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I comportamenti di sicurezza negli individui con disturbo d’ansia sociale

I comportamenti protettivi giocano un ruolo cruciale nel mantenimento della fobia sociale, concorrendo a determinare gli stessi scenari negativi temuti

Di Micol Agradi

Pubblicato il 31 Gen. 2023

Aggiornato il 03 Feb. 2023 12:00

Lo studi di Dabas e colleghi (2022) si è posto l’obiettivo di esaminare l’impatto differenziale dei sottotipi dei comportamenti protettivi sulla simpatia e sulla percezione di autenticità (auto ed etero-valutata) nei soggetti con e senza fobia sociale.

 

Il disturbo d’ansia sociale

 Quali sono gli specifici comportamenti di sicurezza maggiormente responsabili di conseguenze negative a livello interpersonale?

Con disturbo d’ansia sociale il DSM-5 (2013) fa riferimento a un eccessivo timore di essere valutati negativamente nelle situazioni sociali dove si potrebbe essere esposti al giudizio degli altri. Come spiegato nel Modello Cognitivo di Clark e Wells (1995), per affrontare le situazioni sociali sfidanti, i pazienti con questo disturbo tendono ad adottare comportamenti protettivi che hanno l’obiettivo di prevenire le catastrofiche conseguenze sociali previste, fra cui la valutazione negativa, il rifiuto e intensi stati d’ansia (Salkovskis, 1991). Tali comportamenti sono innumerevoli e diversificati fra loro, ma recenti studi hanno provato a fornire una classificazione che li distingua in tre principali categorie (Cuming et al., 2009).

I comportamenti di sicurezza

  • Comportamenti attivi, volti a migliorare la performance sociale e a controllare la percezione che l’altro potrebbe avere di sé (ad esempio, ripetere in mente cosa dire in una conversazione, prepararsi in anticipo le domande da fare)
  • Comportamenti inibiti/restrittivi, volti a evitare la minaccia sociale e a ridurre al minimo il proprio coinvolgimento nella situazione (ad esempio, non tenere il contatto oculare, parlare a bassa voce, non attirare l’attenzione altrui)
  • Gestione dei sintomi, volta a nascondere i correlati fisiologici dell’ansia (ad esempio, mettere un vestito che assicuri di nascondere la sudorazione, truccarsi in modo da coprire l’arrossamento del viso)

Ciascuno di questi sottotipi concorre a mantenere la sintomatologia ansiosa nelle situazioni sociali in diversi modi (Clark e Wells, 1995): prevengono dall’esposizione alla possibile disconferma dei propri timori sociali; aumentano l’auto-monitoraggio e, così, lo stato d’ansia; richiedono numerose risorse attenzionali, che possono far apparire assorti nei propri pensieri e distanti dalla situazione presente. Insieme, questi meccanismi farebbero sì che tali strategie preventive finiscano per accrescere la probabilità di performance sociali negative (Rapee e Heimberg, 1997).

Diversi studi empirici hanno comprovato questa considerazione, dimostrando come gli individui con fobia sociale tendano a esperire maggiori feedback sociali negativi rispetto ai soggetti senza il disturbo (ad esempio, venendo giudicati come meno gradevoli o calorosi da parte dei pari) (Alden e Taylor, 2004; Alden e Wallace, 1995; Creed e Funder, 1998). Tuttavia, se molteplici sono gli studi che si sono dedicati a mostrare l’associazione fra i comportamenti di sicurezza, in generale, e le conseguenze negative a livello interpersonale, poche sono le ricerche che hanno approfondito il potere di specifici comportamenti protettivi nel predire risultati sociali negativi nei soggetti con disturbo d’ansia sociale.

Lo studio di Dabas e colleghi (2022)

Uno di questi è quello di Dabas e colleghi (2022) che, sulla base della tripartizione teorica prima introdotta, si è posto l’obiettivo di esaminare l’impatto differenziale dei sottotipi dei comportamenti protettivi sulla simpatia e sulla percezione di autenticità (auto ed etero-valutata) nei soggetti con e senza fobia sociale.

Dopo che i partecipanti allo studio sono stati coinvolti in un’interazione sociale semi-strutturata, sulla quale venivano poi intervistati, i risultati hanno rivelato che in generale, rispetto ai soggetti senza fobia sociale, quelli con il disturbo sono giudicati come meno simpatici e autentici dai loro interlocutori e, in prima persona, essi si percepiscono come meno autentici durante le interazioni. Queste considerazioni sono ampiamente coerenti con la letteratura precedente, che ha dimostrato un legame significativo fra disturbo d’ansia sociale ed esiti sociali negativi, simpatia e autenticità comprese.

 In particolare, è emerso che è l’uso di alcuni tipi di comportamenti di sicurezza nelle interazioni sociali a mediare il collegamento fra fobia sociale e risultati interpersonali negativi. Nello specifico:

  • i comportamenti inibiti/restrittivi sarebbero responsabili della scarsa simpatia percepita poiché, inavvertitamente, gli individui col disturbo apparirebbero distaccati e disinteressati all’interazione;
  • i comportamenti attivi spiegherebbero la poca autenticità percepita dagli interlocutori, dal momento in cui i soggetti imbastirebbero una conversazione “di facciata”, trasmettendo una sensazione di falsità e non trasparenza nell’interazione;
  • i comportamenti di gestione dei sintomi non sarebbero decisivi nel determinare gli esiti interpersonali negativi, in termini di simpatia e autenticità.

In questa direzione, tali risultati suggeriscono che i comportamenti di sicurezza attivi e inibiti/restrittivi possono svolgere un ruolo cruciale negli esiti sociali negativi vissuti dalle persone con fobia sociale, in maniera differenziale a seconda di come vengono misurate queste conseguenze interpersonali negative. In ogni caso, entrambi possono essere annoverati fra le strategie di auto-occultamento utilizzate per celare aspetti di sé alla valutazione altrui, anche se questo nascondersi impossibiliterebbe lo stabilirsi di connessioni autentiche con l’altro e alimenterebbe il meccanismo disfunzionale dell’ansia sociale (Moscovitch, 2009).

Conclusioni

Sulla base di questi risultati, è possibile concludere l’importanza di affinare il trattamento della fobia sociale attraverso la cura delle variabili interpersonali, nella comprensione della patologia e nella definizione della terapia. I comportamenti protettivi attivi e inibiti/restrittivi, se assunti come target, possono svolgere un ruolo cruciale nel raggiungimento di positivi risultati interpersonali e terapeutici. In particolare, i clinici dovrebbero prestare attenzione alla riduzione dei primi, se lo scopo è quello di ottenere una percezione interna ed esterna di maggiore autenticità nelle relazioni sociali, oppure monitorare i secondi, se l’obiettivo dell’esposizione è quello di raggiungere una connessione con l’altro. Concentrarsi su entrambi, infine, massimizzerebbe la possibilità di esiti sociali positivi e di maggiori gratificazioni a livello interpersonale, riducendo i cronici sentimenti di ansia e isolamento sociale (Dabas et al., 2022).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Alden, L. E., & Taylor, C. T. (2004). Interpersonal processes in social phobia. Clinical Psychology Review, 24, 857–882. DOI: 10.1016/j.cpr.2004.07.006
  • Alden, L. E., & Wallace, S. T. (1995). Social phobia and social appraisal in successful and unsuccessful social interactions. Behaviour Research and Therapy, 33, 497–505. DOI: 10.1016/0005-7967(94)00088-2
  • American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, DSM-5. Arlington, VA. (tr. It. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014).
  • Clark, D. M., & Wells, A. (1995). A cognitive model of social phobia. In R. G. Heimberg, M. R. Liebowitz, D. A. Hope, & F. R. Schneier (eds), Social Phobia: Diagnosis, Assessment, and Treatment (pp. 69–93). Guilford Press.
  • Creed, A. T., & Funder, D. C. (1998). Social anxiety: from the inside and outside. Personality and Individual Differences, 25, 19–33. DOI: 10.1016/S0191-8869(98)00037-3
  • Cuming, S., Rapee, R. M., Kemp, N., Abbott, M. J., Peters, L., & Gaston, J. E. (2009). A self-report measure of subtle avoidance and safety behaviors relevant to social anxiety: development and psychometric properties. Journal of Anxiety Disorders, 23, 879–883. DOI: 10.1016/j.janxdis.2009.05.002
  • Dabas G., Rowa K., Milosevic I., Moscovitch D.A., McCabe R.E. (2022). The impact of particular safety behaviours on perceived likeability and authenticity during interpersonal interactions in social anxiety disorder. Behavioral and Cognitive Psychotherapy, 51(1), 46-60. DOI: 10.1017/S1352465822000492
  • Moscovitch, D. A. (2009). What is the core fear in social phobia? A new model to facilitate individualized case conceptualization and treatment. Cognitive and Behavioral Practice, 16, 123–134. DOI: 10.1016/j.cbpra.2008. 04.002
  • Rapee, R. M., & Heimberg, R. G. (1997). A cognitive-behavioral model of anxiety in social phobia. Behaviour Research and Therapy, 35, 741–56. DOI: 10.1016/S0005-7967(97)00022-3
  • Salkovskis, P. M. (1991). The importance of behaviour in the maintenance of anxiety and panic: a cognitive account. Behavioural Psychotherapy, 19, 6. DOI: 10.1017/S01413473000114726
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