Il disturbo schizo-ossessivo è caratterizzato da criteri diagnostici che includono una presenza significativa di sintomi ossessivi e sintomi psicotici positivi, negativi e cognitivi.
L’1% della popolazione generale è affetta da schizofrenia, mentre il 2-3% presenta un disturbo ossessivo-compulsivo (Scotti-Muzzi & Saide, 2016). Mentre il primo è un disturbo psicotico, nel DSM IV (APA, 1994) il disturbo ossessivo-compulsivo era inserito all’interno della categoria dei disturbi ansiosi.
Scotti-Muzzi e Saide (2016) hanno proposto un articolo di aggiornamento sul disturbo dello spettro schizo-ossessivo, con il fine di indagare una nuova prospettiva sui marcatori endofenotipici, utile a comprendere il substrato dei disturbi menzionati e le sue relazioni.
Che cos’è il disturbo schizo-ossessivo
Per quanto riguarda l’epidemiologia, i ricercatori hanno trovato in letteratura uno studio longitudinale svolto su un campione contenuto in un registro di tre milioni di persone seguite per 17 anni: dei 30.556 pazienti con un disturbo dello spettro schizofrenico, a 700 (2.29%) di essi è stato formulato il DOC come prima diagnosi. Alcuni studi contemporanei (Fenton & McGlashan, 1986, come citato in Scotti-Muzzi & Saide, 2016) documentano una frequente comorbilità tra sintomi ossessivi e schizofrenia: nello specifico, il 25% delle persone che hanno una diagnosi formulata di disturbo psicotico presentano una comorbilità con i sintomi ossessivi, tali sintomi vengono presentati nel 17% dei casi durante il primo episodio psicotico, mentre il 12% presenta una comorbilità con il DOC vero e proprio (Schirmbeck & Zink, 2013). Nel 1994, lo stesso anno in cui fu pubblicata la quarta edizione del DSM, fu coniato il termine ‘schizo-ossessività’ da Hwang e Opler (1994). Poyurovsky e Koran (2005) hanno esaminato i disturbi dello spettro ossessivo-schizofrenico, includendo il DOC, DOC con scarso insight, DOC in comorbilità con il disturbo schizotipico, DOC e schizofrenia e schizofrenia pura (Scotti-Muzzi & Saide, 2016). La visione di questi due disturbi è stata corroborata nell’ultima edizione del DSM (APA, 2013), dove viene riconosciuta l’esistenza del cosiddetto disturbo dello spettro schizofrenico (Phillips et al., 2010, come citato in Scotti-Muzzi & Saide, 2016). Poyurovsky e colleghi (2005) hanno proposto così l’esistenza di una nuova e presunta entità clinica, chiamata disturbo schizo-ossessivo, stabilendo un insieme provvisorio di criteri diagnostici che includono una presenza significativa di sintomi ossessivi e sintomi psicotici positivi, negativi e cognitivi (Scotti-Muzzi & Saide, 2016). I criteri diagnostici ipotizzati sono i sintomi del DOC riportati nel criterio A del DSM 5 (APA, 2013), dove il contenuto delle ossessioni e delle compulsioni è correlato a deliri e allucinazioni (ad esempio, lavarsi compulsivamente le mani in risposta ad allucinazioni uditive) e dove i sintomi ossessivi sono presenti per un tempo sostanziale nella fase prodromica, attiva e/o residua della schizofrenia (Poyurovsky et al., 2012). Inoltre, le ossessioni e le compulsioni sono presenti per almeno un’ora al giorno e causano stress e invalidazioni quotidiane alla persona che le sperimenta (Scotti-Muzzi & Saide, 2016).
Dal punto di vista fenomenologico, i deliri e le ossessioni presentano delle caratteristiche distintive, come l’egodistonia e la presenza dell’insight nel DOC, utile a riconoscere le ossessioni e le compulsioni come eccessive in alcuni casi. Nonostante non sia presente il sottogruppo schizo-ossessivo nella nomenclatura esistente, tale sottotipo viene integrato da parte di un grosso gruppo di ricerca (Tumkaya et al., 2009; Catapano et al., 2013, come citato in Scotti-Muzzi & Saide, 2016) lungo un continuum tra ossessioni e deliri, grazie alla specifica ‘con scarso insight’. A favore di questa ipotesi, nella clinica si osservano pazienti con DOC in comorbidità con il disturbo schizotipico di personalità, persone con un andamento maggiormente deteriorato, con insight scarso e con più sintomi negativi e resistenza al trattamento (Scotti-Muzzi & Saide, 2016).
Le basi neurobiologiche del disturbo schizo-ossessivo
I substrati neurobiologici di questi due disturbi sono relativi al neurosviluppo: in letteratura sono state identificate delle anomalie fronto striatali, nello specifico nel talamo e nell’amigdala (Cummings, 1993). Per l’appunto, le connessioni dissociate nella corteccia prefrontale e orbitofrontale sono state osservate in entrambe le condizioni, dove la serotonina gioca un ruolo centrale. A differenza del DOC, recenti studi fMRI mostrano come vi sia una ridotta connettività funzionale dell’intero cervello guidata da alcune aree prefrontali, come il giro frontale inferiore sinistro (IFG) nei pazienti schizofrenici (Li et al., 2010, come citato in Scotti-Muzzi & Saide, 2016), che porta ad un’organizzazione disturbata delle funzioni cerebrali durante i processi linguistici.
Sono stati svolti degli studi per comprendere se ci fosse un substrato genetico comune tra DOC e schizofrenia: numerosi studi evidenziano come diversi polimorfismi, come il Val66Met associato a sintomi ossessivi nella schizofrenia o polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) coinvolti nella trasmissione glutammatergica implicata nel DOC, possano conferire una suscettibilità ai pazienti schizofrenici durante il trattamento con Clozapina (Hashim et al., 2012; Arnold et al., 2006, come citato in Scotti-Muzzi e Saide, 2016)
Ci sono prove sufficienti che dimostrano la rilevanza clinica di potenziare i disturbi dello spettro schizo-ossessivo. Tuttavia, si sa ancora poco sulla genetica, sugli aspetti neurocognitivi così come sulle strategie di trattamento farmacologico che possono rivelarsi efficaci. Allen e colleghi (2009) hanno trovato in letteratura degli endofenotipi correlati alla schizofrenia, dove i marcatori più forti includevano il volume ventricolare, il volume del piano temporale, il volume del giro temporale superiore, alterazioni di P50, P300 e P400 negli ERP e deviazioni neuromotorie. Per quanto riguarda il DOC, la fMRI e le prestazioni comportamentali suggeriscono marcatori come flessibilità cognitiva, processo decisionale, inibizione motoria, comportamenti ripetitivi, scarsa risoluzione dei conflitti e deficit nella risposta. Per le ricerche future, gli autori ipotizzano come i marcatori endofenotipici siano uno strumento promettente per comprendere meglio il substrato dello spettro schizo-ossessivo, nonché per convalidarne una potenziale esistenza (Scotti-Muzzi & Saide, 2016).