Il quesito di partenza di Fromm nel volume “L’arte di amare” è: “è l’amore un’arte?”. La risposta –spoiler– è affermativa.
La nostra società è una società liquida, ha detto Zygmunt Bauman alla fine degli anni ’90, e con essa sono diventate liquide anche le nostre vite, i nostri sentimenti e l’amore, il quale sembra ormai essere un qualcosa di inconciliabile con i dettami del vivere quotidiano, dove la stabilità e la sicurezza sembrano aver ceduto il passo a un ineluttabile cambiamento continuo, spesso confuso con un illusorio desiderio di libertà privo di legami.
Erich Fromm –psicologo, filosofo e accademico tedesco– con una certa dose di lungimiranza pubblicò nel 1957 “L’arte di amare”, uno dei saggi più significativi della sua produzione accademica. Nel saggio si scagliava e condannava già allora la concezione moderna di amore e le attuali forme di pseudo-amore, smascherando l’errore della percezione comune che lo confonde con un sentimento limitato alla transitorietà dell’esperienza dell’innamoramento e della sensazione di essere desiderati e presentando, al contrario, la sua personale idea di amore come una vera e propria forma d’arte da apprendere e coltivare con impegno, pazienza e dedizione.
Per approcciarsi a questa lettura è utile fare una premessa sulla necessità di contestualizzare un’opera che è indubbiamente “figlia del suo tempo”. Sebbene il contenuto sia valido e comprensibile, Fromm –uomo bianco, appartenente alla classe media, privilegiato e conservatore– può rappresentare alcuni clichés del Novecento. Grandi opere della storia possono oggi essere considerate discutibili per la morale e le tematiche che toccano, ma ciò non toglie che esse costituiscano una parte fondamentale e totalmente naturale dell’evoluzione accademico-letteraria. Pertanto, onde evitare di abbandonare anticipatamente una lettura o di trasportarci dentro le visioni odierne, è necessario tenere conto del periodo in cui è stata scritta e contestualizzarla nella maniera più completa e informata possibile così da poterne apprezzare meglio il valore.
Il quesito di partenza di Fromm è: “è l’amore un’arte?”. La risposta –spoiler– è affermativa, nella prospettiva in cui amare non è un’attitudine innata o una semplice predisposizione personale, ma è un qualcosa da apprendere attraverso un’attenta analisi e assimilazione della “teoria” e un esercizio pratico continuo e consapevole.
“L’arte di amare” non è un romanzo né una storia d’amore, bensì un manuale e una guida in cui l’autore, piuttosto che soffermarsi su come farci amare o come diventare attraenti nei confronti di qualcuno, ci spiega come amare partendo da noi stessi e dai nostri valori più radicati.
Apparentemente, Fromm sembra dunque spogliare l’amore della sua tipica irrazionalità. Ma in realtà egli mostra una visione dell’amore che rappresenta la modalità più alta e pura cui l’individuo può tendere per esprimere pienamente la propria potenza interiore e affettiva.
Punto iniziale dell’esposizione teorica dell’autore è l’idea che l’amore sia una modalità di riparazione a un senso di solitudine insito e immanente nell’essere umano. Con la nascita, infatti, l’individuo sperimenta la separazione dal corpo materno e si ritrova catapultato in un destino di incertezze. L’amore, in quanto fusione con un’altra persona, risulta essere la migliore soluzione a questa condizione, purché consista in un’unione non-simbiotica, in cui ogni essere riesce a conservare la propria integra individualità.
Di tutte le forme in cui tale unione può svilupparsi e manifestarsi, Fromm sottolinea che l’amore non è una forma di passività ma prima di tutto di attività: amare è dare. Ma non ci si ferma qui, altrimenti saremmo tutti dispensatori d’amore. Per ognuno che dona deve necessariamente esserci qualcuno che riceve e che, allo stesso modo, dà, generando un ciclo reciproco di premura, responsabilità, rispetto e conoscenza. Si tratta di un percorso che passa imprescindibilmente attraverso l’amore per sé stessi, ma che allo stesso tempo è lontano dall’egoismo: chi ama solo sé stesso o chi ama solo gli altri, infatti, non può amare pienamente.
Fromm esamina e passa in rassegna diversi tipi di legame, da quello materno, a quello fraterno, a quello erotico, a quello sentimentale, a quello religioso e spirituale, e dedica poi una ricca digressione anche alla condizione di alienazione cui l’uomo contemporaneo in Occidente è soggetto. Sostiene che dalle personalità alienate dei secoli odierni l’amore scaturisca come soddisfazione reciproca e come cooperazione di intenti e interessi contro l’ostilità del mondo e il rischio dell’isolamento, concorrendo a una delle peggiori forme di disgregazione dell’amore autentico, maturo e sano.
Nonostante ciò, Fromm conclude il trattato in maniera positiva sostenendo che, se è vero che nella società occidentale contemporanea l’amore perde la sua vera essenza, è anche vero che – considerandolo come un’arte che si può imparare – c’è ancora speranza per invertire la rotta.
Il modo migliore per affinare un’arte è indubbiamente quello di praticarla in prima persona. Con questa lucida consapevolezza, sapendo di non poter fornire specifiche istruzioni per un’esperienza così personale, l’autore si limita allora a considerare l’importanza della disciplina, della pazienza e della concentrazione come fattori basilari da praticare in ogni fase della vita. Essi esigono un lavoro di meditazione e riflessione esplorativa non-egoistica sul proprio “io” per scoprirsi come centro del mondo, imparare ad ascoltarsi e avere fede in sé stessi, perché solo così si può riuscire a sviluppare una relazione matura, sana ed equilibrata, che sappia rompere i vincoli del proprio narcisismo per incardinarsi sull’autenticità, l’ascolto e la vera fiducia reciproca.