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Tolkien: la Bibbia senza sangue e senza sesso

Tolkien costruisce una mitologia tutta sua, che accenna a universi passati ma senza ricollegarsi direttamente a nulla. Qual è il senso di questa operazione?

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 17 Feb. 2023

L’opera di Tolkien affascina, ma dopo la lettura qualcosa sfugge sempre. Forse è una sensazione che colpisce di più chi non è ancora abituato allo stile scattante dei best-seller moderni, sia fantasy che non.

 

 Il lettore cresciuto sul ritmo più lento del romanzo classico rimane in parte spaesato leggendo Tolkien. Solo Lo Hobbit lo lascia del tutto convinto, con il suo ritmo favolistico e meraviglioso che richiama lo stile dei fratelli Grimm. Dalla sequenza iniziale dei nani che uno alla volta bussano alla porta di Bilbo alle scene del mutaforma uomo e orso, dall’apparizione arcana di Gollum e dei suoi indovinelli nelle grotte fino alle sequenze finali del drago, tutto suona perfettamente coinvolgente e perfettamente “letterario”. Qualunque cosa significhi questo termine.

Con Il Signore degli Anelli già le cose si complicano per il lettore che nutre aspirazioni letterarie. Apprezza, ma non comprende tutto fino in fondo. Intendiamoci: è possibilissimo che sia colpa di questo tipo di lettore, un po’ troppo ossessionato da una classicità da indossare come un vestito a festa. Un tipo del genere è rimasto attardato in aspettative superate, da romanzo ottocentesco. Fatto sta che a volte nel Signore degli Anelli lo stile già più sbrigativo, moderno e d’azione sembra fare a pugni con l’ambientazione magica e meravigliosa. Vero è che, nell’universo immaginario di Tolkien, l’epoca del Signore degli Anelli è un’epoca di trasformazione. Un’epoca di scomparsa della magia e di scomparsa degli elfi. Un’epoca di modernizzazione, insomma. Forse la spiegazione è lì: Tolkien esprime la fine di un mondo adottando uno stile meno favolistico. Però rimane qualcosa d’incompreso.

Sarà la scelta di Tolkien di costruire una mitologia tutta sua, che accenna a universi mitici passati ma che non si ricollega direttamente a nulla. Questo sforzo di tagliare tutti i richiami diretti al passato, l’assenza completa di una radice riconoscibile, questo è molto moderno. Ma ancora una volta tutta questa modernità si esprime in un’atmosfera arcana e favolistica, tanto da far chiedere al lettore: qual è il senso di questa operazione? Perché non ha adottato i personaggi della mitologia norrena?

Il disorientamento arriva al massimo livello leggendo Il Silmarillion. Come Esiodo e come Wagner, qui Tolkien aspira a costruire una teogonia e una cosmologia mitiche e unitarie. Anzi più di Esiodo e più di Wagner, poiché Tolkien non utilizza nemmeno un personaggio mitico già pronto, ma li fabbrica tutti da sé. Certo, ci sono accenni a materiali passati. C’è una strana commistione di materiali ebraici e indo-europei che richiama un po’ l’ossessione inglese, da Matthew Arnold in poi, di mescolare classicismo, cristianesimo ed ebraismo: la famigerata radice greco-giudaico-cristiana che poi ben poco ha convinto gli europei. C’è un dio creatore supremo al modo ebraico che si chiama Eru Iluvatar, o semplicemente Iluvatar. Iluvatar nella etimologia immaginaria di Tolkien significa “creatore di tutto”, ma io ci vedo piuttosto una commistione della radice semitica “El”, che indica il Dio unico comune a tutti i semiti e della radice indo-europea “Vatar”, padre, il padre degli dei, Zeus per i greci, Jupiter/Jovis per i latini e così via, padre ma non dio unico.

Insomma, Tolkien come San Paolo? Un meticcio mezzo ebreo e mezzo greco che mischia in Dio l’attributo semitico dell’unicità e l’attributo indo-europeo della paternità? È possibile. Tolkien era un cattolico in terra protestante, quindi un meticcio portato a mescolare. E leggendo Il Silmarillion vediamo che egli continua a mescolare. Il dio supremo, infatti, crea non solo gli uomini, ma gli dei. Dei che sono una trasposizione nell’universo di Tolkien delle divinità della mitologia classica. C’è un dio del mare, Ulmo, che richiama Poseidone greco e Nettuno latino. C’è un dio del cielo supremo ma non creatore, Manwe, che richiama Zeus e Thor. C’è un dio fabbro e artigiano, Aule, che richiama Efesto e Vulcano. E c’è un dio degli inferi e delle tenebre, Melkor, in seguito chiamato Morgoth, che però è anche un angelo caduto e quindi un Lucifero cristiano o ebraico o non lo è per nulla cristiano o ebraico perchè Lucifero non si trova da nessuna parte, né nella Torah/Tanakh/Antico Testamento o come volete chiamarli -anche se i cristiani pensano sia lì, ma non c’è-, né nei Vangeli -anche se gli ebrei pensano sia lì, ma non c’è- insomma Lucifero non c’è nelle scritture sacre ufficiali. Forse negli apocrifi. Semmai c’è Satana nel libro di Giobbe ma Satana non è Lucifero e non è un angelo caduto, è un angelo che rimane al suo posto in cielo ma ha l’intrigante incarico di far venire dei dubbi a Dio/D-o sulla effettiva bontà degli uomini. Missione compiuta: non sono buoni. Insomma, Satana la pensa come Machiavelli e forse anche Cristo era d’accordo su questo, come pensava Prezzolini nel suo pamphlet “Cristo e/o Machiavelli” (1971, 2004, Sellerio). Sto divagando: torniamo a Tolkien.

 Il Silmarillion è quindi un oggetto un po’ strano. Non è più letteratura per ragazzi, ma vuole essere una cosmogonia omnicomprensiva. Richiama un po’ la Bibbia, ma è una Bibbia per ragazzi, ovvero una Bibbia senza sesso. L’atmosfera rimane un po’ favolistica, e non c’è posto per un Davide che spia Betsabea nuda al bagno o, peggio, spia Saul mentre caca (ebbene si) o per due vecchioni che costringono Susanna a uno strip-tease. Non c’è nemmeno Gesù che manda a quel paese sua madre che vuole metterlo a far miracoli durante un matrimonio di amici (le nozze di Cana). La manda a quel paese e poi obbedisce. Queste arditezze popolari o borghesi sono troppo adulte per il mondo di Tolkien, che rimane un inglese poco interessato al sesso e un po’ in imbarazzo davanti a prostitute bibliche più o meno occasionali come Tamar (e forse anche Raab, ma non si è mai capito) o evangeliche come la Maddalena. E per i giovani lettori del Silmarillion una scena di sesso esplicito e a pagamento come quella tra Tamar e Giuda (non il traditore di Cristo, è un altro traditore ma un po’ più buono che riesce a redimersi) stonerebbe.

Non a caso, in questa commistione tra ebraismo, classicità e cristianesimo, rimane fuori la figura più inquietante, il dio che nasce, muore e risorge in un’orgia di sangue, ovvero Dioniso / Zagreo. Quel Dioniso che, come diceva Nietzsche, lungi da essere un dio spensierato e allegro, è un dio assetato di sangue e muore in una festa di massacro e di morte, lo sparagmòs (in greco antico: σπαραγμός) in cui il dio attira su di sé la violenza reciproca che regna tra gli uomini e per un attimo li mette tutti d’accordo dando loro sollievo, offrendo loro la possibilità di non odiarsi unendosi in un rito di gruppo in cui la violenza sanguinaria si concentra su una vittima, che è il dio stesso, Dioniso / Zagreo massacrato dai suoi seguaci. È chiaro che San Paolo ha l’idea balzana e divina di innestare questo rito pagano in una religione monoteista focalizzata sull’etica come quella ebraica e rendendo ancora più chiaro il ruolo del dio massacrato che assume su di sé i peccati del mondo, il Cristo. Questa idea è presente in varie religioni antiche con il rito del capro espiatorio che però storna su un animale e non sul dio e ancor meno su un uomo la violenza massacratrice degli uomini, il loro odio reciproco che rischia di distruggere la convivenza reciproca e che quindi va concentrato su un oggetto singolo. Il cristianesimo tornò indietro al dionisismo con l’idea -forse illusoria e forse meravigliosa- di rendere gli uomini definitivamente consapevoli della loro tendenza alla violenza e al sangue e così liberarsene. Un’idea che forse chiese troppo alle capacità umane. San Paolo e/o Gesù chiesero troppo agli uomini, come pensava il Grande Inquisitore di Dostoevskij, l’uomo non è capace di accettare la sua violenza interiore per poi liberarsene. L’umanità, ben lungi dal riconoscere in sé la sua ipocrita volontà di giustificare le proprie colpe dando la colpa a un capro espiatorio, tende invece a imboccare la direzione opposta: attribuire la violenza a qualcuno che sia esterno alla società, un animale (il capro espiatorio), un uomo (Dioniso/Zagreo/Cristo), un gruppo di persone (gli ebrei) e dopo averlo massacrato prendono ad adorarlo trasformandolo in un dio (ancora una volta Dioniso/Zagreo/Cristo) oppure -se il massacro non è stato completato- a continuare a odiarlo (ancora gli ebrei, colpevoli di non essersi fatti far fuori tutti ma ancora vivi e quindi impossibilitati a diventare da morti oggetto di culto: per questo la Shoah non è un Olocausto). L’idea del cristianesimo sarebbe, secondo gli antropologi Renè Girard (Il Capro Espiatorio, 1999, Adelphi) e Giuseppe Fornari (Da Dioniso a Cristo, 2006, Marietti) quella di rendere il meccanismo manifesto e così superarlo, rendendo gli uomini consapevoli che vittima e dio sono la stessa persona (come accade col Cristo) e non due entità differenti (come accade con Dioniso, che noi dimentichiamo di avere ucciso riducendolo a essere un simpatico ubriacone). Nemmeno Euripide nelle Baccanti arriva al fondo dell’orrore: lì è Dioniso che uccide un uomo che non è innocente, Penteo, e non gli uomini che uccidono un innocente per poi divinizzarlo, come accade nei Vangeli. Il passaggio dal massacro all’adorazione è mancato.

Questo messaggio era ed è troppo sottile ed è facilmente equivocato, come è appunto avvenuto nel cristianesimo, religione che finisce per rinnovare la violenza sacrificale generando, malgrado le buone intenzioni, l’antisemitismo invece di liberare l’uomo dalla violenza sacrificale. Di tutto questo non trovo traccia nelle opere di Tolkien ma forse esso agisce sottotraccia creando quel senso di straniamento che rende le opere di Tolkien indecifrabili: un dionisismo senza Dioniso, un cristianesimo senza Cristo. Forse per questo Tolkien preferì costruire tutto dal nulla. Perché non fece come Omero, Esiodo o Wagner che usarono personaggi di mitologie già date? Forse intese evitare certi aspetti troppo sanguinari delle antiche leggende? Forse si rese conto che il cristianesimo aveva sbagliato a rendere troppo esplicite quelle leggende? Forse questa è la modernità di Tolkien: l’aver voluto creare un mondo dal nulla nascondendo certe radici troppo imbrattate di sangue. Possiamo accontentarci.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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