L’extended evolutionary meta-model applica i concetti evolutivi di variazione, selezione e ritenzione adeguati al contesto (quali forza motrice dietro il cambiamento evolutivo), focalizzati sulle dimensioni e sui livelli biopsicosociali chiave relativi alla sofferenza umana, ai problemi e al funzionamento positivo.
Per oltre mezzo secolo, il paradigma dominante nella ricerca in psicoterapia è stato quello di sviluppare protocolli di trattamento specifici per sindromi ipotizzate, definite dai sistemi nosologici psichiatrici. Obiettivo di tale approccio è stato quello di provare a fornire un linguaggio comune per i disturbi di salute mentale, cercando di raggiungere un obiettivo di utilità concettuale e di trattamento. Il “modello sindromico” ha guidato la nosologia psichiatrica. Tale strategia ha portato a considerare gli insiemi empirici di segni osservabili e di sintomi dichiarati, come elementi indispensabili per la scoperta di cause sottostanti alla patologia: quando una sindrome ha un’eziologia nota, un corso meccanicistico e una risposta al trattamento, secondo tale prospettiva, la stessa dovrebbe presentarsi come una malattia. Identificare le specifiche malattie latenti, che si presume siano alla base dei disturbi psichiatrici, è sempre stato il fine ultimo pratico e scientifico delle attuali forme di nosologia psichiatrica (Hayes et al., 2020). Pur essendo plausibile, non sembrerebbe che questa strategia abbia condotto, nell’ambito della salute mentale e comportamentale, verso un pieno successo in tal senso. È molto ampio, allo stato attuale, un accordo sul fatto che l’utilità clinica delle categorie del DSM-5 è estremamente limitata (Maj, 2018).
“Quando è diventato evidente che dopo decenni di ricerca e studi clinici, il DSM-5 offriva ben poco di nuovo rispetto ai suoi predecessori, l’iniziativa del National Institute of Mental Health (NIMH) Research Domain Criteria (RDoC; Insel et al., 2010) è emersa come un tentativo di far progredire il campo della psichiatria virando in una direzione di processo più basilare. L’obiettivo era quello di creare un’agenda di ricerca che potesse produrre un sistema di classificazione che integrasse i dati biologici e comportamentali, piuttosto che basarsi esclusivamente sulle caratteristiche topografiche del problema, derivate dalle impressioni cliniche e dalla segnalazione soggettiva dei sintomi” (Hayes et al., 2020). Come sostengono Hofmann e Hayes, nell’articolo del 2019, “The Future of Intervention Science: Process-Based Therapy”, la scienza clinica sembra aver raggiunto un punto di svolta. Sembra che stia cominciando a emergere un nuovo paradigma che mette in discussione la validità e l’utilità del modello di malattia medica, che presuppone che le entità della malattia latente siano prese di mira con protocolli terapeutici specifici. Secondo gli autori, i ricercatori vengono maggiormente motivati verso un’identificazione di processi funzionali importanti e fondamentali per la persistenza delle patologie ed un cambiamento possibile. Ciò lascia intendere il valore di un approccio basato sui processi, che può condurre ad una maggiore attenzione sulla natura dinamica, idiografica, multidimensionale e multilivello del funzionamento umano (Hofmann e Hayes, 2019).
Il tradizionale approccio DSM alla diagnosi sembrerebbe quindi non essere totalmente valido e particolarmente utile per i professionisti (Hayes et al., 2020). Ad esempio, avendo come riferimento il DSM, si potrebbe dire che a due soggetti può essere diagnosticato lo stesso disturbo, se registrano 7 sintomi su 10 di ansia generalizzata. Il problema con questo approccio è che i due soggetti clinicamente ansiosi potrebbero esserlo in modi totalmente differenti e richiedere trattamenti radicalmente diversi.
L’efficacia di un approccio basato sui processi consiste nel fornire agli individui interventi differenti nonostante una stessa classificazione nosografica (Ciarrochi et al., 2022).
“La terapia basata sul processo (PBT) offre un approccio alternativo alla comprensione e al trattamento dei problemi psicologici e alla promozione del benessere umano. La PBT si rivolge a processi biopsicosociali di cambiamento empiricamente stabiliti, che i ricercatori hanno dimostrato essere funzionalmente importanti per obiettivi e risultati a lungo termine” (Hayes et al., 2020).
I processi di cambiamento possono essere definiti come quei meccanismi di cambiamento basati sulla teoria, dinamici, progressivi, legati al contesto, modificabili e multilivello, che si verificano in sequenze prevedibili, empiricamente stabilite e orientate verso risultati desiderabili: basati sulla teoria, nel senso che vengono associati ad una chiara dichiarazione scientifica delle relazioni tra gli eventi che portano a previsioni verificabili; dinamici, perché possono implicare cicli di feedback e cambiamenti non lineari; progressivi, perché possono essere organizzati in particolari sequenze per raggiungere l’obiettivo del trattamento; legati al contesto e modificabili, in modo da suggerire direttamente cambiamenti pratici o azioni di intervento alla portata degli operatori; e multilivello, perché alcuni processi sostituiscono o sono annidati in altri (Hayes et al., 2020; Hofmann e Hayes, 2019).
È fondamentale, per ciascun terapeuta, che i processi vengano organizzati con modelli che siano completi, internamente coerenti e funzionali, e che forniscano un’ampia guida a professionisti e ricercatori (Hayes et al., 2020). Come sostenuto da Hayes, Hofmann e Ciarrochi, l’approccio più adatto a fare ciò è un approccio evolutivo esteso multidimensionale e multilivello: Extended Evolutionary Meta-Model (EEMM).
“L’EEMM è un meta-modello di approcci diagnostici e di intervento che può accogliere qualsiasi insieme di processi di cambiamento basati sull’evidenza, indipendentemente dall’orientamento specifico della terapia” (Hayes et al., 2020).
La teoria evolutiva è fondamentale nella ricerca di conoscenza e di comprensione dei sistemi complessi nelle scienze della vita. “Un immunologo a cui viene chiesto come è nato il sistema immunitario risponderà quasi certamente con una risposta evolutiva; così come un cardiologo a cui viene chiesto della sua area, o un ortopedico a cui viene chiesto della sua” (Hayes et al., 2020). Se in tutte le scienze della vita è possibile procedere ad una visione dei sistemi attraverso un filtro di una sintesi evolutiva estesa, è ragionevole pensare di applicare il pensiero evolutivo anche all’organizzazione dei processi di cambiamento, nell’ambito del lavoro psicologico.
“È possibile applicare i principi delle moderne scienze evolutive non solo ai geni, ma anche all’epigenetica, all’apprendimento comportamentale e al pensiero simbolico (Jablonka e Lamb, 2006). L’evoluzione si applica all’individuo e ai gruppi; si applica attraverso le discipline e le culture. È adatta a servire come base per promuovere un cambiamento comportamentale e culturale positivo. È importante notare che i moderni principi evolutivi multidimensionali e multilivello possono essere usati in un modo prosociale. I principi evolutivi possono essere facilmente collegati al contesto e all’obiettivo e sono utilizzati allo scopo di promuovere l’uguaglianza, la riconciliazione, la pace, il comportamento prosociale e una vita significativa (Wilson et al., 2017)” (Ciarrochi, 2022).
L’EEMM applica i concetti evolutivi di variazione, selezione e ritenzione adeguati al contesto (quali forza motrice dietro il cambiamento evolutivo), focalizzati sulle dimensioni e sui livelli biopsicosociali chiave relativi alla sofferenza umana, ai problemi e al funzionamento positivo.
Come sostenuto da Hayes, Hofmann e Ciarrochi, senza variazione, il cambiamento è impossibile, e non è un caso che la psicopatologia sia caratterizzata dalla rigidità rispetto alla flessibilità; approcci come l’Acceptance and Commitment Therapy cercano intenzionalmente di aumentare l’attivazione e l’esplorazione comportamentale basata sui valori, anche in presenza di disagio (Hayes, 2019).
Gli ambienti difficili tendono ad aumentare la variazione, sia che si tratti di tassi di mutazione o di riparazione del DNA (Galhardo et al., 2007) da un lato, o di estinzione (Catania, 1992) dall’altro. Essere in grado di rimanere flessibili è una caratteristica chiave della “sopravvivenza dei più evoluti” (Wagner e Draghi, 2010), ma i processi patogeni interferiscono con una variazione sana. La selezione può essere intesa come l’obiettivo di un intervento terapeutico o come un comportamento desiderato. È ciò che risulta essere funzionale per il cliente in uno specifico contesto. La ritenzione consiste nel modo in cui viene mantenuto un comportamento adattivo. È la chiave per qualsiasi cambiamento prosociale, e la psicoterapia può essere usata, in tal senso, sotto forma di mantenimento al follow up, con l’uso di compiti a casa, il rinforzo della pratica delle abilità, o lo sviluppo di buone prassi. Il contesto è la chiave per la diagnosi e il trattamento; è necessario vedere la modifica di un comportamento nel contesto della situazione attuale del cliente, della sua storia, della sua cultura e del suo obiettivo.
In Hayes, Hofmann e Ciarrochi (2020) e in Ciarrochi, Hayes, Oades e Hofmann (2022) è possibile osservare uno schema rappresentante il modello EEMM, con l’identificazione dei concetti evolutivi chiave di variation, selection, retention, context, insieme alle sei dimensioni psicologiche affetto, cognizione, attenzione, sè, motivazione, comportamento manifesto; oltre al livello psicologico, i processi di cambiamento possono avvenire a livello di analisi socioculturale o a livello biofisiologico; inoltre, i processi possono essere empiricamente dimostrati come adattivi o disadattivi.
Nei processi di diagnosi e di trattamento, è possibile esaminare le sei dimensioni e i due livelli applicandoli a questioni di funzione, meccanismo, sviluppo e storia. Ad esempio, il terapeuta può esaminare in che modo lo stato di salute o di patologia di un cliente si sia sviluppato nel corso della sua vita; quali sono gli specifici processi fisici e psicologici che caratterizzano questi eventi; e qual è la loro storia evolutiva nel lungo tempo. Il modello mette in correlazione domande come queste sia a condizioni di disadattamento che di adattamento. È indispensabile valutare sia i processi adattivi che quelli disadattavi, poiché lo stato di salute è molto più che una mera assenza di patologia. Ogni intervento deve essere focalizzato sulla promozione del benessere psicologico e non solo sull’eliminazione della patologia. Ad esempio, per ridurre un processo disadattivo come la soppressione del pensiero, potrebbe essere più efficace promuovere processi positivi come la flessibilità psicologica e l’attenzione consapevole.
Ciascun terapeuta può utilizzare l’EEMM per promuovere quei processi attivi di cambiamento identificati sia nella ricerca clinica che nella psicologia positiva. Un intervento personalizzato potrebbe essere avviato con la concettualizzazione del caso, con la quale poter identificare i processi fondamentali che applicabili a un particolare cliente. Durante il percorso, attraverso la ricezione di feedback da parte del cliente su ciò che funziona e ciò che non funziona, diventa possibile riadattare, progressivamente, la concettualizzazione del caso e, di conseguenza, l’intervento intrapreso. In questo modo, è possibile implementare diversi processi basati sull’evidenza, selezionando quelli che contribuiscono al benessere del cliente e poi, attraverso la pratica ed il consolidamento di buone prassi, supportare il cliente nel mantenimento delle abilità.
In questa ottica, l’EEMM può essere applicato a tutti i processi di cambiamento di interventi e trattamenti conosciuti, basati su teorie validate ed empiricamente supportate (Ciarrochi et al., 2022).