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La validità delle prospettive teoriche alla base degli interventi terapeutici: un dialogo tra scienza e clinica – Editoriale di Cognitivismo Clinico

Editoriale di Cognitivismo Clinico: nell'ultimo volume sono presentati vari contributi sulla validità delle prospettive teoriche alla base degli interventi

Di Redazione

Pubblicato il 22 Lug. 2021

Nel volume di Cognitivismo Clinico sono stati presentati diversi contributi che, tutti, al loro modo, testimoniano il modo in cui l’interrogarsi della comunità scientifica e clinica circa la natura e la validità delle nostre prospettive teoriche determinano l’apertura o la chiusura di specifiche finestre di intervento clinico.

Editoriale a cura di Guyonne Rogier

 

Il volume si apre con una sezione dedicata alle linee guida. Si succedono quindi tre contributi che, approcciandosi al tema delle linee guida nel trattamento di specifiche condizioni psicopatologiche, illustrano il ruolo determinante che riveste la nostra concettualizzazione del trattamento sulle pratiche terapeutiche. Rinforzando con enfasi il ruolo della conoscenza scientifica come torcia che illumina la strada da percorrere, ma anche le zone d’ombra che rimangono poco esplorabili, ciascuno di questi articoli evidenzia come le linee guida internazionali relative al trattamento di diverse psicopatologie si affidano ai risultati della ricerca empirica nel campo dell’efficacia della psicoterapia.

Il primo, a cura di Rogier e Mancini, fornisce una panoramica delle principali linee guida internazionali riguardanti il trattamento del disturbo da attacchi di panico e del disturbo d’ansia generalizzata. Nello specifico, vengono riassunte le principali conclusioni tratte dagli istituti NICE e APA. Il contributo si chiude su una breve illustrazione di alcune metanalisi considerate dagli autori di particolare rilievo, che documentano le conclusioni tratte dalla ricerca empirica sul tema.

Il contributo successivo, firmato dagli stessi autori, in maniera simile, si focalizza sulle linee guida relative al trattamento psicoterapeutico della depressione. Di nuovo, gli autori scelgono di illustrare le conclusioni tratte dagli istituti NICE e APA e forniscono una puntuale descrizione di alcuni lavori rilevanti che sollecitano il lettore a sviluppare una lettura critica dei risultati offerti dalla ricerca sull’efficacia delle psicoterapie.

Questa trilogia si chiude con il contributo di Nicolò et al., dedicato al delicato compito di riassumere lo stato dell’arte relativo alle linee guida esistenti per alcuni disturbi di personalità. In particolare, gli autori si focalizzano sul disturbo borderline e il disturbo antisociale di personalità, fornendo al lettore una precisa e puntuale illustrazione delle principali conclusioni e raccomandazioni fornite dagli istituti NICE e APA. Ad impreziosire ulteriormente il lavoro è una sezione dedicata al riassunto di alcuni lavori di metanalisi o rassegne sistematiche di rilievo riguardanti la tematica ma, soprattutto, l’offerta di alcuni spunti di riflessione riguardanti la sempre più asserita necessità di privilegiare la prospettiva dimensionale a quella categoriale nell’approccio al tema della patologia della personalità.

La seconda parte di questo numero comincia con il contributo di Carlo et al. che rivisitano in ottica cognitivista il concetto di una forma specifica di accettazione, l’amor fati. Grazie al dialogo, inscenato dagli autori, di filosofi e teorici della psicologia cognitiva, svisceriamo un costrutto che poteva apparire, nella lettura iniziale, facilmente afferrabile. Proseguendo nella scoperta dell’articolo, comprendiamo come l’utilizzo di concetti cari alla psicologia clinica cognitiva (ad es. scopi, credenze) può permetterci di apprezzare le potenzialità insite nella complessità del concetto. Soprattutto, l’approfondimento teorico dell’argomento viene messo al servizio di una maggiore riflessione circa i meccanismi di cambiamento psicoterapeutico che sottendono la psicoterapia cognitiva e gli approcci della terza ondata. Il tuffo nella storia della filosofia, grazie alla guida degli autori, permetterà al lettore di apprezzare l’esistenza di un’affinità tra alcune tecniche che troppo spesso sono considerate come separate, ponendo, in ultima analisi, l’accento sull’importanza del considerare il meccanismo di cambiamento sottostante la singola pratica clinica. Al termine della lettura di questo contributo, il lettore ne uscirà non soltanto maggiormente consapevole delle implicazioni cliniche della concettualizzazione del costrutto di accettazione, ma anche maggiormente sensibilizzato alle ricadute pratiche che emergono da un’accurata riflessione epistemologica sui processi di cambiamento innescati dalle singole tecniche psicoterapeutiche.

Lo sforzo di decentramento epistemologico prosegue nel secondo contributo di questo volume, scritto da Giussani, che illustra in maniera illuminante il cambio di prospettiva che caratterizza la diffusione dei trattamenti di terza generazione per il Disturbo Ossessivo Compulsivo. Mediante un’argomentazione strutturata in modo convincente, l’autrice identifica come punto di svolta cruciale il passaggio del focus terapeutico dai contenuti mentali agli aspetti processuali dell’elaborazione delle informazioni. Dopo aver passato in rassegna gli aspetti salienti di alcuni, selezionati, approcci di terza generazione, il lettore giungerà alla conclusione che l’evoluzione delle nostre pratiche cliniche può esser compresa alla luce di un fattore comune ovvero la maggior attenzione posta alla modifica della relazione che il paziente ha con le proprie esperienze interiori.

Come a voler estendere lo slittamento di prospettiva illustrato da Giussani, il contributo successivo arricchisce ulteriormente la nostra consapevolezza dell’utilità del continuo interrogarsi sull’utilità e l’efficacia degli strumenti di intervento che adoperano gli psicoterapeuti cognitivo-comportamentali. Bacaro e Baglioni si focalizzano quindi sul disturbo di insonnia, una condizione che ci permette di mettere in discussione il nostro approccio clinico alla complessa questione del nesso tra mente e corpo, mettendoci di fronte alla necessità di ripensare, in un processo di continua evoluzione, l’adeguatezza della nostra personale cassetta degli attrezzi. L’approccio della rassegna narrativa, scelto dagli autori, appare particolarmente adatto a stimolare l’apprezzamento critico
delle evidenze empiriche passate in rassegna. I risultati ottenuti dalla ricerca empirica relativi all’efficacia della melatonina, della fototerapia, dell’esercizio fisico, della medicina complementare e della mindfulness per il disturbo di insonnia vengono quindi contestualizzati alla luce delle linee guida esistenti per il trattamento del disturbo. L’articolo testimonia come il riferimento alle linee guida internazionali e a un approccio evidence-based possa essere integrato con successo alla continua messa in discussione dei modelli esistenti, fungendo da bussola che aiuta il clinico a misurare la validità delle molteplicità delle proposte di trattamento offerte per il trattamento dei singoli disturbi.

Facendo eco alle raccomandazioni per la ricerca futura formulate da Bacaro e Baglioni, il terzo contributo presenta evidenze empiriche convincenti che suggeriscono la potenziale utilità dell’utilizzo di trattamenti mindfulness-based nella misofonia. Nello specifico, lo studio di Pezzolato et al. spicca per la sua originalità e la capacità degli autori di leggere una condizione psicopatologica (la misofonia), ancora non del tutto ufficialmente riconosciuta dai convenzionali sistemi diagnostici internazionali, attraverso la lente di costrutti quali la mindfulness o la regolazione emotiva. I risultati testimoniano dei benefici che risultano dalla sinergia tra le intuizioni cliniche e la ricerca empirica, mettendo in luce come la rigorosa operazionalizzazione dei nostri costrutti teorici possa conseguire nell’avanzare di una conoscenza scientifica basata sulle evidenze e condivisibile da tutti anche in ambiti che risultano ad oggi poco conosciuti.

Infine, come a voler fornire un’illustrazione concreta dell’utilità delle riflessioni formulate da Nicolò et al., l’ultimo contributo, a cura di Ledda et al., documenta empiricamente l’utilità di utilizzare costrutti afferenti al campo di indagine della personalità patologica nella lettura di altre condizioni psicopatologiche come il disturbo da uso di alcol. La consapevolezza del background teorico che guida la formulazione delle ipotesi e il disegno della procedura empirica rappresentano i punti di forza del contributo, che contestualizza al meglio i risultati ottenuti e sollecita nel lettore interessanti spunti di riflessione. Come dimostrato in pratica da questo ultimo contributo, ma più in generale da questo intero volume di Cognitivismo clinico, il cammino verso la consapevolezza delle lenti con le quali osserviamo i nostri pazienti e il lavoro che svolgiamo con loro non può prescindere da un dialogo costante tra la nostra necessità di sviluppare concetti e misure in grado di valutarli e la riflessione circa la natura relativa e contestualizzata degli stessi.

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