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Efficacia delle terapie psicologiche per la sindrome dell’intestino irritabile (IBS): una metanalisi

La sindrome dell'intestino irritabile evidenzia l'interazione intestino-cervello quindi, se i farmaci non sono efficaci, si consigliano terapie psicologiche

Di Francesca Naldi, Helga Cristina Avellis, Gloria Vecchi

Pubblicato il 11 Feb. 2022

La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) è una condizione gastrointestinale cronica che colpisce fino al 10% delle persone (Lovell & Ford, 2012). Nel Regno Unito, tra le linee guida per la gestione dell’IBS, è raccomandato l’invio a interventi psicologici in pazienti che non traggono benefici dal trattamento farmacologico

 

La sindrome dell’intestino irritabile

La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) è una condizione gastrointestinale cronica che colpisce fino al 10% delle persone (Lovell & Ford, 2012). Storicamente soleva essere definita come un disturbo funzionale gastrointestinale, ma più recentemente è stata riconosciuta come un disturbo dell’interazione intestino-cervello. La fisiopatologia è multifattoriale e comprende una motilità gastrointestinale disturbata, un’ipersensibilità viscerale e un’elaborazione alterata del sistema nervoso centrale (SNC), ma i meccanismi con cui questi processi interagiscono sono ad oggi di incerta origine e, di conseguenza, la sindrome dell’intestino irritabile è difficile da gestire clinicamente (Holtmann & Ford, 2016). Questa condizione cronica ha un impatto considerevole sul funzionamento sociale e sulla qualità della vita. Infatti, il grado di compromissione tra i pazienti con sindrome dell’intestino irritabile è simile a quello osservato nei pazienti con disturbi organici del tratto gastrointestinale come, ad esempio, le malattie infiammatorie intestinali. In studi controllati randomizzati (RCT) aventi come soggetti pazienti con sindrome dell’intestino irritabile, sono stati testati numerosi farmaci autorizzati e non autorizzati, quali neuro-modulatori intestinali, antidepressivi triciclici, farmaci che agiscono sui recettori della serotonina e farmaci che agiscono sui canali ionici dell’enterocita intestinale (Black et al., 2020b).

Tuttavia, molti pazienti sono risultati refrattari alla gestione medica. Poiché la sindrome dell’intestino irritabile è stata riconosciuta come un disturbo dell’interazione intestino-cervello, si sta quanto mai comprendendo come la comorbidità psicologica possa avere un impatto sulla funzione gastrointestinale e viceversa, nonostante i meccanismi di causa-effetto rimangano poco chiari. Nel Regno Unito, il National Institute for Health and Care Excellence, tra le linee guida per la gestione della sindrome dell’intestino irritabile, raccomanda ai medici di considerare l’invio a interventi psicologici in pazienti che non traggono benefici dal trattamento farmacologico (Hookway et al., 2015). Tra gli interventi consigliati vi sono l’ipnosi e la terapia cognitivo-comportamentale (CBT). Black et al. (2020a) hanno condotto una meta-analisi per stimare l’efficacia relativa alle terapie psicologiche per la cura della sindrome dell’intestino irritabile. Gli articoli utilizzati nella meta-analisi sono stati selezionati tramite una ricerca su MEDLINE (articoli dal 1947 a gennaio 2020), EMBASE, EMBASE Classic (articoli dal 1947 a gennaio 2020), PsycINFO (dal 1806 a gennaio 2020) e dal registro centrale di studi controllati condivisi sulla piattaforma Cochrane.

Per selezionare gli articoli sono stati utilizzati diversi criteri di eleggibilità.

I trattamenti psicologici per la sindrome dell’intestino irritabile

In primo luogo sono stati inclusi solo studi di sperimentazione randomizzata controllata (RCT), ovvero con almeno due gruppi: uno sottoposto al trattamento ed uno di controllo.

I partecipanti dei paper selezionati dovevano avere un minimo di 18 anni ed una diagnosi di Sindrome da Colon Irritabile (IBS), basata sul parere di un medico o su criteri diagnostici sintomatici accettati (criteri di Manning, punteggi di Kruis, criteri di Rome I, II, III or IV) (Fig. 1), supportati da ricerche confermative qualora fossero necessarie. Era inoltre fondamentale che le terapie psicologiche si potessero confrontare tra di loro o che si potesse fare un intervento di controllo rispetto a: lista d’attesa, educazione e/o supporto rispetto alla malattia, consigli dietetici e/o sullo stile di vita o cure di routine.

Sindrome dell intestino irritabile efficacia delle terapie psicologiche FIg 1

Fig. 1: Esempi di criteri IBS. Gandolfi (2004) 

Il minimo di durata del trattamento doveva essere di 4 settimane. I soggetti dovevano essere sottoposti ad un follow up di 4 settimane e gli studi, dopo il completamento della terapia,  dovevano riportare una valutazione globale della risoluzione o miglioramento dei sintomi della sindrome dell’intestino irritabile, risoluzione o miglioramento del dolore addominale, preferibilmente riferito dal paziente, da un questionario o da un medico.

Il primo risultato valutato è stata l’efficacia di tutte le terapie psicologiche e degli interventi di controllo per la cura della sindrome dell’intestino irritabile, in termini di effetto sui sintomi globali o sulla riduzione del dolore addominale dopo il completamento della terapia.

I risultati secondari ricercati, includevano gli eventi avversi che si verificano a seguito di una terapia. Per quanto riguarda tutti gli studi inclusi gli autori hanno raccolto anche dati anagrafici quali: paese di origine, strutture di cura a cui si sono rivolti, tipo esatto di terapia psicologica utilizzata (compresa la durata della terapia e il numero di incontri previsti) criteri utilizzati per la diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile, l’indice per definire il miglioramento o la risoluzione dei sintomi dopo la terapia, la durata del follow-up, la percentuale di pazienti di sesso femminile e se i ricercatori avessero reclutato solo pazienti i cui sintomi erano refrattari alla terapia medica standard.

Conclusioni

Dalla meta-analisi è emerso che esistono prove a sostegno dell’efficacia delle terapie psicologiche, nello specifico rispetto agli interventi di CBT auto-somministrata a contatto limitato, CBT in presenza e l’ipnosi, in relazione alla riduzione a lungo termine della sintomatologia legata alla diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile.

Per quanto concerne l’efficacia delle terapie psicologiche in pazienti con sintomi refrattari, la CBT di gruppo e l’ipnosi si sono rivelate più efficaci di entrambi i trattamenti usati nei gruppi di controllo, ovvero supporto o cure di routine. Le terapie psicologiche con minor evidenza di efficacia a lungo termine sono risultate essere la CBT auto-somministrata o a contatto limitato, le terapie focalizzate sulla gestione dello stress, la CBT telematica, la CBT online, sessioni di ipnosi individuale e di ipnosi di gruppo. Negli studi selezionati, la presenza o assenza di comorbilità psicologiche non è stata valutata come predittore di risposta al trattamento, rendendo difficile comprendere il ruolo/impatto dell’umore rispetto all’efficacia delle terapie valutate. In conclusione, offrire terapie psicologiche che accompagnino la normale gestione medica non solo può avere degli effetti positivi sulla sintomatologia ma può ridurre l’utilizzo non necessario dell’assistenza sanitaria.

 

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