Di Sarno e colleghi (2018) hanno proposto un’ipotesi di ricerca per comprendere più approfonditamente come mai certi elementi della quotidianità diventano parte della coscienza sotto forma di contenuti consapevoli.
Cos’è la coscienza?
Uno dei costrutti più difficili da definire in psicologia è la coscienza. Haladjian e Montemayor (2016) la definirono come l’esperienza soggettiva di essere consapevoli dei propri pensieri e dei propri sentimenti. Dato che è un concetto complesso, per semplificare il costrutto vengono prese in considerazione due componenti: il livello di coscienza, cioè la vigilanza e il contenuto della coscienza, e la coscienza definita in termini di esistenza intrinseca, composizione, informazione, integrazione ed esclusione (Tononi & Koch, 1668; Di Sarno et al., 2018).
Secondo la teoria dell’informazione integrata (IITC), l’esistenza intrinseca riguarda ogni esperienza che esiste nel qui ed ora, vissuta in modo reale e intrinseco da parte del soggetto che la sperimenta, indipendentemente da chi osserva dall’esterno (Di Sarno et al., 2018). Si parla invece di composizione in quanto la coscienza è strutturata e ogni esperienza viene distinta in base all’esperienza stessa sperimentata dalla persona: ad esempio, posso riconoscere un determinato dipinto, il colore utilizzato e discriminarlo da un altro dipinto in cui si utilizza lo stesso colore. L’informazione riguarda invece la specificità della coscienza, in quanto ogni esperienza è composta da delle distinzioni che differenziano ogni esperienza come diversa e unica. L’integrazione si riferisce all’irriducibilità dell’esperienza, in quanto non può essere scomposta in distinzioni fenomeniche non interdipendenti come i fotogrammi di un film, bensì la coscienza è unificata (Tononi & Koch, 1668; Di Sarno et al., 2018). Infine, l’esclusione riguarda la definizione in termini spazio-temporali della coscienza stessa.
Tutti i sistemi biologici presentano forme di autorganizzazione tali da poter mantenere un’integrità nonostante degli stati fluttuanti (ad esempio, si pensi ai battiti cardiaci o alle oscillazioni dell’attività cerebrale). La teoria di Markov Blanket postula un’interrelazione tra stati interni ed esterni: i primi sono aperti ai secondi in modo che le funzioni energetiche possano essere descritte in termini di credenze probabilistiche, o teorie, codificate dagli stati interni stessi nel rispetto di quelli esterni (Di Sarno et al., 2018). Questo significa che un organismo non segue un modello nel mondo, bensì è esso stesso un modello che minimizza l’entropia dei suoi stati interni attraverso l’interazione dei sottosistemi neurali, differenziati e organizzati gerarchicamente (Ramstead et al., 2017; Sperandeo et al., 2017).
Su cosa si basa la coscienza?
Ma l’uomo come può essere consapevole della sua coscienza, organizzandola in diversi gradi e diventando così un modello funzionale del mondo in cui vive? Probabilmente grazie alla memoria. Numerosi lavori scientifici sono stati pubblicati negli ultimi anni, mettendo in relazione la coscienza e la memoria di lavoro con il fine di comprendere se gli elementi memorizzati fossero consci (Baddeley, 2003) o inconsci (Soto et al., 2011; Stein, Kaiser & Hesselmann, 2016; Di Sarno et al., 2018). La memoria gioca un ruolo fondamentale per l’adattamento dell’uomo, in quanto permette la formazione identitaria del soggetto: senza essere in grado di ricordare che cosa ci succede o che cosa sperimentiamo, il nostro essere può essere compromesso in modo significativo (Di Martino, 2016; Sperandeo et al., 2016; Sperandeo et al., 2017).
Partendo dalla letteratura che conferma il ruolo della memoria nella strutturazione dell’esperienza conscia, al contrario della memoria di lavoro che mostra come alcuni elementi siano interiorizzati in modo inconscio, Di Sarno e colleghi (2018) hanno proposto un’ipotesi di ricerca per comprendere più approfonditamente (attraverso un’esperienza immersiva con l’utilizzo della realtà virtuale) come mai certi elementi della quotidianità diventano parte della coscienza sotto forma di contenuti consapevoli (Di Sarno et al., 2018). Per quanto riguarda i questionari, raccomandano la somministrazione di un test neurocognitivo come la Repeatable Battery For Neuropsychological Status (RBANS, Randolph et al., 1998) per valutare l’integrità delle funzioni cognitive dei partecipanti. È consigliato il Minnesota Multiphasic Personality Inventory-2 – Restructured Form (MMPI 2-RF; Sirigatti & Faravelli, 2012) per escludere la presenza di disturbi di personalità o di una sintomatologia che può inficiare lo studio. Una volta valutati questi aspetti, viene fornito un visore ai partecipanti, dove delle scene con stimoli neutri pian piano si sviluppano in scene più articolate e con dei contenuti emotivi più evidenti (l’esempio riportato descrive un soggetto che sorride mentre guarda il partecipante della ricerca). Gli autori dell’esperimento ipotizzano che a determinare tale consapevolezza degli elementi sia proprio la qualità degli stimoli interiorizzati: vivere un’esperienza vivida con la realtà virtuale, come sguardi, sorrisi e gesti, significativamente rilevanti, potrebbe attivare dei contenuti inconsci interiorizzati nella memoria di lavoro. Di conseguenza, dirigere l’attenzione in modo consapevole su questi elementi potrebbe rendere uno stimolo conscio, ipotizzando che il soggetto tenderà a ricordare una serie di dettagli ed elementi in modo direttamente proporzionale alla valenza emotiva dello stimolo osservato (Di Sarno et al., 2018). Svolgere questo esperimento non solo potrebbe essere utile per comprendere meglio come funziona la memoria o come quest’ultima sia correlata alla coscienza, bensì potrebbe apportare dei benefici in ambito terapeutico per quanto riguarda la strutturazione identitaria di un individuo in base a stimoli salienti o emotivi, percepiti come determinanti per la sua individualità.