Uno studio del 2021 di Raphi e colleghi ha utilizzato la hope therapy su un gruppo di donne, le quali hanno affrontato interruzioni di gravidanza tra il 2020 e il 2021.
Le conseguenze psicologiche dell’aborto
Il fenomeno dell’aborto è la causa più comune di interruzione di gravidanza, la quale può avvenire in modo spontaneo o intenzionale (Catalano et al. 2016).
L’aborto, in qualsiasi forma avvenga, è considerato un evento ad alto impatto traumatico per le donne che lo affrontano, sia per le possibili complicazioni mediche conseguenti sia per le conseguenze psicologiche ad esso associate. È importante sottolineare che gli studi riguardanti le conseguenze psicologiche dovute all’aborto hanno ottenuto risultati discordanti e che si può solo affermare che esclusivamente in alcune donne questo fenomeno ha un apporto diretto allo sviluppo di problematiche psicologiche gravi (Reardon, 2018). Infatti, le conseguenze psicologiche dell’aborto sono influenzate da diversi fattori, quali la storia di vita, disturbi mentali pregressi, altre gravidanze desiderate o indesiderate e supporto sociale (Zareba et al., 2020).
La hope therapy
In ogni caso, esistono svariati tipi di trattamenti per intervenire e uno di questi è la hope therapy. Questa terapia si fonda sul concetto di hope, ovvero “speranza”, considerandola un bisogno fondamentale per l’essere umano, al quale conferisce vitalità, flessibilità di pensiero e di azione e un generale miglioramento della salute mentale. La hope therapy deriva dal pensiero di Snyder e si basa sulla terapia cognitivo comportamentale. Secondo questo autore la speranza è una skill appresa tramite la socializzazione in infanzia (Snyder, 2002). Questo trattamento è utilizzato per ridurre la depressione e l’ansia, per portare cambiamenti positivi a livello cognitivo e per aiutare il paziente a focalizzarsi sulle soluzioni. La hope therapy fa parte delle terapie di terza ondata ed è una combinazione di terapia cognitiva, terapia narrativa e orientata alla soluzione; essa include due fasi: la costruzione della speranza e l’accrescimento della speranza. Le persone speranzose nel fronteggiare un problema tendono a focalizzarsi e dedicarsi attivamente alla risoluzione di quest’ultimo; allo stesso modo, sono in grado di gestire meglio e adattarsi più facilmente a trattamenti psicologici in seguito ad una diagnosi (Snyder 2000).
Hope therapy e aborto
Uno studio del 2020 di Raphi e colleghi ha utilizzato la hope therapy su un gruppo di donne, le quali hanno affrontato interruzioni di gravidanza tra il 2020 e il 2021. Le 52 donne partecipanti allo studio sono state assegnate, in modo del tutto casuale, a due gruppi distinti, definiti in ambito di ricerca gruppo sperimentale, che consiste nel gruppo al quale viene somministrato il trattamento prestabilito, e gruppo di controllo, ovvero il gruppo a cui non viene somministrato alcun trattamento. Il gruppo sperimentale quindi, è stato sottoposto a sedute terapeutiche basate sul paradigma della hope therapy, complessivamente per 8 sedute da 45 minuti, due volte a settimana. Per valutare l’effettiva efficacia del trattamento sono stati somministrati due questionari psicodiagnostici che andavano a indagare il benessere psicologico e la qualità della vita in generale, così da poter valutare se il trattamento avesse sortito un qualche tipo di effetto.
Gli effetti della hope therapy
Dopo aver condotto le dovute analisi statistiche, i risultati dello studio hanno mostrato come i punteggi, sia del benessere psicologico che della qualità di vita generale, fossero significativamente più alti nelle donne che erano state sottoposte alla hope therapy, ovvero quelle appartenenti al gruppo sperimentale, rispetto ai punteggi nettamente inferiori totalizzati dalle donne alle quali non era stato somministrato il trattamento prestabilito dallo studio. Gli autori quindi concludono sottolineando come la hope therapy possa migliorare il benessere psicologico e la qualità della vita di donne le quali hanno affrontato un evento doloroso e molto spesso traumatico come l’aborto, sebbene a studio abbiano partecipato solo 52 donne, rendendo così i risultati non generalizzabili in modo certo alla popolazione generale.