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La relazione tra nevroticismo e aritmia sinusale respiratoria durante il COVID-19

Lo studio ha esaminato se l'aritmia sinusale respiratoria predice un aumento dei sintomi internalizzanti durante la pandemia di Covid-19

Di Tatiana Pasino

Pubblicato il 26 Gen. 2022

Aggiornato il 28 Gen. 2022 12:04

La pandemia di coronavirus (COVID-19) ha segnato un periodo di crisi che ha portato a profondi cambiamenti di vita.

 

Il 21 gennaio 2020 è stato identificato il primo caso di COVID-19 negli Stati Uniti (Schuchat, 2020), mentre il 22 marzo New York City era un epicentro globale della pandemia, rappresentando oltre il 5% dei casi nel mondo (Evelyn, 2020; Szency & Nelson, 2021). Sono state adottate misure urgenti per controllare la diffusione di COVID-19 e gli individui dovevano adattarsi a restrizioni mutevoli come confinamento in casa, imprevisti finanziari e incertezza riguardo al rischio di infezione (Szency & Nelson, 2021).

L’aritmia sinusale respiratoria

La variabilità della frequenza cardiaca (HRV) è un marcatore transdiagnostico di rischio per la psicopatologia (Beauchaine & Thayer, 2015). Nello specifico, è una misura della capacità del sistema nervoso autonomo di rispondere in modo flessibile e di adattarsi agli stimoli nell’ambiente. Un indicatore dell’HRV pensato per indicizzare il controllo vagale del sistema nervoso parasimpatico è l’aritmia sinusale respiratoria (RSA). Come l’HRV, l’RSA viene misurata esaminando le variazioni di tempo tra battiti cardiaci consecutivi, ma si differenzia dall’HRV, che esamina specificamente la variazione durante i cicli respiratori. L’RSA misura l’aumento della frequenza cardiaca durante l’inspirazione e una sua diminuzione durante l’espirazione, è quindi una misura della modulazione parasimpatica del cuore tramite il nervo vago. La ricerca suggerisce che indici RSA a riposo, quindi più bassi, portano ad una minore regolazione delle emozioni e della capacità di funzionamento esecutivo (Beauchaine, 2015; Hamilton & Alloy, 2016). Le metanalisi hanno trovato che l’RSA è associata ad ansia e a disturbi depressivi (Chalmers et al., 2014; Koenig et al., 2016), in quanto risulta essere un marcatore di depressione, della gravità dei sintomi e della risposta al trattamento (Chambers & Allen, 2002).

I tratti di personalità e il nevroticismo

Il modello a cinque fattori è uno dei modelli di personalità più utilizzati e ben supportati. Questo modello sostiene che la personalità può essere definita da diversi tratti, attraverso cinque dimensioni: amicalità, estroversione, apertura all’esperienza, stabilità emotiva e coscienziosità (McCrae & John, 1992). Il modello a cinque fattori ha guadagnato molta attenzione negli ultimi anni, portando diversi ricercatori ad indagare i suoi legami con la psicopatologia. Benché la ricerca supporti le relazioni tra tutti e cinque i tratti e le varie forme di psicopatologia (Malouff et al., 2005), alcune ricerche mostrarono che il nevroticismo riflette una disposizione caratteristica a sperimentare emozioni negative (Lahey, 2009). Quest’ultimo mostra forti relazioni con l’insorgenza di disturbi internalizzanti, suggerendo che può riflettere una responsabilità generale per la psicopatologia (Kotov et al., 2010; Tackett et al., 2008). Lo studio di Liu e colleghi (2020) indica che un maggiore nevroticismo è associato ad un aumento dello stress, mentre Kroenke e colleghi (2020) evidenziano un aumento degli effetti negativi (Kroencke et al., 2020) durante la pandemia di COVID-19.

Sintomi internalizzanti durante la pandemia di Covid-19

Prima dell’analisi di Szency e Nelson (2021), nessuno studio ha esaminato se la RSA predice i cambiamenti nei sintomi internalizzanti durante la pandemia di COVID. Gli obiettivi di questo studio sono l’indagine dei cambiamenti interni alle persone durante la pandemia di COVID a New York, l’identificazione delle esperienze specifiche che potrebbero contribuire all’internalizzazione dei sintomi e l’analisi dell’RSA e del nevroticismo pre-COVID, visti come predittori di cambiamenti nei sintomi di internalizzazione. Sono stati reclutati 222 studenti dell’università di Stony Brook, a Long Island, che hanno svolto dei test e delle misurazioni con l’elettrocardiogramma (ECG) per valutare i sintomi di ansia e depressione. Nello specifico, il test somministrato prima e durante la pandemia è l’Inventory of Depression and Anxiety Symptoms (IDAS-2; Watson et al., 2012), mentre quelli somministrati prima sono il Big Five Inventory (BFI; John & Srivasta, 1999), il Respiratory Sinus Arrhythmia (RSA; Allen et al., 2007) e il Pandemic Experiences Survey, un disegno di ricerca coniato dai ricercatori dell’esperimento per indagare i vari cambiamenti di vita relativi alla pandemia di COVID-19 (Szency & Nelson, 2021). I risultati della ricerca indicano come un aumento dei sintomi di disagio è associato ad un numero maggiore dei cambiamenti di vita, i sintomi di paura ed ossessione alle preoccupazioni per l’infezione e per la necessità dei bisogni di base, mentre una diminuzione dell’umore è associata a preoccupazioni maggiori sulla scuola e sul confinamento sociale (Szency & Nelson, 2021). Come osservato con l’IDAS-II, il nevroticismo è l’unico fattore di rischio pre-pandemico associato ad un aumento dei sintomi di disagio e ad una diminuzione delle caratteristiche positive dell’umore. Esiste un’interazione tra nevroticismo ed RSA in relazione ai sintomi di angoscia, ma solo quando l’RSA è basso. Questi risultati suggeriscono che la pandemia di COVID-19 ha contribuito ad aumentare i sintomi internalizzanti nei giovani adulti e i fattori di rischio possono portare ad un maggior rischio di sviluppare psicopatologie, in quanto diversi aspetti della pandemia potrebbero contribuire a particolari cambiamenti nell’interiorizzazione stessa (Szency & Nelson, 2021).

 

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