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Mindfulness e Buddismo agnostico

La mindfulness è una pratica di meditazione incentrata sul concetto di consapevolezza derivata dal buddismo, ma è solo uno degli insegnamenti del Buddha

Di Federico Cherchi

Pubblicato il 04 Mag. 2022

Per capire fino in fondo la Mindfulness è opportuno elaborare un concetto che non sia sbilanciato né verso un’ottica mistica religiosa, né verso una pratica a sé stante rispetto alla cultura Buddista.

 

La mindfulness è una pratica meditativa che ha profondamente segnato la ricerca scientifica e il tessuto sociale degli ultimi venti anni: digitando sul motore di ricerca pubmed la parola mindfulness le pubblicazioni scientifiche arrivano a più di 26000 pubblicazioni, registrando una crescita esponenziale: se nel 2007 erano 85, nel 2016 il numero sale a 895 (De Pisapia, 2017). Molte di queste ricerche si concentrano sugli effetti benefici della meditazione su molti aspetti, tra i quali quelli a livello neurologico (Fox, 2014), a livello immunitario (Davidson, 2003), e la plasticità sinaptica (Lazar,2005).

Con questa forma di meditazione, che si evolve come una disciplina profondamente legata agli insegnamenti del principe indiano Siddharta Gautama, detto il Buddha, ci si riferisce ad un concetto teorico, una pratica di meditazione, o un processo psicologico, e rappresenta il cuore pulsante della psicologia Buddista di 2500 anni fa (Germer, 2013).

Per capire meglio la natura di questa forma di meditazione è opportuno fare chiarezza rispetto al ruolo che la meditazione di consapevolezza (Mindfulness) ha nei confronti della cultura Buddista. Esistono infatti due principali tendenze divergenti: la prima spinge verso una considerazione religiosa della dottrina, dove i quattro fondamenti della presenza mentale insegnati dal Buddha ai suoi discepoli sarebbero leggi, e la meditazione un’esperienza necessaria di trascendenza; una seconda tendenza spingerebbe invece verso un’interpretazione del tutto focalizzata sulla pratica della meditazione, elevandone l’importanza al punto tale da trascurare qualsiasi altro aspetto della dottrina (Batchelor. 20). Il rischio, in ognuno dei casi, sarebbe quello di avere una cultura Buddista marginalizzata e sempre meno capace di realizzarsi come cultura: cioè come set di valori e pratiche che animano creativamente tutti gli aspetti della vita umana (Batchelor. 20).

Per capire fino in fondo il concetto della Mindfulness, quindi, è opportuno elaborare un concetto che non sia sbilanciato né verso un’ottica mistica religiosa, né verso una pratica a sé stante rispetto alla cultura Buddista.

Mindfulness come parte di un percorso più grande

Abbiamo detto che la Mindfulness è una pratica di meditazione incentrata sul concetto di consapevolezza: a questo punto è opportuno analizzare quale è il ruolo che la meditazione ha all’interno degli insegnamenti del Buddha.

A livello etimologico la parola meditazione deriva dal latino mederi, che signfica curare, sanare, aiutare (da cui deriva il termine medicina); in sanscrito il Buddha utilizza la parola bhavana traducibile come «crescita spirituale» (Fabbro, 2018). Per capire il ruolo di questa pratica all’interno degli insegnamenti del Buddha è necessario affidarsi al Grande discorso sui fondamenti della presenza mentale (Goldstein, 2016). Grazie a quest’opera, infatti, è possibile conoscere quale “trattamento” il Buddha ha riservato per coloro che vogliano liberarsi dal peso della sofferenza.

Nell’ottuplice sentiero, che rappresenta le otto dimensioni che è giusto mettere in pratica per raggiungere la via della consapevolezza, troviamo la meditazione di consapevolezza (Mindfulness) occupare il settimo posto (Fabbro, 2018): al primo posto, invece, troviamo la comprensione appropriata, a cui seguono le dimensioni del pensiero appropriato, del linguaggio appropriato, dell’azione appropriata, dei mezzi di sostentamento appropriati e dello sforzo appropriato.

A questo punto possiamo concludere che, per quanto centrale e dominante, la pratica della meditazione di consapevolezza rappresenta in realtà solo una parte dell’ottuplice sentiero che conduce alla consapevolezza, al risveglio. La meditazione, da sola, non basta per raggiungere la via del risveglio. E, nonostante ciò, è soprattutto l’aspetto della meditazione quello che ha più colpito l’immaginario occidentale (Fabbro, Identità cultura e violenza).

Mindfulness come pratica non religiosa

Per riuscire a smarcare gli insegnamenti Buddisti da una interpretazione religiosa troppo stringente, è utile andare ad analizzare alcuni aspetti contenuti nei testi antichi della tradizione Buddista, il Canone Pali chiamato Tipitaka (Gombrich, 2009).

In questi testi, qualsiasi tentativo di interpretare gli insegnamenti del Buddha sotto una chiave mistica e trascendentale sono destinati a ridurne la complessità originaria, allontanando così i concetti della dottrina dal loro significato originario. Per esempio, interpretare l’esperienza del “risveglio” come un momento di rivelazione trascendente, come un incontro tra l’uomo e “la Verità assoluta”, “la Morte assoluta”, eccetera, altro non è se non una chiara misinterpretazione degli insegnamenti del Buddha, secondo il quale «ogni verità richiede di essere messa in atto secondo il proprio modo personale» (Batchelor).

I testi antichi testimoniano che gli insegnamenti del Buddha, attraverso un approccio altamente disciplinato, sistematico e individualizzato (Germer), si concentrano sullo scopo unico di alleviare la sofferenza umana senza ricorrere ad un sistema metafisico generale sovraordinato. Quando chiesero al Buddha cosa avesse intenzione di fare con i suoi insegnamenti, egli rispose “sto insegnando l’angoscia e la fine dell’angoscia”. Rispondeva col silenzio alle domande di natura metafisica che i suoi allievi gli ponevano, affermando che l’unico presupposto necessario per realizzare i suoi insegnamenti (dharma) è la libertà. Inoltre, è possibile affermare che non è contenuto nei testi antichi nessun commento ascrivibile al Buddha che noi potremmo tradurre oggi come “dio”, né ha mai parlato in termini di unicità, divinità, dogmi e leggi rivelate (Batchelor).

Un altro aspetto fondamentale è la sua personalità: in questi documenti la figura di Buddha appare quella di un essere umano con tratti di personalità ben definiti, tra cui spicca la sensibilità, la non violenza e l’estraneità verso ogni senso di superiorità.

Non volle dogmatizzare norme e precetti, ribadendo che la Via è come una zattera che aiuta le persone ad attraversare il fiume, e che una volta raggiunta la terraferma non è di alcuna utilità. «Scoraggiò anche la nascita di gerarchie nel gruppo dei suoi allievi. Nella Via non esistono maestri, ma soltanto amici che possono avere una maggiore esperienza. Ci sono infatti molti modi di concepire la Via, ma non c’è un modo migliore dell’altro» (Fabbro, 2011).

Inoltre, è utile ricordare come «gli insegnamenti del Buddha non si rivolsero solo all’élite religiosa del tempo (bramini, nobili e guerrieri), ma a tutti gli esseri umani. Per questa ragione il Buddha si oppose al sistema delle caste: a suo parere non esistono differenze negli esseri umani che lavorano per la propria liberazione.» (Fabbro, 2018).

Lo studioso Richard Gombrich interpreta gli insegnamenti del Buddha in chiave del tutto pragmatica. Egli suggerisce che, a causa delle traduzioni successive la morte del Buddha, oggi vi è una tendenza a dare un significato di “risveglio” e” concentrazione” che è frutto di una interpretazione fuorviante ed esageratamente profonda. In realtà, interpretando gli insegnamenti del Buddha in chiave pragmatica, è possibile vedere la pratica della meditazione di consapevolezza come un metodo per coltivare una personale comprensione intellettuale degli eventi del mondo. Il Buddha sarebbe quindi un motivatore e un maestro che mostra la via, e incentiva i suoi discepoli, verso lo sviluppo della propria facoltà intellettuale, necessaria alla costruzione di una base morale, etica ed intellettuale (Gombrich, 2009).

Buddismo agnostico

Nel 1997 lo scrittore ed ex monaco buddista britannico Stephen Batchelor pubblica il saggio Buddhism Without Beliefs, sviluppando un’analisi sul concetto filosofico di agnosticismo applicato alla cultura buddista, con l’intento di generare una visione più complessa e ricca di questa dottrina.

Innanzitutto, cosa intende l’autore con il termine “agnosticismo”? Il termine “agnostico” oggigiorno ha perso del tutto la sua forza, fino a descrivere quel comportamento di colui che afferma “non lo so e non voglio avere un’opinione al riguardo”: in realtà, questo termine fa riferimento ad una concezione coniata da T.H. Huxley nel 1869 (Science and Christian tradition) in riferimento ad un principio generale che, da Socrate alla Scienza Moderna, ha attraversato l’intero corso della storia occidentale. Tale principio si concretizza in due aspetti: “Segui la tua ragione fino a dove ti porta” (Follow your reason as far as it will take you); “Non considerare una conclusione certa quando non è dimostrata o dimostrabile (Do not pretend that conclusions are certain which are not demonstrated or demonstrable).

Questo principio (“the agnostic faith”) non solo si accorda perfettamente alla condotta del Buddha, ma ne arricchisce il ruolo e la dottrina. Innanzitutto, i suoi insegnamenti (dharma) sono sempre stati concepiti come una pratica, un metodo, e non un sistema chiuso (un -ismo) con potere esplicativo sul mondo: il dharma è qualcosa che si pratica e, posizionandosi su un piano del tutto parallelo rispetto a quello della scienza, non può mai entrare in conflitto con il pensiero scientifico «perché non offre la possibilità di smentire o convalidare nessun fenomeno scientifico. Il dharma si concentra interamente sulla natura dell’esperienza umana».

In secondo luogo, astenendosi completamente dal rivelare verità esoteriche riguardo la realtà fisica e metafisica, il Buddha si è sempre spinto a sfidare i suoi interlocutori in un tentativo condiviso di comprendere la natura della sofferenza umana. Come sottolineato da Stephen Batchelor, alla luce del principio agnostico di T.H. Huxley, è facile interpretare la condotta del Buddha come quella di un uomo mosso da una profonda aderenza a questo principio: rifiutando di considerare vera qualunque conclusione non dimostrata e certa, egli conduce una ricerca collettiva, per delineare un metodo pratico di eliminare la sofferenza umana, al di là di idee preconcette e dogmatiche.

Aderire a questo principio agnostico, per il Buddha, rappresenta un’attitudine generale verso ogni aspetto della vita, che non è da confondere con un approccio scettico: «così come l’agnosticismo ha perso la sua confidenza, cadendo verso lo scetticismo, anche il Buddismo si è teso verso una perdita delle sue caratteristiche essenziali, fino a scadere verso la religiosità» (Batchelor). Al contrario, l’aspetto agnostico arricchisce l’immagine del buddista, smarcandolo definitivamente dalla componente fideistica e dogmatica con cui spesso ed erroneamente si sono interpretati gli insegnamenti del Buddha. Il buddista agnostico non cerca negli insegnamenti del Buddha una risposta alle domande dell’esistenza fisica (dove siamo, cosa esiste dopo la morte, da dove proveniamo) ma delle metafore dell’esistenza che lo aiutano ad avere una consolazione e un confronto. Per tutte le altre domande egli si rivolgerà ad ambiti specifici della conoscenza umana (fisica, biologia, neuroscienze). Egli non è un “credente” nel senso tradizionale del termine («Un buddista agnostico rifiuta l’ateismo tanto quanto rifiuta il teismo») (Batchelor); non cerca verità svelate rispetto ad eventi paranormali e super naturali.

Aspetti conclusivi

Alla luce di quanto detto è possibile affermare alcune considerazioni rispetto alla natura della Mindfulness.

Prima di tutto, la meditazione di consapevolezza da sola non è la chiave con cui accedere ad uno stato di consapevolezza trascendente, di risveglio, ma una pratica calata all’interno di un percorso etico di comportamento pratico ben più ampio (Germer, 2005). E, come abbiamo visto, la posizione che assume questa pratica all’interno dell’ottuplice sentiero, ci ricorda come la meditazione, da sola, non basta e non è sufficiente a condurre le persone verso la consapevolezza.

In secondo luogo, l’inquadramento agnostico della cultura Buddista non si limita a smarcare la meditazione di consapevolezza Mindfulness da qualsiasi interpretazione religiosa e spirituale, ma offre anche una chiave di interpretazione di tutta la cultura Buddista che ne arricchisce gli insegnamenti e ne valorizza gli aspetti essenziali.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Davidson, R. J., Kabat-Zinn, J., Schumacher, J., Rosenkranz, M., Muller, D., Santorelli, S. F., ... & Sheridan, J. F. (2003). Alterations in brain and immune function produced by mindfulness meditation. Psychosomatic medicine, 65(4), 564-570.
  • De Pisapia, N., & Gregucci, A. (2017). Mindfulness: moda o rivoluzione?. Giornale italiano di psicologia, 44(2), 249-270.
  • Fabbro, F. (2018). Identità culturale e violenza. Neuropsicologia delle lingue e delle religioni.
  • Fabbro, F. (2011). Neuroscienze dell’esperienza religiosa e della meditazione. Una versione elettronica in formato PDF di questo volume può essere scaricata gratuitamente dal sito www. unior. it, 17.
  • Fox, K. C., Nijeboer, S., Dixon, M. L., Floman, J. L., Ellamil, M., Rumak, S. P., ... & Christoff, K. (2014). Is meditation associated with altered brain structure? A systematic review and meta-analysis of morphometric neuroimaging in meditation practitioners. Neuroscience & Biobehavioral Reviews, 43, 48-73.
  • Germer, C. K., Siegel, R. D., & Fulton, P. R. (2013). Mindfulness and psychotherapy. The Guilford Press.
  • Gombrich, R. (2018). What the Buddha thought. Motilal Banarsidass.
  • Grossman, P., Niemann, L., Schmidt, S., & Walach, H. (2004). Mindfulness-based stress reduction and health benefits: A meta-analysis. Journal of psychosomatic research, 57(1), 35-43.
  • Huxley, T. H. (1894). Science and Christian tradition. D. Appleton.
  • Lazar, S. W., Kerr, C. E., Wasserman, R. H., Gray, J. R., Greve, D. N., Treadway, M. T., ... & Fischl, B. (2005). Meditation experience is associated with increased cortical thickness. Neuroreport, 16(17), 1893.
  • Stephen, B. (1998). Buddhism Without Beliefs: A Contemporary Guide to Awakening.
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