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La psiche del serial killer – Intervista all’autore del libro

Leonardo Abazia ci presenta in un’intervista il suo nuovo libro 'La psiche del serial Killer. Analisi psicopatologica nelle storie degli assassini seriali'

Di Roberta De Martino

Pubblicato il 15 Giu. 2022

La psiche del serial killer: Leonardo Abazia ci parla del suo libro in cui esplora quali sono gli aspetti che hanno destato nelle menti dei serial killer una destabilizzazione tale da portarli a togliere la vita ad altri esseri umani.

 

 Leonardo Abazia ci presenta in un’intervista il suo nuovo libro La psiche del serial Killer. Analisi psicopatologica nelle storie degli assassini seriali, che offre al lettore un viaggio nelle storie di tredici noti serial killer, proponendo per ciascuno di loro un intrigante approfondimento dei profili psicologici e descrivendo, così, alcune psicopatologie attraverso le quali il male può mostrarsi.

Intervistatrice: Come è nata l’idea di affrontare un tema così complesso? 

Dr L. Abazia: L’idea nasce da un corso in criminologia che ho tenuto per diversi anni. L’argomento mi ha molto affascinato e ho notato come manchi, in letteratura, un libro che descriva il serial killer nelle sue rappresentazioni psicodiagnostiche. Proprio per questo ho voluto soffermarmi  sull’aspetto prettamente psicologico piuttosto che su quello criminologico di questi killer, indicando per ciascuno di loro una specifica patologia prevalente, attraverso la descrizione del comportamento, il racconto delle storie di vita e l’analisi degli atti.

Si è tentato di spiegare la cornice teorica e i costrutti sottostanti che sono alla base del comportamento deviante. La peculiarità di questo libro è che è lo stesso serial killer a rappresentare la sua patologia, attraverso la ricostruzione della sua storia di vita, del suo background socio-culturale e della sua carriera criminale.

Intervistatrice: Quali sono le ragioni che spingono un individuo a diventare serial killer?

Dr L. Abazia: Mi pone una domanda molto complessa, che implica una serie di piani di riflessione: filosofici, psicologici, criminologici e sociologici.

Freud affermò più di cent’anni fa “Proprio l’imperiosità del comando “non uccidere” ci assicura che discendiamo da una serie lunghissima di assassini i quali avevano nel sangue, come forse ancora abbiamo noi stessi, il piacere di uccidere”.

Gli aspetti morali del Super-Io non possono mai essere sottostimati, poiché l’aggressività e il piacere dell’uomo di uccidere sono sempre pronti a emergere in ogni individuo. Ciò ha spinto l’uomo, nel corso dello sviluppo della civiltà, a porre dei limiti al proprio istinto amorale.

Del resto i recenti avvenimenti di cronaca, come il conflitto contro il popolo ucraino, ci mostrano continuamente come le persone siano capaci delle più malvagie atrocità e barbarie nei confronti dei loro simili… Anche nella maggior parte delle storie criminali, contenute nel libro, ritroviamo l’attuazione di sevizie, torture, soprusi e violenze, di cui, molto spesso, sono stati gli stessi serial killer vittime. Si potrebbe quindi supporre che tali individui abbiano interiorizzato quel tipo di modalità di relazione violenta con l’altro, giungendo a ritenerla perfino normale.

Intervistarice: È possibile individuare dei segnali che ci permettano di riconoscere che siamo di fronte a una mente pericolosa? 

Dr L. Abazia: Non esistono segnali specifici che ci permettono di capire di essere in presenza di un serial killer. Si possono riscontrare, infatti, psicopatologie, presenti nei criminali seriali, anche in individui che non manifestano comportamenti devianti e non intraprendono carriere criminali vere e proprie. Nel corso degli anni molti studiosi hanno cercato di individuare delle caratteristiche salienti comuni ai serial killer. In particolare, nel libro riporto le classificazioni di Newton e Keniston, i quali si focalizzano rispettivamente sui segnali riscontrabili nell’infanzia-adolescenza e nella vita adulta. Nel primo caso Newton sottolinea l’importanza di manifestazioni quali l’isolamento sociale, il comportamento irregolare, l’attività sessuale precoce e bizzarra, il comportamento autodistruttivo. Keniston, invece, evidenzia l’aspetto relazionale deficitario e introduce il concetto di “sindrome dell’alienazione”, le cui caratteristiche principali sono sfiducia, pessimismo, alienazione interpersonale, sociale e culturale, disprezzo di sé ecc.

Senza dubbio un elemento che accomuna le diverse personalità descritte nel libro è la storia di abusi e violenze subiti nell’infanzia, che non hanno permesso lo sviluppo di quella che Bowlby chiama “base sicura”, che si configura come modello delle future relazioni dell’individuo.

Non si può, quindi, mai parlare di segnali specifici ma di segnali aspecifici, riscontrabili anche in altre situazioni al limite.

Intervistatrice: C’è tra le storie esplorate una che l’ha colpita di più? Se sì quale?

Dr L. Abazia: Nonostante tutte le storie presentate nel libro suscitino molto fascino, poiché ognuna mette in luce aspetti e patologie differenti, senza dubbio quella che più mi ha colpito è la coppia West. La ricostruzione dell’infanzia e della relazione di questi spietati serial killer permette di comprendere l’influenza che diversi fattori e situazioni possono avere sull’escalation del comportamento criminale. Fred e Rosemary hanno un’infanzia simile, entrambi sono cresciuti in una famiglia in cui l’incesto era una pratica normale, perché i figli appartenevano ai genitori che potevano fare di loro ciò che volevano. Hanno subito abusi e violenze arrivando a credere che questo modo di fare fosse quello comune, assumendolo come proprio insieme di valori e norme apprese e interiorizzate. I due si conoscono alla fermata dell’autobus e da lì inizia la loro relazione che ben presto avrà come oggetto sevizie, torture e violenze ai danni di donne sconosciute e delle stesse figlie.

 La peculiarità di questa storia è che ci mostra come due personalità, fortemente disturbate, quando si trovano e si legano insieme creano una danza dove ognuno trascina e porta l’altro nelle sue fantasie violente, macabre e impensabili.

Questo fenomeno viene chiamato “foliè a deux”, termine introdotto da due psichiatri francesi Lasègue e Farlet. La patologia si contraddistingue dalla presenza di due personalità agli antipodi: una persona dominante (in questo Rosemary) e una persona sottomessa (Fred), che si fondono l’un l’altra fino a divenire un’unica entità.

Questa danza, infatti, non ha fine fino a quando Rosemary non riconosce più Fred come suo partner, scomponendo l’entità creata precedentemente. A causa della rottura dell’incantesimo Fred non ha più senso di esistere e pone fine alla sua vita, interrompendo definitivamente la loro danza perversa.

Intervistatrice: Quanta responsabilità ha la società nella nascita di un serial killer? Si potrebbe trovare secondo lei un modo per aiutare questi individui ed intervenire prima che diventino pericolosi per gli altri? 

Dr L. Abazia: Considerato che nelle società moderne si è molto accentuato il fenomeno, soprattutto in quelle in cui c’è anomia sociale possiamo rispondere che sicuramente la società ha una responsabilità elevata. La globalizzazione ha accentuato la mobilità, eliminando un po’ il controllo sociale, che permetteva di sorvegliare/sostenere “l’altro”, diminuendo così il rischio di efferatezze. La società dovrebbe assumersi maggiore responsabilità, sia rispetto al contesto di riferimento di una persona sia rispetto al sostegno e supporto di un individuo a seguito di violenze e abusi subiti; elementi spesso alla base del comportamento criminale futuro.

Per quanto attiene la modalità di aiuto di un individuo prima che diventi pericoloso, quindi per ciò che riguarda attività di prevenzione primaria e/o secondaria, le rispondo ancora una volta con la difficoltà di trovare una risposta ed una spiegazione esauriente; anche perché spesso il disturbo è ego sintonico, nel senso che il reo non lo percepisce come un qualcosa di cui liberarsi, quindi non chiede aiuto. A volte è una sfida che fa verso le forze dell’ordine, verso la società, ma non un vero e proprio aiuto che chiede verso l’esterno. Se consideriamo che una parte, quelli più organizzati, hanno una vita simile alla nostra, ci rendiamo conto che non sono persone che vogliono essere aiutate ma spesso tendono a mantenere una doppia vita. È comunque estremamente difficile. Per spiegare al meglio quanto la società può essere influente, riporto una citazione di Aileen Wurnous “Non ho avuto un processo giusto. Mi avete sabotata. La società, la polizia, una donna stuprata è stata giustiziata. Siete disumani (…) e vi faranno saltare in aria molto presto e succederà. Non si prende così una vita umana, sabotandola e distruggendola come dio in croce. Grazie tante, società per avermi fatto il culo. Avete preso una donna stuprata e mandata al creatore.”

 

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Roberta De Martino
Roberta De Martino

Psicologa - Spec. in Psicoterapia Sistemico-Relazionale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Abazia, L. (2022). La psiche del serial killer. Analisi Psicopatologica nelle storie di assassini seriali. Luigi Guerriero Editore
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