Il termine misofonia è stato creato nel 2001, e introdotto in letteratura nel 2002, dal gruppo di lavoro di Pawel Jastreboff per indicare quei pazienti che reagivano negativamente solo verso determinati suoni e non riportavano miglioramenti quando trattati come iperacusici (Jastreboff & Jastreboff, 2014). Pur riconoscendo come comune denominatore la ridotta tolleranza ai suoni (Decrease Sound Tolerance, DST) presente sia nell’iperacusia (ipersensibilità generica verso i suoni) che nella misofonia, quest’ultimo disturbo è caratterizzato dalla presenza di un’importante reazione emotiva, generalmente rabbia, disgusto o ansia.
Che cos’è la misofonia
Martina, 35 anni, mi racconta: “Tra poco è ora di pranzo, i miei familiari saranno tutti a tavola, oggi c’è anche mio padre con noi, già so come andrà a finire… mi dovrò sbrigare a mangiare e a cercare subito una scusa per alzarmi da tavola per non sentirli e non vederli. Quando mangio lo faccio velocemente, cerco di coprire i loro suoni, cerco di non guardarli ma non ci riesco se ho finito il mio pasto. La mia attenzione va tutta lì verso di loro, come una calamita, e inizio ad innervosirmi, mi chiedo perché lo fanno, perché non smettono?”.
Riccardo, 52 anni: “ero in treno e il tipo davanti a me ha iniziato a mangiarsi le unghie… ho provato schifo, non riuscivo più a stare seduto, avrei voluto urlargli contro, sentivo in me la rabbia crescere… ma cavolo, che schifo è? Come si permette? A volte ho quasi l’impulso di picchiare, ho voglia sempre di fuggire, di far smettere quel tormento”.
Queste appena riportate sono le parole di pazienti che soffrono di quella che viene oggi definita misofonia, una problematica ancora sconosciuta a molti e soprattutto ai pazienti che si rivolgono allo specialista otorinolaringoiatra per una visita audiologica perché credono di “sentire troppo” oppure perché soffrono anche di acufeni (suoni come fischi o fruscii, anche di forte intensità, che possono essere percepiti in una o in entrambe le orecchie, o all’interno della testa).
Per quanto gli studi scientifici a disposizione siano scarsi e tante le domande rispetto alle limitate risposte, cercherò di delineare un quadro generico sulla problematica.
I sintomi della Misofonia
Il termine “misofonia” è stato creato nel 2001, e introdotto in letteratura nel 2002, dal gruppo di lavoro di Pawel Jastreboff per indicare quei pazienti che reagivano negativamente solo verso determinati suoni e non riportavano miglioramenti quando trattati come iperacusici (Jastreboff & Jastreboff, 2014). Pur riconoscendo come comune denominatore la ridotta tolleranza ai suoni (Decrease Sound Tolerance, DST) presente sia nell’iperacusia (ipersensibilità generica verso i suoni) che nella misofonia, quest’ultimo disturbo è caratterizzato dalla presenza di un’importante reazione emotiva, generalmente rabbia, disgusto o ansia, in risposta a stimoli uditivi con caratteristiche di specificità che vedremo di seguito.
La reazione emotiva può essere anticipata o accompagnata da stimoli visivi e, in questo caso, il disturbo prende il nome misokinesia (Schröder et al., 2013). Nella misofonia, a differenza dell’iperacusia, la reazione dipende dal contesto in cui il suono è presente o dalla persona che lo emette e non dalle caratteristiche fisiche del suono stesso (Jastreboff & Jastreboff, 2014). I suoni comunemente riconosciuti come trigger sono quelli prodotti dalla bocca (es. masticazione), dal naso (es. starnutire, respirare) e altri ripetitivi tipo giocare con il click della penna o il rumore della tastiera quando scriviamo al computer (Eldestein et al., 2013; Jastreboff & Jastreboff, 2014; Schröder et al., 2013).
Le persone sono spinte ad allontanarsi dall’evento trigger oppure avvertono il desiderio di essere violente verso la persona che emette il suono o compie determinati gesti (Bernstein et al., 2013). Le reazioni fisiche associate possono manifestarsi in: tachicardia, ipertensione, rigidità muscolare, dispnea, sudorazione, ipertermia (Cavanna & Seri, 2015). La vita quotidiana, nei casi più gravi, è compromessa, caratterizzata da evitamenti e difficoltà nella gestione delle relazioni interpersonali (Bernstein et al., 2013; Cavanna & Seri, 2015).
Misofonia: le difficoltà nel definire la prevalenza e le comorbidità
Non ci sono stime sulla prevalenza del disturbo nella popolazione generale a causa della mancanza di strumenti di valutazione validati e perché i pazienti si rivolgono a specialisti differenti come neurologo, otorino, psicologo, audiologo e questo rende complessa una raccolta omogenea dei dati (Jastreboff & Jastreboff, 2014). La misofonia generalmente insorge nella tarda infanzia (Cavanna & Seri, 2015; Eldestein et al., 2013; Schröder et al., 2013) e coinvolge inizialmente le persone più vicine, come i membri della famiglia (Bernstein et al., 2013).
Non è chiara ancora la connessione tra la misofonia e altri disturbi di tipo psichiatrico.
Nello studio di Ferreira et al. (2013) vengono riportati tre casi in cui la misofonia viene vista come sintomo secondario di disturbo d’ansia generalizzato, disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo schizoide di personalità. In realtà però nell’articolo non è stato specificato con quali modalità sono state effettuate le diagnosi e non vi è evidenza di una valutazione con esami audiologici.
Gli studi sulla Misofonia
Schröder e colleghi (2013) suggeriscono di considerare la misofonia come un disturbo psichiatrico distinto, inserito nello spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi, e riportano gli ipotetici criteri per farne diagnosi. Il campione di riferimento è formato da 42 pazienti valutati con la Structured Clinical Interview for DMS-IV Axis II (SCID-II), la Hamilton Depression Rating Scale (HAM-D), e la Symptom Checklist (SCL-90) e una scala prodotta dai ricercatori stessi chiamata Amsterdam Misophonia Scale (A-MISO-S) costruita a partire dalla Yale-Brown Obessive-Compulsive Scale (Y-BOCS). Da evidenziare che il 52,4% dei pazienti ha riportato una diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo di personalità; soltanto 5 pazienti del campione hanno effettuato controlli audiologici.
Jastreboff e Jastreboff (2014) ritengono che nello studio di Schröder (2013) si è tenuto conto solo di una popolazione di tipo psichiatrico e che invece, secondo la loro esperienza, i pazienti con misofonia non presentano generalmente disturbi di questo tipo; anche qui non riportano stime precise e metodi di valutazione psichiatrica. Avvalorano la loro posizione dichiarando che i pazienti misofonici sono migliorati con un trattamento combinato tra counseling e terapia sonora specifica, senza nessun tipo di intervento psichiatrico. A detta degli autori il trattamento è risultato efficace per 139 pazienti su 167 (83% dei casi); l’assessment è stato effettuato con un’intervista strutturata da loro prodotta a partire dalla Tinnitus Retraining Therapy e non riportano dati sul follow-up.
La realtà attuale è che la scarsità degli studi non permette di delineare linee di intervento psicoterapeutico precise, né tantomeno sulla possibilità di un trattamento farmacologico.
Misofonia: possibili trattamenti
Uno studio piuttosto scarno su due giovani con misofonia (McGuire et al., 2015) utilizza la CBT con tecniche di esposizione e prevenzione della risposta per incrementare l’abituazione agli stimoli non tollerati. Unici test somministrati nell’assessment sono il Misophonia Questionnaire e la Misophonia Severity Scale, entrambi non ancora validati.
L’unico case study di Bernstein e colleghi (2013), piuttosto dettagliato, illustra un protocollo CBT (Cognitive Behavioural Therapy) per l’ansia adattato alla misofonia ed include ristrutturazione dei pensieri automatici, esposizioni, modificazione delle strategie di coping disfunzionali, training attentivo e lavoro sull’assertività. Alla fine dello studio gli autori riportano un punto importante emerso dal trattamento: la paziente ha capito che sotto il disturbo c’era il pensiero che i suoi bisogni non erano importanti per le persone vicino a lei… peccato che questo aspetto, a mio avviso preminente, non sia stato particolarmente trattato lungo il percorso terapeutico.
Conclusioni
Quanto riportato non pretende di essere un’esposizione esaustiva a proposito di una patologia ancora poco conosciuta, ma intende stimolare l’interesse degli esperti, sia nel campo della mente che in quello dell’udito, per effettuare diagnosi più accurate sulla base di criteri omogenei e per avviare ricerche scientifiche in merito. Questo tipo di lavoro, a mio avviso, comporta la necessità di un approccio multidisciplinare troppo spesso sottovalutato e, soprattutto, poco utilizzato.
Infine, credo sia necessario far conoscere ai pazienti le caratteristiche di questo disturbo, fornendo loro informazioni scientifiche aggiornate, affinché possano essere consapevoli dei trattamenti oggi disponibili, in modo da evitare di intraprendere un percorso terapeutico basato su false cure “miracolose” come già succede, in alcuni casi, per il trattamento degli acufeni.