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Disturbo Borderline di Personalità: sentirsi “vuoti dentro”

Uno criterio importante nel permettere la diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità è il senso di vuoto: proviamo a chiarire il significato del termine

Di Lia Cirillo

Pubblicato il 16 Set. 2021

Il Disturbo Borderline di Personalità (DBP), per molto tempo e fino a qualche decennio fa, non aveva ricevuto una dignità nosografica precisa a causa di un nome ingannevole proveniente da un’oscura tradizione psicoanalitica.

 

Il quadro clinico sembrava, infatti, non rientrare né nella classe diagnostica delle nevrosi (disturbo psichico più o meno grave) né delle psicosi (i disturbi mentali più gravi, come la schizofrenia), pur mostrando sintomi comuni ad entrambe mantenendosi “al limite tra la normalità e la follia” (Huges, 1884).

Zanarini e colleghi (1990) hanno tentato di definire, attraverso specifici termini operativi e diagnostici, il DBP con caratteristiche che, ad oggi, sono state incorporate nella classificazione dei criteri diagnostici del DBP della quinta edizione revisionata del DSM (APA,2013), con descrizioni più corpose ed articolate del quadro clinico.

Coloro che ricevono diagnosi di DBP presentano un quadro psicopatologico complesso caratterizzato da un pattern pervasivo di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività, che inizia nella prima età adulta ed è presente in svariati contesti (APA, 2013).

Un’ampia mole di ricerche scientifiche sui criteri diagnostici del DBP ha esplorato la dimensione psicopatologica dell’impulsività, (Gunderson et al., 2018; Moeller et al., 2001;Sharma et al., 2014), dell’instabilità affettiva (Putnam&Silk, 2005; Koenigsberg, 2010) il rischio suicidario e le condotte autolesive (Brown, 2001; Oumaya et al., 2008; Sher et al., 2016). Al contrario, ad oggi, il “sentimento cronico di vuoto” riportato nel criterio numero 7 del DBP (APA,2013), risulta essere una dimensione poco indagata in letteratura (Millet et al., 2020) nonostante sia uno dei criteri principali che permette di effettuare diagnosi di DBP, presente nel 71-73% dei pazienti con diagnosi di DBP se confrontati con il 26-34% di soggetti psichiatrici senza DBP (Grillo et al., 2001; Johansen et al., 2004). Da una revisione sistematica di letteratura del 2020 (Miller et al., 2020) emerge che la ridotta mole di studi sembrerebbe giustificata dal fatto che:

  • È difficile dare una definizione clinica precisa e valutare il costrutto psicologico di vuoto inteso come “assenza di esperienza”
  • Non è semplice distinguerlo da altri costrutti psicologici noti con i termini anglosassoni di “hopelesness”, “loneliness” o “boredom” (Blasco-Fontecilla et al., 2013; Klonsky, 2008)

Il sentimento di vuoto come caratteristica del DBP

Come affermato poco sopra, il vuoto è tra gli aspetti mentali più complessi da descrivere poiché per sua definizione indica qualcosa che non c’è, ossia assenza di esperienza e di vitalità. È una condizione trans-diagnostica a diversi quadri psicopatologici, riscontrabile, ad esempio, nel Disturbo Narcisistico di Personalità (Kernberg, 1985), nel Disturbo Depressivo Maggiore (Villarroel& Terlizzi, 2020; Klonsky, 2008), nei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (Levine, 2012), nei Disturbi d’Ansia (Mann, Laitman, & Davis, 1989), nella Schizofrenia (Zanderson&Parnas, 2018) e in alcuni stati dissociativi (Rallis, Deming, Glenn, &Nock, 2012). Ricerche preliminari suggeriscono, inoltre, che il vuoto è associato ad una serie di condotte, tra cui comportamenti autolesivi, tentativi di suicidio, abuso di sostanze psicoattive, comportamenti sessuali compulsivi (Bandelow, Schmahl, Falkai, & Wedekind, 2010; Ellison et al., 2016; Klonsky, 2008; Roos, Kirouac, Pearson, Fink, &Witkiewitz, 2015). Ciononostante, il vuoto, pur essendo una dimensione che caratterizza il DBP, trans-diagnostico a diverse condizioni psicopatologiche, soltanto nel DBP viene riportato come criterio diagnostico nel DSM-5 e, quindi, come elemento centrale e caratterizzante del quadro clinico.

Cos’è lo stato di “vuoto interiore”?

Gunderson (2008) ha definito il vuoto come “una sensazione viscerale, percepita a livello dell’addome o del torace senza apparente motivo, scopo o significato”. I soggetti con DBP riferiscono spesso al terapeuta “mi sento vuoto dentro” e descrivono di avvertire costantemente una profonda sensazione di marasma e apatia, un precipizio esistenziale in cui rischiano di precipitare. In effetti, i pazienti borderline esperiscono frequentemente stati mentali di distacco emotivo e di vuoto che sperimentano nel momento in cui si crea un conflitto tra un sé indegno e un sé intollerabile, che porta ad allontanarsi da tutto e da tutti per entrare in una sorta di anestesia emotiva. Non si tratta né di noia né di angoscia perenne; spesso si percepiscono come scollati dalla realtà ed entrano in uno stato penoso di mancanza di scopi (Carcione et al., 2016). È una condizione pericolosa, in quanto in questi stati è frequente il passaggio all’acting out (Ntshingila et al., 2016), per provocare un’attivazione fisiologica che possa far allontanare la persona da questa penosa mancanza di senso, ricorrendo a comportamenti di tipo impulsivo (abbuffate di cibo, abuso di sostanze psicoattive, comportamenti autolesivi e tentativi di suicidio). L’instabilità che caratterizza il quadro clinico del DBP influenza anche l’identità, conducendo ad una frammentazione del senso di sé. Nello specifico, è frequente nei soggetti con DBP una difficoltà ad autodefinirsi, a mantenere un senso di sé coerente e stabile nel tempo, come dimostrato da improvvisi cambiamenti nei loro obiettivi, valori, opinioni, carriere, o relazioni interpersonali. Si riscontra, dunque, una tendenza instabile anche circa una progettualità di obiettivi a lungo termine. Tale condizione che scaturisce da un’instabilità nell’immagine di sé, si traduce in sensazioni croniche“vuoto” e di “smarrimento” interiore (Manning, 2011).

Come i pazienti borderline definiscono lo stato di “vuoto interiore”?

Il vuoto interiore può avere tuttavia connotazioni diverse fra loro. Da uno studio qualitativo condotto da Elsner e colleghi (Elsner et al., 2017), che indagava, attraverso dei trascritti verbatim, come i pazienti borderline descrivono la loro esperienza soggettiva di “vuoto interiore”, è emerso che le loro descrizioni si dividevano in due macro-aree: esperienze somatiche di vuoto cronico ed esperienze esistenziali di vuoto cronico. Di seguito verranno riportati alcuni esempi:

  • “Ho la sensazione di avere un buco dentro di me che mi attraversa dal petto alla schiena”; “Ho una voragine, un vero vuoto, un vuoto, dove è il mio cuore”; “mi fa male il cuore”; “è come un pozzo o una nuvola nera”; “mi sento un guscio vuoto”; “come un guscio d’uovo senza tuorlo”; “è come avere un vuoto nel cervello”;
  • “Disperazione e nichilismo esistenziale”; “un senso di inutilità”; “c’è sempre qualcosa che manca, Sto cercando qualcosa che non c’è”; “è come se avessi il pilota automatico”; “costante disperazione”; “Sento che mi mancano molte cose che hanno gli altri; “Un’angoscia esistenziale, senza scopo né significato”

La base comune e le differenze tra le dimensioni di “vuoto interiore”, “hopelesness”, “solitudine” e “boredom”

Pochi studi in letteratura hanno indagato la relazione esistente tra queste quattro diverse dimensioni, apparentemente molto simili che rappresentano l’esperienza interiore dei pazienti con DBP (Zanarini et al., 2007). In realtà, una revisione sistematica di letteratura ha messo in luce che il vuoto può essere distinto dagli altri tre costrutti. Gli autori hanno ipotizzato che il sentimento cronico di vuoto è un sentimento di disconnessione tra sé stessi e gli altri, “hopelesness” indica essere disconnessi dal significato della vita, e “loneliness” è un senso di allontanamento dal mondo e un sentimento di intolleranza alla solitudine ed incapacità a rimanere soli (Miller et al.,2020). Tutti i costrutti hanno una base comune, riscontrabile nel senso di disconnessione o di distaccamento, ma rappresentano diversi tipi di disconnessione.

Esistono test psicometrici che misurano il costrutto di “vuoto interiore” nel DBP?

Il criterio diagnostico di vuoto interiore, spesso viene valutato attraverso un singolo item contenuto all’interno delle interviste cliniche, da ciò risulta difficile indagare la vera esperienza di vuoto nei pazienti (Miller et al., 2020). La scala UCLA loneliness (Russell, 1996) misura sia il costrutto di solitudine sia quello di vuoto, ma evidenze scientifiche dimostrano una sostanziale differenza tra le due dimensioni. Il test Orbach and Mikulincer Mental Pain Scale (OMMP) indaga il costrutto di vuoto, definito come la perdita di significato soggettivo e personale a causa del dolore mentale, ma non indaga nello specifico l’esperienza cronica di vuoto nei soggetti con DBP. Recentemente, Price e Colleghi (2019) hanno validato la Subjects Emptiness Scale SES che rappresenta un valido contributo che indaga il costrutto di “vuoto interiore” come transdiagnostico ai diversi disturbi mentali. Secondo Miller e Colleghi, nella validazione del test sono stati inclusi pazienti con diverse diagnosi psichiatriche e non soltanto individui con diagnosi di DBP e, pertanto, sarebbe opportuno validarlo in un campione di soggetti borderline per comprendere la severità nei livelli di “vuoto” esperiti dai pazienti.

Perché è importante definire il “senso di vuoto”?

La condizione di vuoto ha una forte rilevanza clinica dato che in essa si verificano più frequentemente gesti suicidari e atti autolesivi, che possono rappresentare sia l’effetto di uno stato di distacco assoluto dal mondo, sia un modo per evocare tale distacco. I pazienti con diagnosi di DBP con questi atti cercherebbero di intervenire sul loro stato di disregolazione emotiva. Per alcune persone, il dolore inflitto attraverso l’autolesionismo è preferibile alla sensazione di vuoto che si avverte; il dolore rappresenta un qualcosa che sostituisce il niente. Sarebbe interessante che altre ricerche indagassero come i pazienti descrivono verbalmente la sensazione di vuoto interiore che spesso esperiscono. Ciò potrebbe rivelarsi utile per comprenderne la natura, per fornire una definizione chiara ed univoca di “senso di vuoto”, al fine di sviluppare strumenti standardizzati di valutazione in grado di misurare tale variabile. Infine, comprendere cosa i pazienti intendono per “vuoto interiore” potrebbe rivelarsi un elemento utile nella pratica clinica per una buona concettualizzazione del caso, per orientare il trattamento con il paziente con DBP e per avere una maggiore chiarezza circa i vissuti interiori descritti dai pazienti stessi nel corso della terapia.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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