Ai sensi della Legge n. 164 del 14/4/82, in Italia, per poter svolgere un intervento di riassegnazione chirurgica del sesso da parte di un individuo con diagnosi di disforia di genere, è obbligatorio rivolgersi alla Consulenza Tecnica d’Ufficio.
L’origine del termine “gender” deriva dal francese antico “gendre”, il cui significato era “gentile”, “ordine” e “genere” (Garima & Marwaha, 2018). Attualmente il genere è definito come un attributo che viene assegnato alla nascita in base all’anatomia dei genitali. Per la maggior parte delle persone, questa assegnazione corrisponde ad un senso di identificazione nel genere maschile o femminile. Non è impossibile tuttavia che vi sia un’incongruenza tra il genere assegnato alla nascita e quello esperito dalla persona: all’interno del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5; APA, 2013), questo fenomeno è denominato Disforia di Genere. Nel 2019, anche la World Health Organization (WHO) ha ufficialmente sostituito il termine “disturbo” con il termine “disforia” (BBC, 2019).
Com’è stato spesso specificato, è importante non confondere il termine genere con orientamento sessuale: con quest’ultimo, viene fatto riferimento alla tendenza a rispondere a determinati stimoli sessuali (ad esempio, provare attrazione per una persona del sesso opposto). Un uomo transgender (anatomicamente femmina, caratterizzato dai cromosomi XX ma socialmente riconosciuto come uomo) potrebbe identificarsi come eterosessuale ed essere attratto dalle donne e viceversa lo stesso potrebbe accadere ad una donna transgender (socialmente riconosciuta come donna ma biologicamente maschio, caratterizzato da cromosomi XY) (Garima & Marwaha, 2018).
Gli studi sullo sviluppo dei bambini affetti da disforia di genere mostrano come i sentimenti di incongruenza spesso non si protraggano per l’intera vita del bambino (Ristori & Steensma, 2016), ciononostante, secondo la letteratura, una maggiore intensità di disforia di genere nell’infanzia è il maggior predittore di un futuro esito disforico in età adulta (Steensma, 2013). Per quanto concerne il trattamento durante l’infanzia, vi è accordo in merito al fatto che esso potrebbe concentrarsi sulla riduzione del disagio esperito dal bambino in merito alla disforia e sull’ottimizzazione del suo adattamento psicologico (Byne et al., 2012). Il periodo dell’adolescenza è invece un periodo cruciale per lo sviluppo dell’identità, in particolar modo per i giovani affetti da disforia (Steensma et al., 2013). La probabilità che la disforia di genere con esordio dopo l’inizio della pubertà perduri durante l’età adulta è alta: perciò, la gestione degli adolescenti con disforia di genere spesso richiede interventi che abbraccino diversi domini. Possono essere adottati in concomitanza interventi sulla salute fisica e su quella mentale: la “riassegnazione” di genere, che comprende psicoterapia, terapia ormonale e chirurgia, si è dimostrata essere il trattamento maggiormente efficace (Selvaggi & Bellringer, 2011). Generalmente, gli interventi fisici relativi alla transizione di genere vengono organizzati in base al grado di reversibilità e agli effetti che hanno sul corpo di un individuo (Leibowitz & de Vries, 2016). È importante inoltre considerare che la parte dedicata alla psicoterapia potrebbe avere lo scopo di accompagnare il paziente alla scelta dell’intervento ad hoc per sé. Alcuni pazienti potrebbero scegliere di non sottoporsi ad alcun intervento chirurgico, solamente ad una top surgery (ad esempio), oppure di non intraprendere nemmeno un trattamento ormonale per motivi di salute o di altro tipo. La psicoterapia potrà dunque essere quel percorso all’interno del quale la persona si troverà a dover gestire emotivamente il disagio causato dall’incongruenza di genere, dal non riconoscimento sociale del genere percepito e dall’impossibilità (attuale) di avere una rettifica del genere a livello legale.
Gli interventi di tipo reversibile si basano sulla soppressione puberale per mezzo di agonisti degli ormoni che rilasciano gonadotropine (GnRHa): questa procedura impedisce lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie caratteristiche del proprio sesso biologico (Delemarre-van de Waal & Cohen-Kettenis, 2006). Per quanto riguarda gli interventi parzialmente reversibili, è possibile utilizzare la terapia ormonale “di genere incrociato”, ovvero una terapia a base di estrogeni per le persone biologicamente XY e a base di testosterone per le persone biologicamente XX. Questa procedura consente da una parte di promuovere lo sviluppo di caratteristiche sessuali secondarie del sesso più compatibile con l’identità dell’individuo, dall’altra sopprime gli effetti che hanno sul corpo gli ormoni endogeni di coloro che vi si sottopongono (Leibowitz & de Vries, 2016). Infine, per quanto riguarda gli interventi irreversibili, vi sono diverse procedure: per quanto concerne la transizione “male to female” (MtF), vi sono interventi che non coinvolgono i genitali (ad esempio, aumento del seno, interventi alle corde vocali e alla gola e femminilizzazione del volto) e interventi che coinvolgono prettamente i genitali (Vaginoplastica, Clitoroplastica, Labiaplastica e Uretrostomia). Anche per quanto riguarda la transizione “female to male” (FtM), vi sono interventi che non implicano cambiamenti ai genitali, tra cui la mastectomia, l’isterectomia e l’ovariectomia e interventi che coinvolgono i genitali, come la Metoidioplastica e la Falloplastica (Selvaggi & Bellringer, 2011).Ai sensi della Legge n. 164 del 14/4/82, in Italia, per poter svolgere un intervento di riassegnazione chirurgica del sesso (RSC) da parte di un individuo con diagnosi di disforia di genere, è obbligatorio rivolgersi alla Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU). Prima di potersi sottoporre ad un intervento di questo tipo, è perciò necessario sottoporsi ad un’indagine peritale. Il primo obiettivo è l’accertamento della validità della diagnosi, svolgendo sia visite mediche, in particolare, una visita cromosomica e una endocrinologica, che colloqui psicologici: il soggetto deve presentarsi vigile, cosciente, orientato spazio-temporalmente, con eloquio e umore nella norma e con buone capacità intellettive e di memoria. È opportuno che il soggetto abbia svolto un Real Life Test, ovvero deve aver vissuto nei panni del genere desiderato per minimo 1 anno prima della richiesta di RCS. Per quanto riguarda l’anamnesi, devono essere esclusi eventuali precedenti psichiatrici familiari e deve essere verificato l’attuale rapporto con la famiglia d’origine in relazione al suo vissuto. Successivamente devono essere somministrati al richiedente dei test diagnostici, i quali devono assolvere diverse funzioni (Petruccelli, 2017):
- Esame globale della struttura di personalità;
- Esame approfondito della problematica relativa all’identità di genere;
- Esame delle motivazioni profonde e aspettative dalla richiesta di RCS.
In conclusione, è fondamentale che il processo decisionale avvenga in un setting estremamente controllato e nel totale rispetto dei diritti della persona (Petruccelli, 2017).
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La rubrica fluIDsex è un progetto della Sigmund Freud University Milano.