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Come curare il Disturbo Dissociativo dell’Identità (2022) di Colin Ross – Recensione

'Come curare il disturbo dissociativo dell’identità' è una sintesi semplice e allo stesso tempo ricca di spunti sul complesso mondo del trattamento del DDI

Di Cristiana Chiej

Pubblicato il 03 Ott. 2022

“Come curare il disturbo dissociativo dell’identità” nasce dall’esperienza dell’autore all’interno di un programma per pazienti affetti da disturbo dissociativo dell’identità (DDI) in un ospedale di Dallas: era necessario fornire ai nuovi operatori sanitari e stagisti uno strumento che sintetizzasse i principi più importanti del trattamento clinico con questi pazienti.

 

 Il Disturbo Dissociativo dell’Identità (DDI) ha da sempre suscitato un grande interesse, non soltanto in ambito clinico, e da sempre il suo trattamento ha rappresentato una grande sfida terapeutica. Negli ultimi decenni l’interesse per i disturbi dissociativi è certamente cresciuto, dando impulso a un vivace dibattito e ad una sempre più ricca ed accurata ricerca, così come è cresciuta l’attenzione al trauma e alle sue conseguenze in termini di psicopatologia.

Per chi si occupa di disturbi post-traumatici, Colin Ross non ha certo bisogno di presentazioni: clinico di grande talento e notorietà, è anche autore di diversi articoli e volumi sul trauma e sulla dissociazione.

“Come curare il disturbo dissociativo dell’identità” rappresenta un’introduzione e una sintesi semplice e allo stesso tempo ricca di spunti sul complesso mondo del trattamento dei disturbi dissociativi.

L’autore, infatti, descrive con competenza e chiarezza i concetti più importanti del trattamento, mostrandone, anche attraverso efficaci ed evocative vignette cliniche, le tecniche principali.

L’esigenza di questo volume è nata dalla sua esperienza all’interno di un programma per pazienti affetti da disturbo dissociativo dell’identità (DDI) in un ospedale di Dallas: era necessario fornire ai nuovi operatori sanitari e stagisti uno strumento che sintetizzasse i principi più importanti del trattamento clinico con questi pazienti, dando loro strumenti concreti e direzioni di ulteriori approfondimenti.

Scritto dunque per i neofiti, questo volume è comunque un prezioso strumento per tutti i professionisti della salute mentale che si occupano di disturbi dissociativi, indipendentemente dalla loro esperienza.

Il disturbo dissociativo dell’identità, se pure non sempre nelle forme drammatiche che conosciamo attraverso i personaggi cinematografici e letterari, ha una prevalenza maggiore di quello che si crede ed è notevolmente sottodiagnosticato, poiché spesso i clinici non dispongono di una formazione specifica adeguata che li aiuti a porre le domande giuste per una corretta diagnosi. L’autore dedica a questa importante riflessione il primo capitolo del volume, fornendo una lista di domande più o meno specifiche per orientare l’intervista diagnostica, uno stralcio di colloquio di assessment come esempio, e mettendo a disposizione in appendice strumenti preziosi, come la Dissociative Disorders Interview Schedule (DDIS) e la Therapist Dissociative Checklist.

Lavorare con il disturbo dissociativo dell’identità comporta certamente molte sfide ed insidie.

Una di queste è come affrontare l’emergere di memorie traumatiche:

  • dobbiamo credere ciecamente ai ricordi dei nostri pazienti o metterli in dubbio?
  • come gestire i flashback che irrompono nella quotidianità del paziente e che possono condurre a comportamenti autolesivi o francamente anticonservativi nel tentativo di non rivivere più quei momenti traumatici?
  • quando è giusto affrontare direttamente le memorie traumatiche e quando invece è opportuno rimandare questa parte del lavoro?

Questi sono solo alcuni degli interrogativi ai quali il volume cerca di rispondere, dando indicazioni preziose e accurate per orientarsi nell’affascinante ma scivoloso territorio del disturbo dissociativo dell’identità.

Il modello trifasico (stabilizzazione – lavoro sulle memorie traumatiche – integrazione) fa da cornice a tutto l’intervento con i disturbi dissociativi che l’autore esplora: è ormai fortemente sostenuto da dati empirici il fatto che la stabilizzazione sia il primo e più importante obiettivo di lavoro con questi disturbi, premessa ineludibile al successivo lavoro sui ricordi traumatici che va dunque posticipato finché il paziente non sia sufficientemente al sicuro e stabile, appunto.

 Tutto il trattamento si sviluppa verso il graduale e progressivo superamento della scissione interna. In un movimento a spirale, con inevitabili stalli e passi indietro, paziente e terapeuta collaborano per favorire il superamento della fobia interna che mantiene la separazione fra parti dissociate: obiettivo del lavoro non è quella che Colin Ross chiama l’“integrazione tramite il plotone di esecuzione”, ovvero liberarsi delle parti scomode o disturbanti, ma al contrario riconoscere come ogni parte non solo sia una parte ineliminabile del tutto e quindi non ci si possa semplicemente sbarazzare di lei, ma anche di come abbia o almeno abbia avuto al momento del trauma una funzione importante al servizio del sistema.

Le parti più sofferenti, quelle che sono responsabili dell’emergere dei flashback o che spingono il paziente ad agiti autodistruttivi, sono le depositarie di memorie, emozioni e sensazioni troppo disturbanti per essere accolte dalla parte ospite: anche le parti apparentemente più “negative” e disturbanti dunque sono parte della persona e meritano di essere accolte con empatia e gratitudine per ciò di cui si sono fatte carico.

Occorre aiutare il paziente a riconoscere il ruolo e la funzione di ogni parte, favorendo gradualmente il dialogo e la collaborazione fra le parti, la loro co-coscienza, ovvero la capacità di essere consapevoli l’una della presenza e degli stati interni dell’altra.

Il paziente va aiutato a capire come funziona il suo disturbo e che “il problema non è il problema”, ovvero che il sintomo, il comportamento autodistruttivo, il disturbo non sono in realtà il problema, ma un tentativo del sistema di trovare una soluzione ad un problema sullo sfondo.

Il disturbo dissociativo dell’identità è, infatti, il risultato della risposta di adattamento del cervello ad un’infanzia traumatica, una strategia di sopravvivenza che nel corso del tempo però diventa disfunzionale perché comporta costi altissimi.

Di fatto gran parte del trattamento con questi pazienti riguarda il presente, non il passato. Non è prevalentemente un lavoro sulle memorie traumatiche, ma di orientamento, regolazione, stabilizzazione, di costruzione di una nuova comunicazione e cooperazione tra le parti, affinché arrivino gradualmente ad essere co-coscienti e co-presenti.

Ciò non vuol dire che le memorie non debbano essere affrontate e trattate. Ma il focus del lavoro non deve essere la ricostruzione dettagliata degli abusi, anzi, ripercorrere i ricordi nei minimi dettagli rischia di portare ad iper-arousal estremo ed “abreazioni maligne”, assolutamente iatrogene per il paziente.

Su questo tema un aspetto importante su cui l’autore sofferma la sua attenzione è la neutralità terapeutica: forte anche della sua esperienza nel trattamento di persone vittime di abusi rituali, Colin Ross mette in guardia rispetto a qualsivoglia presa di posizione del terapeuta sulla veridicità delle memorie. Non sta al terapeuta stabilire se siano o no fatti realmente accaduti, e dal momento che resoconti inverosimili possono essere assolutamente veri e narrazioni plausibili possono essere inaccurate o distorte, la neutralità terapeutica è assolutamente necessaria.

Il volume illustra anche, sempre avvalendosi di illuminanti dialoghi clinici, tecniche particolarmente utili con questi pazienti, come il grounding, il parlare attraverso le parti, e strumenti di lavoro come il journaling, il disegno, gli homework, non con l’obiettivo di essere esaustivo, ma al contrario di orientare il lettore ad approfondimenti e formazioni specifiche.

Sono certamente necessarie strategie e tecniche specifiche per trattare pazienti con disturbo dissociativo dell’identità, ma, come evidenzia lo stesso autore “una buona terapia per il disturbo dissociativo dell’identità consiste di una buona terapia generale più alcune strategie specifiche in aggiunta” (p. 22).

Il libro di Colin Ross è dunque un libro pratico, di immediata comprensione e ricco di spunti interessanti e preziosi che guidano il terapeuta ad orientarsi nel trattamento non solo di pazienti affetti da disturbo dissociativo dell’identità, ma di tutti quelli che si collocano lungo il continuum dei disturbi dissociativi, ricordando sempre che con questi disturbi “chi va piano va sano e vince la gara”.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ross, C. (2022). Come curare il Disturbo Dissociativo dell’Identità. Lavorare con le parti di sé e altre tecniche di stabilizzazione per i pazienti con discontinuità della coscienza. Edizioni ApertaMente Web.
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