminuzione della depressione, dei tratti di dipendenza, dei problemi interpersonali e l’aumento dell’autoefficacia.
In generale quindi, i risultati indicano una tendenza al miglioramento nei pazienti che presentano modelli di dipendenza.