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Un segmento educativo: il nido

I rapporti tra famiglia e nido si sono modificati nel tempo sino a giungere, ad oggi, ad un’attiva collaborazione alla vita del nido

Di Annamaria de Gaetano

Pubblicato il 06 Ott. 2021

Al nido l’esperienza di ambientamento si costituisce come una situazione complessa di vissuti e relazioni interpersonali che lega educatore, genitori e bambino.

 

Dall’accudimento del bambino alla cultura per l’infanzia

I servizi per la prima infanzia (da 0 a 3 anni), nati con finalità custodialistiche e assistenziali, iniziano a essere pensati in Italia come educativi solo a partire dagli anni Settanta, periodo che ha contrassegnato lo sviluppo delle politiche sociali. È in questo contesto che viene approvata la legge n.1044 del 1971 che sancisce, per la prima volta, l’impegno da parte dello Stato a intervenire nell’educazione della prima infanzia, tradizionalmente delegata alla famiglia e in particolare alla donna. Nata, soprattutto, sotto la pressione dei movimenti femministi e in concomitanza con l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, la legge che istituisce gli asili nido, evidenzia ancora un’impronta assistenziale, in quanto individua nella madre il soggetto principale, lasciando in secondo piano i bisogni psicologici del bambino e le potenzialità educative del servizio. Infatti, negli anni di iniziale costituzione degli asili nido, “sembra che la consapevolezza dei bisogni educativi del bambino da 0 a 3 anni fosse del tutto assente, nella legge n.1044/1971 si contempla che << il nido ha lo scopo di provvedere alla temporanea custodia del bambino per facilitare l’ingresso della donna al lavoro >> (art.2): il bambino non compare” (Bondioli, Mantovani, 1987). Nel corso del tempo, le diverse esperienze di asilo nido hanno consentito un’idea sempre più chiara nel definire appropriate soluzioni organizzative e nuovi modelli educativi, pertanto, l’intento del nido in quanto servizio non è stato solo quello di costruire strutture, ma “di inventare la loro qualità attraverso una organizzazione interna, di curarne la promozione, di riflettere sulle migliori forme di intervento pedagogico, di garantire agli operatori una formazione adeguata” (Ghedini, 1987). Gli anni Settanta sono stati quindi per l’asilo nido anni di approfondimento, di dibattito culturale e di ricerca, dai quali è emerso un preciso quadro teorico sullo sviluppo infantile che ha reso ipotizzabile, per i più piccoli, interventi formativi al di fuori della famiglia. “Si giunge, infatti, a una immagine nuova del bambino, attivo fin dalla nascita, con competenze sociali precoci, capace di stabilire relazioni significative con figure diverse da quelle familiari e con i coetanei, relazioni che hanno una funzione importante per le attività mentali” (Ugazio, 1993). In altri termini, l’infanzia inizia ad affermarsi come un periodo della vita dotato di potenzialità che necessitano di contesti adeguati per emergere, e il nido a connotarsi come “servizio educativo e non, come luogo di custodia” (Savio, 2015).

Gli strumenti dell’azione educativa

Ambientamento

Il concetto di bambino competente, che emerge dall’esperienza quotidiana dei servizi dedicati alla prima infanzia, ha consentito un’evoluzione terminologica in base alla quale “inserimento” è stato sostituito da “ambientamento”. Nello specifico, il termine “inserimento” richiama l’idea di includere un elemento nuovo in un insieme già completo/compiuto, all’interno di un’organizzazione che tiene, prevalentemente, conto del ruolo dell’educatore per favorire l’entrata al nido del bambino (Mantovani, Saitta, Bove, 2000). Il termine “ambientamento” invece sembra essere più adatto a indicare un’esperienza particolarmente significativa che vede sulla scena: diversi attori, ambiente nuovo, adulti nuovi, bambini nuovi, che progressivamente entreranno in relazione, aggiustandosi vicendevolmente, in un tempo e in uno spazio da costruire su bisogni differenti (Restiglian, 2018). Nello specifico, l’esperienza di “ambientamento si costituisce come una situazione complessa di vissuti e relazioni interpersonali che lega educatore, genitori e bambino, come un processo emotivo e psicologico che consente il passaggio dalla relazione madre-bambino a uno spazio comunicativo più allargato in cui più interlocutori agiscono”, con modalità diverse, “assecondando il percorso di separazione tra madre e bambino, allargando la dimensione relazionale e influendo su questo momento transitorio” (Galardini, 2010). Ed è proprio per questo che, come la presenza del genitore al nido insieme al bambino diviene essenziale, in quanto facilita la separazione e media una realtà sconosciuta, allo stesso modo, la capacità dell’educatore di osservare la relazione madre bambino risulta di primaria importanza nel percorso di ambientamento. In altri termini “le interazioni madre-bambino realizzano una drammatizzazione che rivela il copione” (Cramer,1992), e secondo Restuccia Saitta (2018), l’educatore dovrà leggere correttamente tale copione per potersi inserire nella relazione senza intrusività alcuna, evitando di suscitare resistenze e opposizioni da parte del bambino o gelosie e sentimenti di rivalità nella madre.

Routine

Routine è un termine francese che indica un’abitudine e il suo ritmo monotono e ripetitivo. Al nido, con tale termine, si indicano i momenti che si ripetono nel corso della giornata in modo costante, individuati a livello “biologico”, nel cambio, nell’igiene, nel pasto, nel riposo; “organizzativo”, nell’accoglienza e nel ricongiungimento; “funzionale”, nell’organizzazione degli spazi e nella gestione dei materiali (Restuccia Saitta, 2018). Storicamente, le routine sono state connotate da modalità assistenziali, in quanto ci si focalizzava solo su aspetti igienico-sanitari che occupavano gran parte della giornata, costringendo il personale ad acquisire il ruolo di sostituto della madre senza alcuna connotazione educativa. Ad oggi, invece, “le routine costituiscono veri e propri contenitori spaziali e temporali entro i quali i bambini si riconoscono e si ritrovano”, stabiliscono relazioni e si avviano allo sviluppo di competenze e alla conquista dell’autonomia. Esse scandiscono i tempi della giornata al nido e non possono essere intese in senso meccanicistico, poiché proprio la ripetizione di determinate azioni permette ai bambini di comprendere la realtà che li circonda e di controllarla, attraverso l’abitudine al fare; non si tratta di comportamenti standard stabiliti, ma adattati ai ritmi e allo stile del bambino. Non sono azioni volte solo al soddisfacimento di bisogni primari, ma sono da intendersi come gesti di cura, di sostegno fisico e psichico, pensati per soggetti non ancora autonomi e in fase di adattamento al nuovo contesto e, soprattutto, finalizzati allo sviluppo percettivo, comunicativo, cognitivo, relazionale ed emotivo-affettivo (Restiglian, 2018).

Tempi

Le diverse esperienze al nido evidenziano che, soprattutto nella fase di ambientamento, i tempi personali dei bambini vengono considerati riservando una precisa organizzazione degli orari, che continua per i più piccoli, ma che per gli altri converge in una dimensione comunitaria, entro la quale ciascuno rispetta i tempi dell’altro. In altri termini, è importante che tutti i bambini “arrivino a determinati apprendimenti e che il nido riesca ad assecondare i ritmi personali di ciascuno, nel rispetto delle differenze” (Restiglian, 2018).

Spazi e attività

Il nido è un luogo in cui il bambino è stimolato e incoraggiato al fare, pertanto la predisposizione degli spazi non solo deve essere pensata con intenzionalità educativa, ma soprattutto deve rispettare le diverse attività proposte, promuovendo l’utilizzo di materiali diversi. Il bambino, secondo Musatti (2010), è “sintonizzato” su ciò che accade nell’ambiente, e tale meccanismo gli consente di porre attenzione a ciò che fanno gli altri, traendo stimoli anche per la propria attività. La qualità del contesto determina la direzione di questo meccanismo, di conseguenza gli spazi non possono ostacolare i percorsi di conoscenza e scoperta, così come non possono essere dispersivi o stressanti, cioè con rumori di fondo e confusione. Inoltre, “il bambino ha bisogno di luoghi circoscritti in cui sentirsi rassicurato e protetto, luoghi “tana” in cui può scegliere di stare da solo o con gli altri per riposarsi, giocare, parlare e in cui lasciare e ritrovare le proprie tracce” (Restiglian, 2018). Anche i materiali devono rispondere a precisi criteri quali “la funzionalità, la praticità, l’igiene, la sicurezza e la bellezza”, di fatto, la scelta del materiale, la modalità con la quale viene messo a disposizione e l’utilizzo orientano l’attività del bambino (Stradi, 2000).

Sezioni

La sezione (Bortoletto, 2018) è lo spazio entro il quale il bambino può esprimere il proprio essere, condividendo esperienze e routine con il gruppo. Al suo interno si trova la zona dedicata all’igiene, al pranzo, al riposo, alle attività in piccoli gruppi; infatti, per consentire al bambino di sentirsi libero di esplorare e di esprimersi attraverso tutti i linguaggi del corpo, è indispensabile organizzare questi spazi in angoli o atelier.

Doverosa a questo punto la differenza con il “laboratorio”, in cui l’educatore si aspetta determinati risultati sulla base dei materiali predisposti e degli obiettivi prefissati in un ambito inizialmente individuato (Restiglian, 2018). L’“atelier” invece, “è un luogo in cui il bambino diventa protagonista” (Padoan, Paperini, 2010); costituisce, secondo il Reggio Approach di Malaguzzi, “la possibilità quotidiana di avere più punti di vista e dove il bello, la scelta estetica, non vengono considerati un optional ma una necessità del pensare del vivere” (Vecchi, 2010); definisce un contesto che stimola il bambino a produrre, offrendo materiali e presentando tecniche, ma lasciandolo libero di seguire la sua creatività e la sua curiosità.

Non ci sono quindi “obiettivi prefissati, quanto piuttosto un coinvolgimento personale e intenzionale del bambino che conduce a una sua scoperta individuale”, evidenziando il proprio “bagaglio di conoscenze e ragionamenti, con i quali cerca di dare risposte a teorie da lui stesso elaborate”. In tal senso, l’attenzione si orienta al processo “del fare”, connotato dal piacere e dal gusto estetico, anziché all’obiettivo così come stabilito e atteso (Restiglian, 2018).

Inoltre, nel sottolineare l’importanza dei tempi nel processo evolutivo dei bambini, secondo Bortoletto (2018), è necessario che l’organizzazione degli spazi/sezione segua una distinzione tra lattanti, al cui interno è previsto un gruppo di bambini che ancora non deambula, semi-divezzi e divezzi; sezioni composte invece da gruppi di bambini che hanno raggiunto una certa autonomia fisica e di movimento, tale da poter esplorare lo spazio in tutte le sue parti. L’educatore, osservando il gruppo e individuando i bisogni che naturalmente evolvono durante il processo di crescita, modificherà la composizione e la disposizione degli angoli, proponendo un ambiente sempre ricco di stimoli, utili al loro sviluppo sociale, cognitivo e motorio.

In altri termini, la complessa strutturazione di una sezione al nido è il risultato di un’efficace “osservazione”, di una continua e attenta “offerta di stimoli e di situazioni di gioco libero e strutturato”, di una necessaria “capacità di comprendere quando per il bambino è indispensabile giocare da solo e quando invece ha bisogno di un co-attore”, ossia dell’educatore, “che lo accompagni in esperienze diverse e in nuove ricerche” (Bortoletto, 2018).

Famiglia e nido

I rapporti tra famiglia e nido si sono modificati nel tempo, con modalità diverse: da un’iniziale partecipazione sociale a un coinvolgimento al progetto educativo, sino a giungere, ad oggi, a un’attiva collaborazione alla vita del nido.

“Il dialogo con la famiglia non deve essere a corrente alternata ma a corrente sistemica cioè a corrente forte” (Malaguzzi, 1991).

Il bambino è affidato al servizio nido, in un momento delicato della sua crescita nel quale la famiglia ha un ruolo imprescindibile; pertanto diviene fondamentale la conoscenza del sistema famiglia al fine di predisporre e strutturare, una qualsivoglia azione educativa.

“Per educare un bambino è necessario […] trovare tempo e spazio […] per i genitori e con i genitori” (Milani, 2008).

Ciascun bambino, possiede caratteristiche proprie che lo rendono unico e diverso dall’altro; pertanto valorizzare il sapere dei genitori, attraverso il riconoscimento della loro esperienza, consente di adeguare e/o migliorare il proprio agire educativo. “Dal sapere dell’esperienza, nasce il sapere della cura” (Zucchi, 2018).

In altri termini affidare un bambino alle cure di un servizio esterno alla famiglia, nonostante le convinzioni sulla positiva funzione educativa, non è una scelta semplice; è infatti il primo incontro che la famiglia realizza in un contesto sociale esterno. “Aspettative, ansie e sentimenti contradditori nascono dall’inevitabile conflitto tra la volontà di affidare il bambino e il timore di perdere qualcosa durante la temporanea separazione”. Diviene dunque necessaria la consapevolezza che “accogliere un bambino al nido significa accogliere anche una famiglia con le sue peculiarità”, di fatto “ogni intervento non si esaurisce nel solo ed esclusivo rapporto con il bambino, ma si colloca in una dinamica relazionale che coinvolge la madre e il padre e il tipo di relazione che questi hanno con il proprio figlio” (Galardini, 2018).

Il nido in quanto segmento educativo

Un servizio nido non è intrattenimento, ogni azione educativa proposta è il risultato di un’attenta, puntuale e sistematica osservazione e si connota di intenzionalità, in quanto focalizzata esclusivamente sul bambino. Essa, in termini di progettazione, diviene elemento indispensabile per l’educatore, che, partendo da ipotesi non definite a monte, ma risultanti dalla conoscenza del contesto in essere, traduce i suoi saperi, adeguandoli alle competenze del bambino, alla sua età, alla sua storia, ai suoi bisogni e alle sue caratteristiche individuali. In altre parole, il bambino diviene protagonista in un ambiente piacevole, rassicurante e favorevole all’acquisizione di conoscenze e di competenze, attraverso routine pensate e strutturate ad hoc. Ed è proprio rispetto all’acquisizione di conoscenze e competenze che il nido pone le basi per il successivo percorso formativo alla scuola dell’infanzia. “Significa, quindi, pensare al nido come segmento educativo” (A.de Gaetano, 2020)

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Barbieri N.S., Lineamenti storici e aspetti legislativi in Asili nido e servizi educativi per la prima infanzia in Italia. Cleup. Padova, 2015.
  • Bonomi A., “Il rapporto tra educatori e genitori” in Manuale critico dell’asilo nido. Angeli, Milano,  1987.
  • Bortoletto J., “La sezione in Restiglian E.” in Progettare al nido. Teorie e pratiche educative. Carocci. Roma, 2018.
  • Bulgarelli N., Restuccia Saitta L., “Il valore pedagogico e culturale del nido: modelli teorici e progettualità educativa”. Seminario Regionale: I servizi per l’infanzia in una società in trasformazione. Ferrara, 1988.
  • Campagnolo R., “Le modalità operative” in Asili nido e servizi educativi per la prima infanzia in Italia. Cleup, Padova, 2015.
  • de Gaetano A., “Assjeme. Il nido in quanto segmento educativo”. Kimerik, Patti, 2020.
  • Galardini A.L., “I genitori nel nido: coinvolgimento e collaborazione” in Crescere al nido. Gli spazi, i tempi, le attività, le relazioni. Carocci, Roma, 2018.
  • Giovannini D., “Le attività al nido” in Crescere al nido. Gli spazi, i tempi, le attività, le relazioni. Carocci, Roma, 2018.
  • Linee guida per i Servizi educativi alla prima infanzia. Comune di Firenze. luglio, 2008.
  • Malaguzzi L., “La Pedagogia relazionale” in La Pedagogia relazionale di Loris Malaguzzi. Cleup, Padova, 2014.
  • Meloni G., “Sostegno alla genitorialità e corresponsabilità educativa nei contesti multiculturali: l’esempio della pedagogia relazionale di Loris Malaguzzi” In Annali online della Didattica e della Formazione Docente. 2018.
  • Pignataro P.V., La pedagogia relazionale di Loris Malaguzzi. Cleup, Padova, 2014
  • Restiglian E., “Il contesto nei servizi per la prima infanzia” in Progettare al nido. Teorie e pratiche educative. Carocci, Roma, 2018.
  • Restuccia Saitta L., “Accogliere un bambino” in Crescere al nido. Gli spazi, i tempi, le attività, le relazioni. Carocci, Roma, 2018.
 
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