Come già ampiamente riportato, la diffusione del COVID-19 ha comportato delle conseguenze dannose per la salute mentale delle persone (Greenberg et al., 2020).
Oltre alla paura costante di essere infettati, vergogna e senso di colpa sembrano avere un ruolo principale nello scenario pandemico. Queste emozioni possono essere particolarmente problematiche poiché, se non vengono adeguatamente riconosciute e gestite, sono correlate a gravi sintomi psicologici tra cui PTSD, depressione, ideazione suicidaria, abuso di sostanze e, più un generale, una scarsa qualità di vita (Tracy et al., 2007; Cândea & Szentagotai-Tătar, 2018).
COVID-19 e senso di colpa
La colpa implica un’autocritica per una specifica azione e preoccupazione per il danno che si può causare agli altri (Tangney & Dearing; 2003). In alcuni casi, il senso di colpa può essere considerato un’emozione adattiva e costruttiva, poiché spinge le persone ad azioni pro-attive, come ad esempio chiedere scusa, apportando benefici alle relazioni interpersonali.
Tuttavia, quando il senso di colpa diventa slegato da contesti specifici, può essere disfunzionale, creando un esagerato senso di responsabilità per eventi che si verificano fuori dal nostro controllo (Cherry et al., 2017).
Una condizione prolungata di incertezza e di allerta costante legata al COVID-19, combinata alla paura di infettare gli altri, può dare luogo ad un senso di colpa disadattivo.
Anche quando si seguono attentamente le misure di sicurezza necessarie, possono essere presenti pensieri legati alla possibilità di essere un portatore di COVID-19, e di conseguenza, considerarsi un rischio per i membri della famiglia. Questa esperienza emotiva potrebbe essere amplificata per le famiglie, amici o colleghi di coloro che hanno contratto il virus o che nel peggiore dei casi, ne sono morte.
In molti casi, il tracciamento del contagio viene a perdersi facilmente, perciò chiunque potrebbe essere potenzialmente un vettore di contagio asintomatico, senza esserne a conoscenza. Proprio in questi casi, i pensieri ricorsivi legati a una reale, o presunta, responsabilità personale di infezione possono rivelarsi davvero molto opprimenti (Cavalera, 2020).
Chiunque sia stato in contatto con persone che sono state infettate o sono morte a causa del COVID-19 è esposto ad una situazione costante di incertezza, che può suscitare sensi di colpa disfunzionali e sentimenti di responsabilità inappropriati o esagerati (Cândea & Szentagotai-Tătar, 2018).
Il senso di colpa può rivelarsi un problema anche per le stesse persone che hanno contratto il virus (Ransing et al., 2020). La prassi nei casi di positività implica severe misure di controllo del contagio, per cui, anche un’infezione lieve, richiede spesso una quarantena forzata che impone un allontanamento sociale e un improvviso cambiamento delle abitudini domestiche (non solo per la persona contagiata, ma per chiunque sia stato a contatto con essa). In questa situazione possono sorgere sentimenti di colpa per aver rovinato la propria vita e quella degli altri membri della famiglia, che possono essere dirompenti quando l’infezione presenta complicazioni cliniche che richiedono l’ospedalizzazione (Brooks et al., 2020). In questi casi, la paura di morire (per sé o per gli altri), unita alla condizione di solitudine, può portare a sentimenti di colpa quali “non ho prestato abbastanza attenzione” oppure “ho fatto un gravissimo errore”.
Un ulteriore fattore che aggrava il senso di colpa può essere l’utilizzo di social media, poiché questi possono portare ad un sovraccarico di disinformazione che può amplificare i sentimenti di iper-responsabilità personale (Organizzazione Mondiale della Sanità, 2020).
Il senso di colpa può emergere anche tra gli operatori sanitari visto che in alcuni paesi le risorse per le cure intensive sono limitate, per cui i medici ospedalieri possono essere costretti a scegliere quale vita salvare, rendendo necessarie decisioni difficili su chi trattare per primo (Greenberg et al., 2020). Queste esperienze possono essere emotivamente travolgenti, il senso di colpa può essere suscitato dal rimpianto o dal rimorso legato alle decisioni prese in condizioni critiche.
COVID-19 e vergogna
L’emozione della vergogna induce esperienze tossiche di inutilità, inferiorità e incompetenza e porta ad un desiderio di fuga e/o ritiro sociale (Tracy et al., 2007); esperita con ricorsività, la vergogna può esacerbare un’auto-attribuzione globale negativa che spesso si associa a effetti negativi sul benessere mentale, come ad esempio un cattivo adattamento psicologico, difficoltà interpersonali e un cattivo funzionamento generale della vita (Cavalera et al., 2018).
Le precedenti pandemie (HIV, epatite B, Ebola) ci hanno dimostrato che le risposte sociali, in queste situazioni, hanno il potenziale di esacerbare lo stigma e sensazioni di vergogna (Logie & Turan, 2020). Anche La pandemia di COVID-19, a causa dei numerosi fattori di stress, può essere angosciante e causare le medesime risposte. Le risposte di vergogna legate al COVID-19, possono generare aspetti traumatici basati sulla percezione di non avere valore per gli altri, o peggio, di essere pericolosi per loro (Dorahy et al., 2017). In alcune situazioni, per evitare di essere rifiutati dagli altri e di provare emozioni di vergogna, le persone possono addirittura nascondere agli altri la loro positività e/o informazioni sul loro effettivo rischio di contagio (Taylor, 2001), creando la possibilità di una successiva diffusione del virus.
La vergogna di chi ha contratto il COVID-19 può derivare da pensieri di inferiorità e debolezza, che innescano un’autocritica verso sé stessi, portando le persone a percepirsi come difettose e impotenti. Nelle persone infette, ma anche in quelle che non sono più infette, si può sviluppare del sentimento di vergogna legato al rifiuto sociale (Brooks et al., 2020). Infatti, le esperienze narrative vissute dai pazienti con COVID-19 hanno evidenziato pensieri intrusivi vergognosi e la paura di essere stigmatizzati dalle persone care (Sahoo et al., 2020).
Conclusioni
In conclusione, da un punto di vista sociale, durante la pandemia le persone possono incorrere in stigmatizzazioni e, di conseguenza, in strategie di mitigazione dello stigma.
A causa delle implicazioni psicologiche della pandemia è ormai fondamentale sviluppare programmi di trattamento specifici, sia per gli operatori sanitari che per la popolazione generale (Organizzazione Mondiale della Sanità, 2020). Necessario è, inoltre, affrontare l’emozione di vergogna e di colpa disfunzionale che sembrano assumere un ruolo importante per la salute mentale durante la pandemia. Terapie utili in questi casi potrebbero essere la terapia focalizzata sulla compassione (Gilbert, 2014), EMDR nel caso in cui emergano sintomi traumatici o si sovrappongano traumi precedenti (Shapiro, 2017) e trattamenti individuali specifici (Dearing & Tangney, 2011).