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La funzione sociale dello psicoterapeuta (2020) di Luigi D’Elia – Recensione

L’intento di D’Elia nel libro 'La funzione sociale dello psicoterapeuta' è porre la sofferenza mentale al centro di un disagio che si colloca nella società

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 22 Giu. 2022

Il volume La funzione sociale dello psicoterapeuta descrive vari casi clinici dando maggiore enfasi, rispetto a uno psicoterapeuta individuale, allo sfondo sociale in cui nasce il disagio.

 

 Avrei dovuto recensire il libro di Luigi D’Elia almeno un anno fa e sono in colpevole ritardo. Non è la pigrizia l’unica responsabile. Il ritardo è rivelatore: ero disorientato di fronte all’argomento perché, come molti di noi, non conosco a fondo la psicologia sociale e ancor meno quale sia la funzione sociale dello psicoterapeuta. Un’ignoranza inquietante, perché non generava curiosità ma confusione. La stessa che mi ha accompagnato in questi mesi in cui il libro giaceva sulla mia scrivania. Lo avevo lasciato lì a ricordarmi che prima o poi avrei dovuto decidermi a leggerlo.

Il libro di D’Elia parte dalla consapevolezza di questa lacuna e tenta di colmarla, istruendoci sugli aspetti sociali della nostra professione. Inizia con una panoramica della condizione dello psicoterapeuta italiano, della sua singolare condizione di figura professionale formata quasi sempre nel servizio privato e destinata a lavorare privatamente. Di qui la trascuratezza per l’aspetto sociale di questa professione. Da questa osservazione parte la riflessione di D’Elia sullo psicoterapeuta, la cui funzione sociale è quella di superare la dicotomia mondo-mente in termini che vadano al di là delle consuete opposizioni che rimangono individuali, anch’esse da superare ma al fondo più ristrette: mente-corpo, ragione-emozione e così via. Occorre andare sulla sponda sociale, magari per incontrare nuove opposizioni.

L’intento di D’Elia è di porre la sofferenza mentale al centro di un disagio che non è solo mentale e nemmeno è solo individuale. L’individuo soffre, scrive D’Elia, perché la società soffre, e la società soffre perché non è abbastanza sociale. Essa è deteriorata dalla tendenza all’individualismo e all’aggregazione puramente funzionale dell’organizzazione economica, non solo privata ma anche pubblica. D’Elia connette, per tutto il libro, il malessere emotivo a queste disfunzioni sociali: i disturbi di personalità sono espressione primaria di questo deterioramento ma anche le psicosi, pur colpite da un fattore biologico, presentano un decorso meno ottimale a causa del degrado della società. Lo psicoterapeuta ha quindi un mandato sociale, non può limitarsi a lavorare nel suo studio, ma deve andare negli ambienti dove è nato il disturbo e può farlo non solo quando gli è richiesto dal ruolo, ad esempio quando lavora in comunità o nei servizi sociali, ma anche quando potrebbe rinchiudersi nell’attività privata.

Dopo questo quadro iniziale, D’Elia descrive vari scenari lavorativi e sociali in cui lo psicoterapeuta potrebbe assumere questo ruolo sociale ed evadere dalla gabbia della psicoterapia individuale. Lo studio di psicoterapia diventa un osservatorio sociale privilegiato da cui cogliere le modificazioni individuali facilitate dal cambiamento sociale. La società atomizzata, lacerata e povera di basi comunitarie crea disagi psicologici specifici che D’Elia descrive con esattezza, dai disturbi alimentari ai casi di violenza giovanile fino agli hikikomori, tutti malesseri che partono dall’isolamento, dalla spersonalizzazione funzionale ed economica dei rapporti fino alla competizione sempre più aspra che può poi sfociare nella violenza fisica.

 Per questo D’Elia descrive vari casi clinici dando maggiore enfasi, rispetto a uno psicoterapeuta individuale, allo sfondo sociale in cui nasce il disagio. Ecco che conosciamo le difficoltà lavorative e aziendali di Doriana, Isabella e Luciano e quelle sociali e familiari di Pietro, Ivana e Nadia. Nella sezione successiva troviamo i casi dell’amore esitante, ovvero la difficoltà di tante persone, non solo pazienti, a impegnarsi in progetti affettivi a lungo termine, il cui contraltare apparentemente opposto ma complementare è quello delle coppie di quarantenni che iniziano a desiderare i figli in età avanzata in uno stile superficiale e naif che non sembra tenere conto dei limiti biologici. Infine, troviamo interessanti considerazioni sull’incagliarsi del femminismo, dopo i successi dell’inizio e degli anni ’60 del ‘900, in una incompiutezza della realizzazione individuale delle donne, spesso arenatesi in atteggiamenti evitanti e poco assertivi dopo aver ottenuto i diritti pubblici.

A tutto questo D’Elia risponde proponendo una impostazione che va oltre la diagnosi individuale per generare una formulazione sociale del caso che si fonda su un’analisi dei rapporti economici e politici del tardo capitalismo, incapace di assicurare quella parallela crescita sociale che fino agli anni ’60 accompagnava quella economica e, anzi, incancrenitosi in una crescita senza limiti che non fornisce progresso intellettuale e morale e al tempo stesso minaccia il clima e il benessere del pianeta. Come scrive D’Elia a pag. 59, “lo psicoterapeuta con formazione psicosociale legge il materiale del paziente non solo come elemento intrapsichico e relazionale (…) ma come elemento della realtà sociale”. I vari interventi sono riletti in questa luce sociale: ecco che l’ansia non è curata solo nei termini individuali della tolleranza dell’apprensione e dell’adattamento, ma anche come insegnamento all’assertività, nella rivendicazione dei propri diritti sociali compromessi dal degrado sociale e lavorativo, così come l’accettazione dei propri limiti diventa anche la capacità di sottrarsi alle sirene del successo individualistico vissuto in misura parossistica. L’ambiente sociale del paziente è analizzato con puntualità per comprenderne l’effetto sull’emotività del paziente stesso e per immaginare strade per fuoriuscirne. Il repertorio di interventi sociali proposto da D’Elia va ad arricchire l’armamentario dello psicoterapeuta.

Naturalmente limitarsi a sviluppare l’aspetto sociale dell’intervento psicoterapeutico sarebbe stato limitante per gli obiettivi del libro. Ecco che D’Elia, per rispondere a questo bisogno, propone un intervento sociale diretto che vada al di là della seduta e individua nella rete il mezzo sociale più potente messo a disposizione dalla società. D’Elia progetta un portale che: 1) colleghi la domanda e l’offerta di psicoterapia secondo logiche che non siano di mercato, bensì di aiuto sociale praticato a tariffe ridotte oppure finanziato dallo stato sociale; 2) stimoli l’intervento pubblico a incrementare l’investimento in psicoterapia, storicamente trascurato a favore di quello farmacologico e comunitario; 3) censisca gli operatori e le strutture che già propongono le tariffe ridotte. Il tutto è finalizzato a creare una sorta di contro-mercato sociale e non economico in cui la psicoterapia sia davvero intervento sociale a favore del debole e del bisognoso. Il progetto è iniziale ma non acerbo: il portale, consultabile cliccando qui, era giunto al suo secondo anno di vita al momento della pubblicazione del libro di D’Elia nel 2020 e ora è quindi al suo quarto anno di vita e continua a inseguire i suoi sogni.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • D’Elia, L. (2020). La funzione sociale dello psicoterapeuta. Aples Italia.
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