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Tutto è così e sempre tale resterà. La convinzione nel panorama delirante

I deliri sono ricchi di sfumature ed infinitamente variabili nel loro contenuto, presentano una plasticità in rapporto alle esperienze di ciascun soggetto

Di Cristi Marcì

Pubblicato il 08 Apr. 2022

Secondo Jaspers il delirio lascia intravedere una frantumazione delle forme basilari della propria esperienza, in quanto avviene una trasformazione globale della coscienza di realtà del soggetto stesso.

 

La formazione, l’elaborazione ed il mantenimento dell’idea delirante si correla all’espressione di numerose influenze causali convergenti, ciascuna delle quali esercita un’influenza diversa nell’evoluzione della convinzione (Roberts1992).

Il processo di ragionamento nel trarre delle conclusioni relative ad una situazione esterna e/o ambientale risulta nettamente alterato nel soggetto delirante.

Il rischio dunque è che si venga a delineare quello che più comunemente viene definito “salto alle conclusioni”, un processo che riflette un nesso causale “troppo ovvio in un quadro probabilistico” (Huq 1988).

Quanto si riscontra è una modalità abnorme e distorta nell’elaborare le informazioni con le quali l’individuo entra a contatto, e dalle quali risulta toccato a livello emotivo.

L’anomalia del ragionamento e della percezione si correla inoltre con un ulteriore fattore: ossia l’incapacità di fare uso delle conoscenze acquisite in precedenza, possibilmente riguardanti il mondo, le relazioni e il proprio modo di viverle; con la drammatica conseguenza che le stesse informazioni disponibili possono essere soggette ad una ri-formulazione delirante (Garety 1991).

Una chiave di lettura aggiuntiva circa la natura del delirio deriva dal contributo di Kaney e Bentall (1989, 1992).

Gli autori infatti, tramite la teoria dell’attribuzione sociale, hanno riscontrato come i soggetti deliranti tendano ad estendere in maniera eccessiva il contenuto di un evento negativo, generando in tal modo attribuzioni globali annesse ad attribuzioni stabili e pertanto necessariamente esistenti.

Ma quanto conta il proprio passato e il proprio stile nel guardare e valutare il mondo?

Questi disturbi del pensiero sono legati sia al significato personale sia al confine del sé, infatti nello specifico l’attribuire qualcosa in maniera estesa e globale, spesso sottende l’impiego di prove ovvie connesse ad una lente intrapsichica con la quale l’individuo si è sempre mosso nel mondo.

La formazione delirante infatti si configura spesso come un meccanismo adattivo tramite il quale combattere la mancanza di solitudine, la disperazione, il senso di inferiorità e non ultima la consapevolezza dolorosa della rottura delle relazioni; procurando nondimeno un nuovo senso di identità, dietro il quale tuttavia si cela una rottura psicotica tra il proprio mondo intrapsichico ed interpersonale.

Si innesca così un nuovo modo di guardare il mondo, una nuova lente, che seppur disfunzionale, tuttavia promuove una nuova modalità autoregolatrice.

Il delirio è una convinzione?

Nella letteratura cognitiva e filosofica il concetto di convinzione viene di solito considerato un atteggiamento proposizionale in cui si assume che qualcosa sia vero, ma più nello specifico viene da chiedersi se il delirio rifletta una “falsa convinzione” o al contrario se il delirio possa essere percepito come esempio di convinzione o di asserzione sulla realtà.

Secondo Jaspers infatti il delirio lascia intravedere una frantumazione delle forme basilari della propria esperienza, in quanto avviene una trasformazione globale della coscienza di realtà del soggetto stesso (Jaspers 1963, Schneider, 1950).

Ciò che si modifica non è tanto la propria opinione sulla realtà, quanto la struttura stessa della prospettiva globale sul mondo: la cornice ontologico-esistenziale della persona. Tale cornice pertanto subisce modifiche accompagnate da distorsioni inerenti i parametri spaziali, temporali e identitari.

La propria “evidenza delirante” deriva principalmente da un’esperienza “sentita” che diviene il riferimento di un senso privato, assoluto e insostituibile.

Una certezza che non solo ha radici lontane nel tempo ma che risulta assoluta sin dall’inizio: “il senso di insicurezza dell’umore delirante è di per sé assolutamente sicuro” (Muller Suur 1950) e ciò che è stato, è e sarà per sempre.

Il palcoscenico emotivo e il delirio di infedeltà

I deliri risultano ricchi di sfumature ed infinitamente variabili nel loro contenuto, presentano una plasticità in rapporto alle esperienze di ciascun soggetto. Nondimeno infatti emerge un retroterra emotivo, che a differenza della forma, richiama un background culturale, intimo ed esperienziale del soggetto stesso.

Tra quelli maggiormente disturbanti e che spesso inficiano la vita relazionale dei soggetti, il delirio di infedeltà è quello che più di tutti riflette la presenza di una convinzione di fondo.

Accompagnato pertanto da una gelosia morbosa, questo disturbo del contenuto descritto da Ey (1950) presenta varie sfumature e/o sfaccettature: può dispiegarsi infatti in concomitanza di un’idea dominante, uno stato d’ansia e non ultimo uno stato depressivo.

Il sentimento di gelosia associato alla sensazione che l’oggetto amato “mi appartenga” descrive non solo un forte legame con un’altra persona, ma al contempo un pensiero che, se abnorme, può innescare una morbosità vera e propria.

Ma come si può distinguere una gelosia comprensibile e spesso fisiologica da un’altra chiaramente delirante?

A tal proposito Mullen (1997) ha classificato la gelosia morbosa tra i “disturbi passionali”, in cui prevalgono un senso esasperato di detenere un diritto e la convinzione che altri stiano “ledendo questo stesso diritto”.

Il rischio dunque è quello di costruire la propria identità e il proprio modo di sentire e percepire esclusivamente in funzione di una convinzione predominante; una convinzione che purtroppo innesca il desiderio di riaffermare ed esercitare il proprio controllo sull’altro al fine di punire la sua trasgressione.

In questa specifica sfumatura la convinzione delirante può non essere accompagnata da una rottura psicotica (Todd 1955).

Il profilo psicologico che si delinea risulta quello di una persona che dirige il proprio contenuto delirante nei confronti del partner, rispetto al quale sente un profondo attaccamento e da cui sovente risulta emotivamente dipendente.

Qualora la gelosia comprensibile si trasformi in morbosità emerge la convinzione che vi sia una minaccia al possesso esclusivo.

L’idea prevalente come alternativa al delirio

Un’idea prevalente è un’idea accettabile, comprensibile, perseguita al di là dei limiti della ragione. Di solito è associata con un profilo di personalità ossessivo – compulsiva, in cui il pensiero risulta alterato, ripetitivo e spesso dai connotati ritualistici.

Secondo McKenna (1984) con questo termine ci si riferisce ad una “credenza solitaria e abnorme” che tuttavia non risulta delirante ma è preoccupante per il grado in cui domina la vita di chi ne è affetto.

È prevalente in quanto provoca e determina un modo del tutto disturbato di funzionare o peggio ancora uno stato di sofferenza al soggetto e agli altri.

In concomitanza al delirio, quello che accomuna entrambi i quadri psicopatologici è il proprio background retrostante, un retroterra emotivo rispetto al quale il proprio modo di muoversi nel mondo non permette di accogliere nuove chiavi di lettura, se non appunto quella dominante, la sola ed unica.

Infatti le nuove chiavi di lettura non sono soggette ad una possibile revisione e/o acquisizione, bensì risultano soltanto secondarie a quella principale, a quella prevalente.

Quest’ultima infatti innesca un perno attorno al quale la vita e l’identità dell’individuo prendono vita, plasmando il suo modo di vedere, sentire ed agire nel mondo.

Rispetto a quest’ultimo, viene da chiedersi quale criterio di giudizio prevalga nella persona che lo esprime in riferimento a qualcosa.

Un giudizio è infatti un pensiero che esprime una visione della realtà, nondimeno per coglierne la differenza con l’idea prevalente bisognerebbe metterlo a confronto con il dato obiettivo.

Può quindi un’idea prevalente sfociare in un giudizio erroneo della realtà innescando un disturbo del contenuto del pensiero?

A tal riguardo la valutazione viene fatta non solo in base ad una propria credenza, bensì prendendo in esame la totalità del comportamento del soggetto in questione.

La natura del convincimento può concretizzarsi in una sentenza definitiva? Oppure al contrario essere flessibile e soggetta ad una ragionevole revisione?

La prestazione psichica richiesta per produrre un delirio è piuttosto indipendente dall’intelligenza, infatti il delirio prende vita in uno stato di coscienza lucido e la facoltà di giudizio può essere correlata alla capacità di ragionamento logico intrinseca del soggetto, sempre più propenso a difendere il suo convincimento.

Ma il suo ragionamento è idoneo e applicabile a tutte le sfere inerenti la sua vita?

Spesso infatti il modo in cui il paziente vive conferma la presenza di una distorsione avente radici lontane nel tempo, ossia da premesse correlate ad esperienze pregresse che promuovono idee e convinzioni distorte ed emotivamente disfunzionali.

Sulla base di una premessa distorta si costruisce una logica basata su quest’ultima, ossia una logica erronea e lontana dalla realtà di fatto.

Nondimeno lo stato emotivo sembra influenzare notevolmente il contenuto, di modo che la credenza errata diviene lo sviluppo logico derivante da un’anormalità estrema dell’umore.

Realtà, giudizio e percezione del mondo

Il reale viene solitamente definito come ciò che esiste indipendentemente dai nostri atti coscienti (fantasie o immaginazione) e in chiave fenomenologica la realtà riflette un “mondo vissuto”, un mondo intriso di significato, rilevanza ed obiettività.

Veri e propri ingredienti che nel loro insieme risultano co- costruiti dalla propria inter soggettività, connotata di dimensioni culturali, sociali e simbolico – comunicative (Parnas, Sass, 2008).

Nello specifico infatti la realtà non si affaccia ai nostri occhi quale semplice entità fisica, bensì come uno sfondo rispetto al quale le nostre radici di natura affettiva danno vita ad un orizzonte preriflessivo affettivo esistenziale che fa da cornice ai nostri rapporti quotidiani con gli oggetti, le situazioni e gli Altri (Husserl 1982).

Le emozioni e gli stati d’animo ci mettono in connessione con il mondo in modo “comprensibile” (Heidegger 1996) in quanto emerge un modo di “essere al nel mondo”.

L’affettività infatti comporta un tacito dispiegarsi nel mondo stesso, rispetto al quale il giudizio dispiega una credenza e/o un atteggiamento proposizionale nei confronti di un determinato stato di cose presenti nel mondo, tra cui le proprie esperienze passate in funzione delle quali rischiamo di vivere quelle presenti: dando vita così ad una lente certa e definitiva.

In cui il nostro vissuto sarà l’unico porto da cui far salpare il nostro modo di guardare, percepire e sognare un futuro.

 

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Cristi Marcì
Cristi Marcì

Psicologo, Specializzando in Psicoterapia

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ey,H., (1950), “Jalousie morbide”. In Etudes psychiatrique vol II. De Brownan, Paris.
  • Garety, P., (1991), “Reasoning and delusions”. In British Journal of Psychiatry, 159, pp. 14 - 18
  • Jaspers 1963, Schneider, (1950), in “Cent’anni di psicopatologia generale di karl jaspers”, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2016
  • Heidegger, M., (1996), “Being and Time”, Trad. it Essere e Tempo, Longanesi Milano 1997.
  • Huq, Et, Al., (1988), “Probabilistic judgement in deluded and non deluded subjects”. In Quarterly Journal of Experimental Psychology, 40 A, pp 801 - 812
  • Husserl, E., (1982), “ideas Pertaining to a Pure Phenomenology and to a Phenomenological Philosophy, vol 1, trad. it, Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fewnomenologica, vol 1, Einaudi Editore, Torino 2002.
  • Kaney, S., Bentall, R, P., (1989), “Persecutory delusions and attributional style”. In British journal of Medical Psychology, 62, pp. 191 - 198
  • Kaney, S., Bentall, R, P., (1992), “Persecutory delusions and the self – serving bias: Evidence from a continuing judgement task”. In Journal of Nervous and Mental Disease, 180, pp. 773 - 780
  • McKenna, P, J., (1984), “Disorders with overvalued ideas”. In British Journal of Psychiatry, 145, pp. 579 - 585
  • Mullen, P, E., (1997), “Disorders of Passions”. In Bughra, D., Troublesome Disguises: Underdiagnosed Psychiatric Syndromes. Blackwell Scientific, Oxford
  • Muller, S., (1950), “Das Gewissheitsbewusstsein beim schizophrenen Wahnerleben, in Fortschritte der Neurologie Psychiatrie und ihrer Grenzgebiete”, 18, pp. 44 – 51.
  • Parnas, J., Sass, L, A., (2008), “Varieties of Phenomenology” On Descripstion, Understanding and Explaination in Psychiatry, in Kendler, K., Hopkins University Press baltimore, pp. 239 - 277
  • Roberts, G., (1992), “Delusional belief systems and meanining in life: A preferred relity”. In British Journal of Psychiatry, 159, pp 19 - 28
  • Todd, J., (1955), “The Otello syndrome”. In Journal of Nervous and Mental Diseases, 122, pp. 367 - 374
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