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ll terapeuta sotto pressione (2021) di Christopher J. Muran e Catherine F. Eubanks – Recensione

'll terapeuta sotto pressione' propone procedure e tecniche per gestire le crisi relazionali in terapia secondo modalità clinicamente interessanti

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 11 Mar. 2022

ll terapeuta sotto pressione. Riparare le rotture dell’alleanza terapeutica: un lavoro benvenuto che chiarisce una serie di problemi connessi con la realizzazione di quella psicoterapia integrata che molti invocano, aiutando a evitare le secche di un generico, ecumenico e irenico eclettismo che rischia di deteriorare il livello della pratica clinica.

 

Il libro ll terapeuta sotto pressione. Riparare le rotture dell’alleanza terapeutica di Christopher J. Muran e Catherine F. Eubanks pubblicato nel 2021 da Cortina è la traduzione italiana di Therapist performance under pressure. Un lavoro benvenuto che chiarisce una serie di problemi connessi con la realizzazione di quella psicoterapia integrata che molti invocano, aiutando a evitare le secche di un generico, ecumenico e irenico eclettismo che rischia di deteriorare il livello della pratica clinica. Nel Terapeuta sotto Pressione Muran e Eubanks proseguono e allargano il concetto di rottura e riparazione già elaborato precedentemente da Safran e dallo stesso Muran, collegandolo a una serie di dati provenienti dallo studio delle emozioni e della relazione in modelli i più disparati, dalla psicoanalisi al cognitivismo passando attraverso le neuroscienze e senza dimenticare gli orientamenti umanistici.

Si potrebbe temere un eclettismo teorico che abbiamo già visto in molti altri modelli oscillanti tra il funzionalismo metacognitivo e l’interpersonalismo dinamico ma Muran e Eubanks schivano il rischio fornendo procedure di accertamento delle crisi relazionali, le rotture, e tecniche di gestione delle stesse crisi, le riparazioni. Per questa strada accettano la sfida dell’efficacia e soprattutto della maggiore efficacia, non accontentandosi dell’anti-progressivo verdetto del Dodo, verdetto che in alcune sue possibili implicazioni minaccia di ridurre la psicoterapia a una disciplina che non contempla di migliorare nel tempo. Al contrario, Muran e Eubanks esprimono apertamente l’ipotesi, fornendo alcune conferme empiriche che gli esiti psicoterapeutici migliori siano quelli che seguono a episodi di rotture e riparazione, mentre psicoterapie prive di episodi simili avrebbero risultati meno significativi.

Considero questa ipotesi di Muran e Eubanks una svolta importante perché pone fine a molti equivoci, primo tra i quali lo status di quello che può finalmente iniziare a chiamarsi il paradigma relazionale in psicoterapia. Status che finora si era sempre presentato con diplomatica ambiguità, mai chiaramente dichiarandosi come orientamento a sé stante e onestamente in concorrenza con gli altri e quindi intenzionato a dimostrare la propria prevalenza scientifica. Si presentava semmai come una prospettiva integrata più che un orientamento, diffusa come un fattore comune in tutti gli orientamenti, ma mai davvero indipendente, e che combinava fonti cliniche e scientifiche disparate e in quanto tale utilizzabile all’interno degli altri orientamenti come una sorta di ingrediente universale che dava sapore a tutto senza però tentare di estromettere nessuno dalla scena. In tal modo la prospettiva relazionale si presenta non come un modello scientifico da testare ed eventualmente da adottare come quello vero, ma come una buona pratica utilizzabile all’interno degli orientamenti classici per migliorarne l’applicabilità concreta ed eventualmente essere usato in situazioni di emergenza con pazienti particolarmente impegnativi. In un certo senso, una tecnica nel vero senso della parola (malgrado la diffidenza che alcuni appassionati di relazione nutrono verso la tecnica), ovvero una pratica che non implica una teoria da essa distinta.

Muran e Eubanks, invece, fornendo procedure concrete di applicazione del loro approccio relazionale e, inoltre, proponendo esplicitamente (con conferme empiriche, beninteso, sebbene non ancora conclusive) che la loro strada fornisce quell’incremento di efficacia che ormai manca da decenni alla psicoterapia e che questo benedetto incremento passi attraverso lo studio delle crisi relazionali e le loro riparazioni, sembrano assumersi la responsabilità scientifica della loro proposta: un orientamento relazionale specifico di psicoterapia e non una generica prospettiva, un orientamento che non si appoggi solo a variabili di tipo neuro-scientifico come la conoscenza incarnata, ma definisca operativamente e confermi variabili intermedie che diano conto non solo del funzionamento mentale, ma anche della disfunzionalità clinica e del funzionamento della terapia.

Questo doppio merito, concretezza operativa e chiarezza teorica, che evita la confusione tra una prospettiva relazionale onnipresente in tutti gli altri orientamenti e che tende a confondersi con i fattori comuni presenti in tutte le terapie, non implica che il libro di Muran e Eubanks sia utile solo a chi legittimamente creda a questo nuovo orientamento terapeutico e nella sua autonomia e specificità di modello relazionale indipendente. Il libro è utile anche a chi continua a seguire le strade degli altri modelli, quelli cognitivi, psicodinamici e umanistico esperienziali. È utile perché effettivamente il libro propone a tutti noi clinici una serie di procedure e di tecniche che, anche per il terapeuta che non aderisce al paradigma relazionale, possono essere utili per gestire le crisi relazionali in terapia secondo modalità clinicamente convincenti e interessanti.

È vero che, come ammettono gli stessi Muran ed Eubanks, in alcuni orientamenti, come ad esempio quello cognitivo, la crisi relazionale è gestibile applicando interventi di contenimento relazionale di tipo validante e accogliente e al tempo stesso attendista mentre il modello di Muran e Safran richiede esplicitamente che la crisi sia sempre espressa, accertata e trattata apertamente nei suoi termini interpersonali e non solo di eventuale disaccordo sugli obiettivi o sui mezzi terapeutici.

Anche questo passaggio contribuisce a chiarire la posizione di Muran ed Eubanks, rendendola molto più leggibile rispetto a quella delle varie prospettive relazionali che, al contrario, tendono a stirare o comprimere l’intervento relazionale a fisarmonica, rendendolo ora onnicomprensivo e ora estremamente focalizzato. Al contrario Muran ed Eubanks sembrano optare per la focalizzazione operativamente chiara sulla relazione come riflessione congiunta ed esplicita tra terapeuta e paziente, delle dinamiche interpersonali come strada maestra del miglioramento terapeutico. Il che però, vale la pena ripeterlo, non rende questo libro inutilizzabile per chi non ritiene che questa strada maestra passi per un percorso relazionale. Quella strada può essere percorsa in circostanze eccezionali anche da chi preferisce altri sentieri nei casi in cui il paziente o la terapia lo richiedano: è verissimo che possono esserci pazienti con i quali la psicoterapia si arena per motivi squisitamente relazionali tra paziente e terapeuta, per una rottura interpersonale. In questi casi imparare la lezione di Muran ed Eubanks può essere utile per tentare di superare l’intoppo.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Muran, C., J & Eubanks, C., F. (2021). Il terapeuta sotto pressione. Riparare le rotture dell’alleanza terapeutica. Raffaello Cortina Editore.
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