In questo meraviglioso libro, “Vedere la mente, il cervello in cento immagini”, edito dalla casa editrice Raffaello Cortina, non incontreremo semplici descrizioni di anatomia e fisiologia, bensì attraverso le sue pagine il lettore si sentirà accompagnato all’interno di una di una galleria fotografica ricca di strani dipinti, in grado di restituirgli la sostanza di cui egli stesso è costituito.
Un viaggio difficile da dimenticare e ricco di colori
Benvenuti nell’intimità del vostro cervello, se afferrate lo specchio che vi viene porto, scoprirete, nel più profondo di voi stessi, i meccanismi del vostro pensiero (Dehaene, 2022, p. 11).
Un invito con il quale l’autore di questa enciclopedia fotografica, storica e artistica al tempo stesso, sembra voler promettere una discesa vera e propria nei meandri di quanto più ci caratterizza dalla notte dei tempi. Eppure un ulteriore monito sembra accompagnare quello precedente, ossia quello di non farsi travolgere da quella strana e complessa bellezza che per secoli (e ancor più millenni) ha piano piano preso vita dentro di noi.
Una bellezza quasi sconosciuta che, a nostra insaputa e in maniera alchemica, ha trasformato le strutture del nostro cervello legittimando la sua unicità, ancora oggi spesso inafferrabile, proprio perché in continuo mutamento.
Favoloso è l’incredibile progresso delle tecniche di esplorazione del cervello e gli sviluppi folgoranti che hanno permesso di comprendere il legame tra il corpo e la mente (Dehaene, 2022, p. 11).
Perché quest’organo non è una semplice parte costituente del nostro intero organismo, ma al contrario il riflesso di una fioritura in grado di custodire radici lontane nel tempo e capaci di svelare una propria storia evolutiva. Una propria evoluzione che a partire dalla preistoria giunge sino ai giorni nostri.
Un salto nel passato per comprendere il presente
La preistoria ci ha lasciato in eredità innumerevoli tracce di interventi riusciti, quale prova che alcuni uomini avevano compreso che il soffio della mente attraversa il cervello (Dehaene, 2022, p. 13).
Se la passione è il motore principale per una buona pratica di qualsivoglia disciplina, la curiosità al contempo risulta essenziale per scoprire qualcosa di nuovo. In un salto lontano nel tempo l’autore, sin dalle prime pagine, porta il lettore in un mondo rispetto al quale la scoperta e i tentativi di studio del cervello erano caratterizzati da un arricchimento costante di conoscenze e da un passaggio di testimone vero e proprio, dove quanto si scopriva veniva tramandato nel tempo e gradualmente “riciclato” a favore di nuove scoperte basate sui dati acquisiti. Senza esserne consapevoli, infatti, i medici di quel tempo davano vita ai concetti di apprendimento.
Le strutture del cervello servono ad una cosa sola: a pensare (Dehaene, 2022, p. 13).
Eppure questa attività cognitiva che oggigiorno sappiamo essere il riflesso di più parti coinvolte all’unisono, in passato portava con sé un alone di mistero, fatto di incertezze, ma sempre connotato da un comune denominatore: l’amore per la scoperta.
L’autore inoltre sembra voler condurre il lettore ad una visione del cervello quale vero e proprio connubio tra passato e presente e tra storia ed arte. Perché se è vero da un lato che la scienza ha progredito per tentativi ed errori, quanto viene valorizzato è la forte presenza dell’immaginazione quale chiave descrittiva e percettiva, che ha sempre guidato l’uomo nelle sue scoperte e nella sua capacità di rappresentarsi un mondo che ancora non conosceva, e che aspettava semplicemente di essere scoperto, dipinto e tramandato.
I neuroni quali Farfalle dell’Anima
Come le tappe evolutive sono necessarie per scoprire qualcosa di noi, i segni del tempo lo sono altrettanto per comprendere la capacità dello sguardo di trasformare ciò che è stato in qualcosa di nuovo. Dalla preistoria agli Egizi e dai Greci al Rinascimento “avremmo dovuto attendere il secolo delle lesioni e il secolo dell’imaging per acquisire la consapevolezza che ad ogni livello le strutture del cervello sono in grado di dirci qualcosa” (Dehaene, 2022, p. 13).
E così negli anni trenta del secolo scorso un neuroanatomista spagnolo impiegando la colorazione argentica (Stiefel, 2016), scoprì come questo strumento applicato a diverse regioni del cervello fosse in grado di svelare un’orchestra mai vista prima: l’organizzazione cellulare cerebrale. Dando inoltre inizio a quelle che oggi chiamiamo neuroscienze, conferendo a Ramòn y Cajal il premio Nobel per la fisiologia e la medicina a seguito dei lavori svolti sul sistema nervoso.
Un mondo ancora oggi in grado di sorprenderci con la sua struttura e i suoi misteri. Ricco di enigmi sempre nuovi da decifrare ma unici nel farci battere il cuore e farci volare con l’immaginazione. Scoprendo così “le farfalle dell’anima”.